sabato 31 dicembre 2022

Banchetto di Erode

Filippo Lippi: un particolare del Banchetto di Erode affrescato nella Cappella Maggiore del Duomo di Prato. Delle figure a sinistra della Salomè danzante, aggiunte a secco, resta ben poco; è un  altro esempio  di come   l'intonaco liscio, il migliore per la buona  conservazione dell'affresco, fosse meno   adatto di quello granuloso  per farvi aderire i colori a secco. 

 

domenica 25 dicembre 2022

CALNOGOR

Capitale di  ATVATABAR. Cinquecento  miglia  all'interno. La si può raggiungere dalla città di KIORAM per  mezzo di una ferrovia sacra, o con una  nave  aerea. Tutti gli edifici sono di un bel marmo  bianco. Il  palazzo del re e il corpo legislativo, chiamato Borodemy, si trovano tutt'e due a Calnogor, come anche il Pantheon o Bormidophia,   il  più grande  edificio della città. Il palazzo di re Aldemegry Bhoolmakar è  un alto edificio conico di venti piani, dove  ogni  piano è circondato da  una fila di finestre decorate con pilastri. Colossali leoni d'oro stanno alle torri d'entrata, con gli artigli formati  da  corregge d'oro che corrono giù lungo le pareti e sono poi inchiodate alle pietre inferiori, dando l'impressione di tenere insieme l'intera struttura sottostante. L'architettura è una combinazione  di stili indù, egizio, greco e gotico. Il palazzo è circondato da  uno spazioso cortile chiuso  come  un chiostro. Una  vasca d'acqua corre tutt'intorno  alla corte, e le pareti sono decorate con leoni, elefanti, serpenti, aquile, struzzi meccanici chiamati bockhockids, giovani e fanciulle, tutti scolpiti nella pietra.  Il Pantheon  o Bormidophia  è  luogo di culto, e dimora di Lady Lyone, dea suprema  di Atvatabar.  Esso  contiene l'oggetto più straordinario  di tutta Atvatabar; il trono della dea, che consiste in un  cono  d'oro  massiccio, avente press'a  poco la  forma  di  un cuore, alto circa cento piedi. Il trono è diviso in tre parti,  corrispondenti alle varie caste di dèi e simbolizzanti la scienza, l'arte, la spiritualità. La sezione inferiore, o Pantheon scientifico, quaranta  piedi d'altezza e settantadue di diametro, sormontata dai calchi in gesso dei corpi dei maggiori inventori di  Atvatabar, è  decorata con bassorilievi illustranti le loro invenzioni più significative. La sezione mediana è dedicata  all'arte e ai suoi attributi. Ha un'altezza di ventiquattro piedi e un  diametro  di sessanta, ed è divisa in  due sezioni: quella superiore rappresenta  gli dèi della poesia, della pittura, della musica eccetera, e  quella inferiore le  qualità dell'anima sviluppate  dall'arte, come l'immaginazione,  l'emozione, la tenerezza. La  parte finale, alta trentasei piedi, con un  diametro  di trenta piedi, contiene il vero e proprio seggio e altre tre divisioni: magia e astrologia; stregoneria, profezia e arti similari; teosofia, elettrobiologia e altre scienze. Lady  Lyone è visibile seduta  su un  seggio di velluto verde aloe che gira lentamente su  una base di  supporto – una foresta di magnolie, querce, olmi  e altri alberi simili; durante le ore di apertura la dea viene presentata a  un vasto pubblico  di turisti e di veri credenti. (William R. Bradshaw, The Goddess of Atvatabar, being the History of the Discovery of the Interior World and Conquest of Atvatabar, New York, 1892)


lunedì 19 dicembre 2022

I bastoni di preghiera

Nello svolgimento delle cerimonie religiose dei Pueblo - ma anche degli Apache e dei  Navajo – grande importanza  avevano  i "bastoni di  preghiera". Si trattava in pratica di frammenti piatti di legno, con una forma  ben  definita, ai quali venivano  appese penne  di  uccelli. Tali  frammenti, chiamati patios, erano in genere dipinti di verde  o di blu, ed avevano la  lunghezza di  una  mano con le dita  allargate. I "bastoni di preghiera" venivano fabbricati con gande cura  e tutte  le parti scartate, come trucioli di legno, pezzetti di fibra e parti di penne, erano distrutte. I bastoni servivano a cercare di ottenere il favore degli esseri superiori. Nella  foto vediamo  gli  Hopi, con  i loro bastoni  di preghiera, durante  la rituale danza del flauto (foto del 1905).


lunedì 12 dicembre 2022

SABOTAGE – Alfred Hitchcock

In  seguito a un attentato, Londra resta al buio. L'autore dell'atto di sabotaggio è  Verloc, un individuo dall'aspetto apparentemente bonario, che dirige una piccola sala cinematografica, a copertura della sua attività  segreta. Verloc vive  con la  giovane moglie, Sylvia, e il fratellino di  questa. Un giovane detective, Ted, fingendosi un  fruttivendolo, sorveglia il cinema e, nel frattempo, non manca di fare la corte alla moglie di Verloc. Ben presto Verloc si accorge di essere spiato. Ma  il sabotatore riceve l'ordine di compiere un nuovo attentato: questa  volta l'obiettivo consiste nel piazzare una bomba nella metropolitana. Verloc confeziona il pacco contenente l'ordigno a tempo, e consegna il tutto all'ignaro fratellino di Sylvia perché   lo recapiti dall'altra  parte della città. Nel   percorso del lungo tragitto, il ragazzo si attarda: la bomba esplode su di  un bus. Il ragazzo resta ucciso. La donna, che già sospettava di Verloc, conosciuta la verità, uccide, pugnalandolo,  il marito.  La  polizia arriva sul luogo del delitto per arrestare il sabotatore, ma la provvidenziale esplosione del cinema, opera di  altri sabotatori, cancella le tracce dell'assassinio. Sylvia può rifarsi una vita  insieme a Ted. 

Sabotaggio è una libera trasposizione de L'agente segreto di Joseph Conrad, questa pellicola appartiene al cosiddetto periodo inglese (1936-1939) quando il Maestro lavorava negli studi di Londra. La storia è molto ben congegnata, i personaggi sono ambigui e tenebrosi quanto basta per rendere l'atmosfera del film amara e imprevedibile. Sicuramente Oskar Homolka è l'attore che meglio si cala nel ruolo assegnatogli dal regista, interpretando un cattivo che si mimetizza fra la folla, fingendosi un cittadino qualunque, rispettabile e flemmatico, uno che potrebbe essere il tuo vicino di casa e di cui non sospetteresti mai niente di strano... per queste sue caratteristiche ogni suo gesto, anche il più insignificante, crea nell'animo dello spettatore, una tensione continua. Sebbene Hitchcock non fosse entusiasta di questo film, ne va riconosciuta l'importanza quantomeno sul piano dei limiti cinematografici che riesce a infrangere. Nello specifico, si parla di un cinismo nei confronti dei personaggi che raramente (o addirittura mai) si era visto fino a quel momento su pellicola: fra le altre cose in questa storia c'è un uomo che uccide un bambino facendolo saltare in aria, una moglie che accoltella un marito a sangue freddo e l'occultamento, nel finale, di un cadavere con conseguente rimozione della verità, con tanto di benestare della polizia. Insomma, il regista lo riteneva un disastro proprio per le ragioni che, in realtà, ne fanno un'opera in un certo modo rivoluzionaria e destabilizzante: da questo punto in avanti, per la drammatizzazione cinematografica si aprono nuove frontiere della crudeltà.

"La differenza tra "suspense" e "sorpresa" è molto semplice. (...) Noi stiamo parlando; c'è forse una bomba sotto questo tavolo e la nostra conversazione è molto normale, non accade niente di speciale e tutto ad un tratto... boom! Esplode la bomba. Il pubblico è sorpreso, ma prima che lo diventi gli è stata mostrata una scena assolutamente normale, priva d'interesse. Ora veniamo alla suspense. La bomba è sotto il tavolo e il pubblico lo sa (...) sa che l'ordigno esploderà all'una e sa che è l'una meno un quarto (...); la stessa conversazione insignificante diventa tutta ad un tratto molto interessante perché il pubblico partecipa alla scena. (...) Nel primo caso abbiamo offerto al pubblico 15 secondi di sorpresa... Nel secondo caso gli offriamo 15 minuti di suspense! Una scena di suspense, tuttavia, ha di solito un esito positivo per l'eroe: la bomba non esplode oppure lui si salva. Lo spettatore vive un'eccitante tensione nell'intima fiducia che tutto si concluderà bene: ed è proprio questo che non succede in Sabotaggio". (Alfred Hitchcock)



lunedì 5 dicembre 2022

LE FINESTRE - Costantinos Kavafis

In queste buie stanze dove passo

giornate soffocanti, io brancolo

in cerca di finestre. - Una se ne aprisse,

a mia consolazione - . Ma non ci sono finestre

o sarò io che non le so trovare.

Meglio così, forse. Può darsi

che la luce mi porti altro tormento.

E poi chissà quante mai cose nuove ci rivelerebbero. 


sabato 26 novembre 2022

William Blake - la libertà sfrenata

Il 6  giugno 1780 una folla di scalmanati appiccò il fuoco alle prigioni di Newgate. Fra la folla c'erano due poeti: George Crabbe e William Blake. Per caso, si dice, né si sa esattamente che parte attiva possa avere avuto nel tumulto il ventitreenne Blake, artista eccentrico convinto delle funzioni profetiche della poesia, destinato a rimanere isolato (quanto a fama contemporanea) pur dovendosi considerare il più estremo dei romantici ante litteram, e più vicino di  tanti altri, nella sua impetuosa passione visionaria, ai rivoluzionari più radicali e agli «immoralisti» degli anni di transizione fra il «secolo dei lumi» e il romanticismo codificato come tale. Non è semplice scorgere nelle stravaganti e labirintiche allegorie dell'autore dei «proverbi» di The Marriage of Heaven and Hell (Il matrimonio del cielo e dell'inferno, 1790) una precisa concezione rivoluzionaria legata, per esempio, ad eventuali ordinamenti sociali (non si nota mai né intenzione né effettivo  passaggio, salvo il caso prima riferito, a qualcosa che si possa definire azione), e tuttavia nella sua opera i segni di un'insofferenza ai limiti dell'anarchia è sempre percepibile. Fortemente razionalista da un lato, educato all'anticonformismo di pensiero di Voltaire e compagni, e dall'altro ferocemente avverso  ad una pura logica, nutrito di occultismo, di  gnosticismo, sostenitore ispirato dei diritti «divini» dell'Immaginazione, Blake non nega affatto, come il Diderot del Système de la Nature (Il sistema della natura), il fine ultimo della felicità e del piacere degli uomini. Piuttosto, lo supera per avventurarsi in una zona da cui sia possibile rovesciare letteralmente, portando il discorso alle sue conseguenze estreme, il dispotismo della morale e delle religioni. «Il Bene è l'elemento passivo, che obbedisce alla Ragione. Il Male è l'elemento positivo, che sorge dall'Energia».  Pur nella tradizione liberale  del dissenso, una simile affermazione suona esplosiva: speranza e incitamento ad una sovversione, terrorismo ideologico che affida all'energia e a ciò che ne deriva (considerato Male) il compito di rovesciare il mondo, la società, per un  suo  benefico rinnovamento. 


domenica 20 novembre 2022

La visione del carro di fuoco - Giotto

La visione del carro di fuoco è uno dei ventotto episodi delle Storie di san Francesco con cui Giotto decorò il registro inferiore della navata della Chiesa Superiore di Assisi, seguendo per l'iconografia del ciclo la traccia indicativa della Legenda major scritta da san Bonaventura verso il 1260. La scena in cui Francesco appare ai confratelli su un carro infuocato è divisa in due zone. Quella superiore, che rappresenta il prodigio, è, trattata anche stilisticamente in modo idealizzato, quella inferiore ha invece precisi connotati realistici, in quanto il pittore si sofferma  a descrivere gli atteggiamenti dei frati: chi ancora dorme, chi alza il capo, chi denuncia  col gesto il proprio stupore di fronte a quanto sta accadendo.

 

lunedì 14 novembre 2022

L'ARTE DI ESSER VUOTA - Rupi Kaur

riversarmi dal ventre di mia madre 

è stato il mio primo atto di sparizione 

imparare  a rimpicciolire per una famiglia 

che vorrebbe  invisibili le figlie 

è stato il secondo 

l'arte d'esser vuota 

6  semplice 

credi  quando dicono 

che non  sei nulla 

ripetitelo 

come   un desiderio 

non  sono nulla 

non  sono nulla 

non  sono nulla 

così spesso 

che l'unica ragione per cui sai 

d'essere ancora viva è il 

gonfiarsi del tuo petto 

                                    

martedì 8 novembre 2022

CHICKEN SOUP WITH BARLEY - Arnold Wesker

Arnold Wesker nato a Londra nel 1932 è noto per i suoi contributi al Kitchen sink drama, il suo lavoro come drammaturgo è stato impulsato dal Royal Court nella ricerca di giovani talenti attraverso la produzione in anteprima di alcune delle sue prime opere, The Kitchen (1957), Roots (1958) e Their Very Own and Golden City (1966). Il dramma più rinomato e che ha lanciato alla fama il giovane autore è stato Chicken Soup with Barley scritto nel 1956 e messo in scena nel 1958 nel BelgradeTheatre a Coventry dopo il rifiuto del Royal Court a produrlo dovuto all’argomento dell’opera che poteva essere rischioso per il teatro. Dopo il successo ottenuto a Coventry lo spettacolo viene trasferito al Royal Court il 14 luglio dello stesso anno. L’opera si ambienta nella Londra del 1936 e racconta le vicende della famiglia ebrea Khan e traccia il crollo dei loro ideali in un mondo che si sta capovolgendo con l’arrivo dei fascisti sull’East End, in parallelo con la disintegrazione famigliare. I membri della famiglia sono ebrei comunisti e cercano disperatamente di mantenere le proprie convinzioni dinnanzi alla seconda guerra mondiale, lo stalinismo e la rivoluzione ungherese del 56. 

Mettere in scena dei proletari comunisti che parlavano di politica era davvero una cosa inaudita; ma il pubblico reagì favorevolmente, un po’ perché il dramma teatralmente funzionava e un po’ perché il dramma coglieva alcuni nodi centrali della realtà politica inglese.  

Chicken Soup with Barley insieme a Roots e I'm talking about Jerusalem dello stesso anno hanno configurato una trilogia che seguiva le vicende della famiglia Khan alla ricerca di una via di uscita dagli sconvolgimenti provocati dalla guerra. In Roots la sorella di Ronnie Khan decide di scappare in campagna mentre in Jerusalem si mette in scena l’esecuzione di questo progetto di vita di una giovane famiglia cercando di scappare dai valori e leggi del capitalismo. Uno degli apporti più interessanti di Wesker alla scena inglese è l’innovazione a livello linguistico che rispecchiando una ricerca di realismo dei suoi personaggi di estrazione popolare riproduce gli errori grammaticali e sintattici propri della parlata popolare. Nel 1962 Wesker fonda il Centre 42 in un ex deposito di locomotive, uno spazio di sperimentazione dedicato a stimolare nella classe operaria l’interesse per le problematiche di indole culturale e artistico, purtroppo e a prescindere del appoggio iniziale dei sindacati nel 1970 progetto è stato costretto a chiudere per una mancanza di sostenimento economico da parte degli stessi.



martedì 1 novembre 2022

MATTATOIO 5 – George Roy Hill

Catturato dai tedeschi in Belgio, lo statunitense Billy Pilgrim viene trasferito in un campo di concentramento. Qui, subisce le persecuzioni di un altro internato, Paul Lazzaro, che lo crede responsabile della morte dell'amico Willy; ma viene anche difeso dall'anziano professore Edgar Derby, anch'egli prigioniero. Il gruppo dei prigionieri americani viene trasferito dai tedeschi a Dresda, nello Schlachtow Funf (Mattatoio 5). Il 13 febbraio 1945, gli statunitensi bombardano la città distruggendola e uccidendo centotrentacinquemila persone: un massacro orrendo ed inutile. Durante i lavori di sgombero delle macerie, Derby viene ritenuto ingiustamente un ladro e ucciso dalle SS. Finita la guerra, Billy torna accanto alla moglie Valencia e ai figli Barbara e Robert; riprende con successo la sua professione di oculista. Non riesce però a cancellare dalla memoria i momenti terribili del suo passato. Poi, esce miracolosamente vivo da un incidente aereo. Dopo la morte della moglie, finisce per abbandonarsi completamente alle proprie fantasie aliene. Un giorno, la figlia e il genero lo trovano morto nella sua villa in campagna. George Roy Hill è arrivato al cinema, dopo una lunga esperienza di  regia teatrale e televisiva, nel 1962 con il trasferimento sullo schermo   di una commedia di Tennessee Williams già da lui allestita  in teatro. Seguirono  Il mondo di Henry Orient, interpretato da Peter Sellers, Millie, un musical con Julie Andrews, e nel 1970, Butch Cassidy, un western interpretato da Paul Newman. 
La parte migliore del film è nella evocazione dei fatti che hanno ottenebrato  la mente del protagonista. Grazie ad un sapiente montaggio, abbiamo veramente  l'impressione di muoverci con lui nella  quarta dimensione. Gli avvenimenti si accavallano, si ingigantiscono, si sparpagliano, si scompongono, e ricompongono,     come le figure di un caleidoscopio, senza che venga mai meno la profonda  unità  del racconto. Lo spettro della  guerra invischia questo poveraccio, privato della  pace dell'oblio. Le cose cambiano quando facciamo scalo su Tralfamadore, passando  bruscamente dal dramma alla quasi-commedia. Intorno all'odissea del soldato alle prese prima coi tedeschi e poi coi  liberatori e tenacemente perseguitato dall'odio di un commilitone  che lo accusa di aver causato la morte d'un compagno, il regista ha tessuto una fitta trama di analogie con gli episodi della vita  borghese: per modo che l'ospedale in cui  Billy  è ricoverato in seguito a un incidente aviatorio (da lui ben previsto standosene sul pianeta) collima col "Lager" dove fu internato, e l'elettrochoc cui è sottoposto con le bombe di Dresda e così via, riconoscendo infine nel figlio reduce dal Vietnam il disgraziato se stesso d'una volta. Tutte le strade insomma lo riportano a quella fatale notte; e sono strade fiorite di amenità,  perché il film non è drammatico come le cose che sottintende o anche esprime nelle belle sequenze della città devastata, ma piuttosto eroicomico, e in virtù del ricorso alla fantascienza (la quarta dimensione che risolve in se le altre) spesso anche comico soltanto o addirittura farsesco, come nell'episodio della moglie grassa che muore spiaccicata alla fine d'una pazza  corsa in Cadillac bianca. Spiando dalle vetrate della sua stazione spaziale, il protagonista sa tutto di se: anche quando morirà e per mano di chi (il commilitone) e tutto il suo agire nel film è una proiezione nel già vissuto, un beffardo esercizio di ricalco. Per intanto egli si gode la bella " starlette " Montana, il suo “presente” in un mondo di gioia. 



sabato 29 ottobre 2022

ISOLA DEGLI ZOCCOLI - François Rabelais

Isola degli zoccoli, non lontana da ODOS.  È notevole per il suo monastero, eretto per ordine del re Beneditus III dai frati Canticchianti. Costoro sono vestiti come  briganti, salvo che hanno  il ventre imbottito  e due  braghette cannettate, una   davanti e una dietro; tale duplicità braghettista simboleggia oscuri e orrifici misteri. Portano  calzature  rotonde e si radono  la barba  e la nuca, per dimostrare che disprezzano  la Fortuna; altrove i loro capelli crescono liberamente. E per sfidare ancor più la For-tuna  portano   appesi  alla cintura, a guisa di  rosario, dei  taglienti rasoi che molano  e affilano tre volte  per notte. Sotto i piedi  ciascuno  porta una palla rotonda, come  si dice  abbia la Fortuna. Il fiocco dei loro cappucci è attaccato  davanti e non dietro; così che hanno il viso nascosto e  possono avanzare  indifferentemente in avanti o indietro. La parte rasata  del cranio è dipinta con  due occhi e una   bocca, il che fa sì che quando  avanzano col sedere sembra la loro andatura  naturale. Se vanno avanti, danno invece l'impressione  di giocare a mosca  cieca. I frati Canticchianti dormono con gli stivali, gli speroni e gli occhiali sul naso; spiegano che così sono pronti, nel caso li colga all'improvviso il Giudizio Finale, a balzare a cavallo per presentarsi immediatamente davanti al Giudice Supremo. Quando suona mezzogiorno - tutte  le campane dell'isola sono fatte di piume  trapunte, e il battaglio è una coda di volpe - si svegliano, si tolgono gli stivali e, per statuto, si
mettono a sbadigliare per una mezz'ora, a  un fischio  del priore. Segue poi una processione rituale nel corso della  quale un frate porta la bandiera della Fortuna e un altro quella della Virtù; quest'ultimo picchia con un aspersorio bagnato in acqua il Canticchiante precedente. Poi si ritirano nel refettorio e si mettono sotto i tavoli in ginocchio, appoggiando il petto e lo stomaco su una lanterna. In tale posizione consumano il pasto. La domenica mangiano budini, salamini del doglio, salsicce, fricandò, trance di fegato arrosto, quaglie,  e cominciano  col formaggio come antipasto e la mostarda  per ultima. Il lunedì piselli al lardo. Il martedì,  pane benedetto   in  abbondanza, focacce, dolci e gallette biscottate. Il mercoledì   teste di montone,  teste di vitello e teste di bedello, animale che abbonda  in quella contrada. Il giovedì minestra di sette qualità  e mostarda frammezzo. Il venerdì nient'altro che corniole, e anche  un po' acerbe. Il sabato rosicchiano gli ossi. La bevanda tipica del paese è il vino antifortunale. Dopo il pasto rendono grazie a Dio, sempre canticchiando. E passano il resto della giornata in opere di carità. la domenica pelandosi l'un l'altro, il lunedì dandosi sberle, il martedì graffiandosi tra loro, il mercoledì smoccicandosi, il giovedì tirandosi su le calzette, il venerdì facendosi  il solletico, il sabato confricandosi. Quando i monaci lasciano il convento, non possono mangiare  pesce se viaggiano per mare e carne se viaggiano per terra. Nel monastero vivono anche una ventina di donne; il mese ritenuto più propizio al libertinaggio è marzo, forse perché il cibo di cui ci si nutre durante la Quaresima è fortemente afrodisiaco. 


domenica 23 ottobre 2022

THE OLD HORSE – Arthur Conan Doyle

Durante  gli ultimi mesi di vita, Sir Arthur Conan  Doyle, ricordandosi di essere figlio e nipote di celebri disegnatori, ha voluto raccogliere in  una  simbolica  vignetta la storia della sua vita: dalla culla che figura sotto il nome   di "Edimburgo",  al letto d'ammalato  disegnato  sotto l'anno 1930. La didascalia, di pugno dello  scrittore, dice fra l'altro: "Il vecchio cavallo i:a trascinato un pesante  carico in questa  lunga strada, ma  è ancora capace  di lavorare, e con sei settimane di riposo e sei mesi di biada sarà in grado di riprendere ancora la strada". Ma il cavallo del disegno si sta pericolosamente avvicinando ai  becchini  che lo aspettano, e  non riprenderà più la sua strada. Sul carro, tutti gli episodi di una vita, dallo sport (box, sci, golf...) ai viaggi in America  e nei più lontani paesi; dai lavori storici a quelli medici ; dalle esperienze di guerra a quelle di difensore civico di persone ingiustamente condannate (Slater e Edalji); dalle oltre 500 conferenze sulla guerra e la letteratura alle prediche e ai libri sullo spiritismo. In mezzo, quasi nascosto tra i mille interessi e le mille attività dello scrittore, un piccolo "Sherlock  Holmes".  Eppure, sarà proprio quel personaggio amato/odiato ad assicurare ad  Arthur Conan Doyle gloria imperitura.

 

lunedì 17 ottobre 2022

Parole e pensieri – NicK Cave

Nel  mio ultimo disco quello che mi  premeva maggiormente era riuscire a comunicare il particolare tipo di tristezza che riveste il mio modo  di guardare le cose. C'è un termine  in portoghese, `saudade', che definisce benissimo quell'inesplicabile desiderio di qualcosa  che è avvenuto  tempo addietro, la malinconia per una parte del passato. È questo il tema generale dell'album The Good Son, il tema emozionale e stilistico. Ogni canzone è correlata alle altre. C'è continuità tra i solchi. Nei miei lavori precedenti, le parole  erano come ingarbugliate, formavano un grosso nodo che spesso oscurava il mio feeling verso le cose. Gli argomenti trattati in The Good Son sono gli stessi di sempre, ma il linguaggio che  li esprime è molto più semplice e diretto. I dischi precedenti mi erano costati molta fatica, mi esaurivano perché dietro a ogni canzone c'era un processo lunghissimo  e doloroso. Niente mi veniva dato; toccava  a me trovare una buona idea, lavorarci sopra, pensare alle parole adatte e costruire faticosamente i versi delle canzoni. I brani di The Good Son sono molto più immediati. Quasi tutte le canzoni erano  già pronte  prima di entrare in sala d'incisione, come mai era accaduto in passato. Questa volta abbiamo preso i brani e li abbiamo registrati. Punto. Molto meno faticoso di quando costruivo i testi direttamente al microfono,  partendo da un giro di basso. L'Inghilterra è il mio porto d'attracco, il ritorno dall'avventura, il riposo dopo un viaggio lungo e massacrante. Ma, a parte tutto questo, non c'è niente  in Inghilterra che mi ispiri. Viaggiare  è  per me diventato una vera  e propria  droga. Non ritorno in  Australia, nella  mia città natale, da  dodici anni. Recentemente mi sono innamorato del  Brasile. La prima volta che ci andai fu per suonare,    eravamo in tour, e l'intera band si  innamorò di quei luoghi e di quella gente. Non ci siamo stati per saccheggiare quella  che  io credo sia  una forma musicale  unica e per di più sacra per la  gente del posto. Non siamo come David Byrne, non siamo avvoltoi culturali. Il Brasile è un luogo che ci  ha sinceramente ispirato. È questo l'unico  requisito  necessario  per incidere   un disco. Devi sentirti bene,  a  tuo agio.  Berlino è perfetta,  in questo  senso. Il  mio problema  è che,  dopo un paio di mesi trascorsi  nello stesso posto, inizio  a  sentirmi inquieto e a  provare
il  bisogno 
di cambiare aria. La qualità che apprezzo maggiormente  nel mio  gruppo, i Bad  Seeds, è la profonda consapevolezza della bellezza, dell'economia e della discrezione. I ragazzi vanno e vengono, lavorano con altri musicisti  ad altri progetti,  ma ogni volta che  tornano riescono immediatamente a ritrovare l'intesa. Io spero che dentro di me ci siano  sempre nuove canzoni  che mi consentano di fare  musica per molti anni ancora. Perché è  questa la mia occupazione preferita.  E i Bad Seeds  mi aiutano a farla medio.


martedì 11 ottobre 2022

IL PECCATO ORIGINALE

Il peccato originale, affresco della metà  destra della lunetta ovest della  Cappella della  Vera Cruz  a  Maderuelo, ora al Prado. Già attivo nella Chiesa di S.  Maria a Tahull,  dove esegui l'affresco absidale con la  Vergine in maestà, il suo  autore, noto come Maestro di Maderuelo, un altro interessante esponente della pittura catalana. In questa scena  il chiaro influsso del Maestro di Tahull si converte in uno spiccato ed elegante decorativismo con tendenze geometrizzanti  evidenti nel trattamento dei corpi nudi di Adamo ed Eva, le cui movenze ricordano quelle di certi giocattoli meccanici, e nella rappresentazione dell'albero dai rami tentacolari  attorno al cui tronco si attorce in larghe spire il serpente..


lunedì 3 ottobre 2022

L’ULTIMO SPETTACOLO – Peter Bogdanovich

Ambientato tra il 1950 e il 1951 in una cittadina del Texas, Anarene, descrive  l'inarrestabile decadenza delle  cittadine del Far West, travolte  dalle  nuove  avventure imperialistiche americane. L'attrattiva della grande città, l'evoluzione dei costumi sessuali, l'avvento della televisione, la guerra in Corea, tutto contribuisce  a  disgregare la vita di Anarene  e questa viene attentamente analizzata in quelli che sono i punti d'incontro caratteristici di ogni   paese: il cinema e il bar con il suo biliardo. La cittadina entra in crisi, una crisi totale di sfiducia in ogni  valore ideale  e morale, crollano tutti i miti, primo fra tutti quello della  Grande America. Ed è  proprio l'ultimo spettacolo del cinema, costretto  a chiudere dalla concorrenza della televisione, il simbolo di tutto il film: è una scena del   Fiume  rosso di Hawks in cui John Wayne urla l'ordine di partenza di una mandria. John  Wayne, il rappresentante della maggioranza  silenziosa », il difensore  dell'ordine costituito, l'anticomunista  ad oltranza alla testa di una mandria silenziosa. 

Peter Bogdanovich  ha  32  anni ed è stato  critico cinematografico di molte riviste:  New York Times,  Variety, Cahiers du Cinema, Film  Culture, Film Quarterly, Vogue e Saturday Evening Post. Iniziò, ad interessarsi attivamente di cinema nel 1966 come aiuto regista e scrittore di «The Wild Angels», una produzione Roger Corman. Nel 1968 diresse «Targets» per la Paramount presentato al Festival di  Pesaro.  Nel 1971 diresse un documentario su John Ford, presentato al Festival di Venezia, e nello stesso anno realizzò «L'ultimo spettacolo».  Il suo ultimo film è «Ma papa ti manda sola?» realizzato nel 1972 dalla sua stessa casa di produzione, la Saticoy Production  e interpretato da Barbra Streisand e Ryan  O'Neal. 

Splendido, struggente, finissimo film.., dimostra come si possa descrivere  il  tedio  senza  essere  tediosi, con franchezza di tocco, verità di particolari, una  giusta dose di umorismo e un'ammirevole direzione di attori. (Morando Morandini) Ecco un film  curioso e controcorrente... così grondante amarezza da poter molto piacere alle  anime umbratili che vestono  il mondo di grigio.., film d'epoca pensato come un omaggio al cinema del tempo perduto esprime con accoratezza sincera quel bisogno di autentici affetti, quell'ansia di vero, quella fame di futuro in cui si traduce lo scoramento di molti  americani.(Giovanni Grazzini) Il  duro epitaffio per  una  città  morta... il cinema per Bogdanovich è materiale d'accertamento della propria identità, è fuga dal tedio ma è soprattutto verifica dello scadimento irreparabile dell'invenzione fantastica  nell'atto stesso in  cui si consegna allo spettatore come immagine, mito allo stato puro. (Pietro Pintus)



lunedì 26 settembre 2022

NEL BLU DIPINTO DI BLU (Volare) - Domenico Modugno

Unico brano italiano a raggiungere la vetta delle classifiche americane; sei settimane  in testa alle  chart di «Billboard»; singolo più venduto in America nel 1958; 2 Grammy; sei versioni, nel solo anno d'uscita, di Dean Martin, Linda Ross, Umberto Marcato, Jesse Belvin, Alan  Dale  e Nelson Riddle (ma cresceranno di numero fino a raggiungere i giorni nostri, ultimi della lista i Gypsy Kings); quasi 25 milioni di copie vendute in tutto il mondo. Le cifre di Volare, come fu subito ribattezzata Nel  blu, dipinto di blu, parlano da sole. Il 958 è l'anno di Domenico Modugno, Mimmo, come l'Italia intera volle chiamarlo, in segno d'affetto, subito dopo quei tre fantastici minuti. A Sanremo doveva vincere Nilla Pizzi, che mancava dal 1953 e  presentava L'edera  in coppia con Tonina Torrielli, o Claudio Villa, protagonista di un'incredibile gaffe quando  accuserà l'organizzazione  di imbrogli: «Dove sono finiti i miei voti?  Mi avevano assicurato che in sala erano stati distribuiti 350 biglietti che dovevano  essere tutti per me». Vince invece, pur  dimenticandosi una strofa, un trentenne di Polignano a Mare che scatena una mezza rivoluzione nell'asfittico panorama musicale  italiano. Volare è la storia di un uomo che in sogno si dipinge la faccia e le mani di blu e poi comincia a volare nel cielo infinito. Lo spunto, racconta Modugno, nasce «una mattina, quando mi sveglio e dico a mia moglie: "Guarda che bella giornata". E lei: "Mimmo, ma sta piovendo". Io sentivo crescere dentro di me una grande  felicità. Mi metto al pianoforte e comincio  a cantare  "...nel blu dipinto di blu". D'improvviso provo l'impulso di andare alla finestra e, spalancando  le braccia, come se stessi per spiccare il volo, grido: Voolaaree..."».    Ma l'Italia canzonettara ha ancora il complesso della cultura, così. Migliacci dichiara di essere stato ispirato, in sogno, da un quadro di Chagall.  Mimmo vincerà altri tre festival con Piove (1959), Addio, Addio (1962), Dio come ti amo (1966) e otterrà la stima anche dei detrattori di Sanremo con una serie di brani, in testa Vecchio frac, ancora oggi cantatissimi. 



martedì 20 settembre 2022

La rivoluzione come frattura

La rivoluzione come frattura, come rottura di un ordine è, ormai un concetto stabilito. Ed il problema, oggi, è ancora una volta sapere se vi sia necessariamente identità tra rivoluzione e violenza: le ideologie costituiscono l’indispensabile strumento di analisi di un tale problema. Senza di esse il rischio di una violenza senza rivoluzione diventa immenso. Così nel sottile rapporto tra ideologia e  rivoluzione i  grandi  termini del combattimento  erano  stati essenzialmente «libertà» ed «eguaglianza», per il trionfo delle quali la  rivoluzione  si  presentava come l'arma necessaria. Ma la rivoluzione - la  parola impiegata da uomini di grande spirito liberale: da Mazzini a Lamartine, da Danton a Marat – veniva assorbita anche da quanti lottavano contro quella stessa libertà: è in tal senso significativo che sia il fascismo che il nazismo, per esempio, si siano presentati come rivoluzioni senza averne nessuna delle caratteristiche ed essendo carenti di ogni ideologia. In sostituzione di questa intervenivano concetti quali la purezza della razza, la rievocazione dei motivi o la riscoperta di passati mitologici. Proprio questo far ricorso non già a concetti, ma a sentimenti (di dubbia natura, per di più) mostrava l'intrinseca debolezza di quelle che si pretendevano «rivoluzioni» pur presentandosi come il rimedio unico contro tutte le rivoluzioni.


giovedì 15 settembre 2022

Il sogno di Gioacchino

Il ciclo della Cappella degli Scrovegni a Padova, unanimemente riconosciuto l'espressione  più alta della poesia e del linguaggio   innovatore di Giotto, narra in trentaquattro  riquadri le Storie di Gioacchino, le Storie di Maria e le Storie di Cristo. L'episodio del Sogno  di  Gioacchino è uno dei più bei notturni della storia della pittura. Sotto i bianchi raggi della luna il protagonista   dorme, avvolto  nel mantello che fa blocco compatto   col suo corpo; accanto  a lui due pastori seguono   con  sguardo  stupito la discesa dell'angelo  che  annuncia la prossima nascita di Maria. I piani successivi sono scanditi dalla  capanna e dalla roccia dietro di essa, mentre  il volo dell'angelo accompagna  il dolce declivio del monte.


domenica 11 settembre 2022

Se sedurre la carne la parola - Patrizia Valduga

Se sedurre la carne la parola,

prepara il gesto, produce destini …

È martirio il verso,

è emergenza di sangue che cola

e s’aggruma ai confini

del suo inverso sessuato, controverso.


O datemi qualcuno che mi ascolti,

ché di parole straripo … qualcuno

che mi prenda per mano e dei sepolti

dei fatti polvere e niente al raduno

mi porti … di occhi o paura … di volti …

Non mi restava ormai niente e nessuno,

e come sanguinando intorno intorno

pesantemente in me cadeva il giorno.


Mi dispero perché 

Non ho che poche erose scrofolose

Parole, a darsi all’ozio intente,

che non sanno far niente.   

Patrizia Valduga poetessa italiana, traduttrice raffinata, tra gli altri, di J. Donne, Molière, S. Mallarmé, L. F. Céline, impegnata in una personale e intensa ricerca stilistica, ha adibito a fini espressivi spesso sovversivi metri e forme tradizionali. La sua poesia, dominata da immagini erotiche e funebri spesso crude, ha al proprio centro l'esplorazione senza infingimenti della potenza del desiderio, di cui le pulsioni di morte non rappresentano che l'inevitabile rovescio.


 


giovedì 1 settembre 2022

SWEET MOVIE – Dusan Makavejev

Sweet Movie è composto di due storie intarsiate. Nella prima, che ha per bersaglio, la società capitalistica, assistiamo alla bizzarra odissea di una ragazza americana eletta, tra altre vergini,  Miss Mondo 1984, la cui virtù, come quella della Justine di De Sade, è esemplarmente punita dalla società consumistica, tanto che la poverina finisce col soccombere dentro a una colata di cioccolata fusa. Nella seconda storia, non meno grottesca, l'allegoria è più spiccatamente politica: il comunista eterodosso Makavejev vi critica il comunismo ortodosso, in quanto incapace di prospettare l'uomo. Qui abbiamo un marinaio zarista, traumaturgicamente sopravvissuto alla rivolta della nave <Potemkin>, che in un canale olandese viene raccolto da un vascello che ha per polena l'effigie di Marx e per pilota una giovane rivoluzionaria. Tra Il marinaio puro di cuore (non per nulla si chiama Bakunin e ha la bianca maschera di Pier Clementi) e la ragazza s'intrecciano spudorate effusioni erotiche, finché la virago, dopo averlo castrato, non lo uccide nella stiva carica di zucchero. Il senso sembra questo: che le rivoluzioni, dapprima melliflue, finiscono poi col sacrificare, i figli migliori. Al di là della condanna delle ideologie capitalista e socialista, con Sweet Movie il cineasta serbo accosta momenti erotici (la bellissima Carole Laure nuda e completamente ricoperta di cioccolato) e politica, invenzioni visive (la gigantesca bottiglia di latte in cui viene rinchiusa
Carole Laure, il testone di Marx che troneggia sulla barca che attraversa Parigi) e inserti documentaristici (immagini delle fosse comuni di Katyn, che fanno il paio con quelle degli esperimenti medici nazisti e delle terapie elettroshock). Il legame col Situazionismo e con gli appartenenti al Movimento Panico (suggellato da un cammeo di Roland Topor, nel ruolo di un medico) è palese, e la forma è anarchica, slegata da costrizioni narrative e messaggi edificanti. Ma in Sweet Movie c’è aria di grande libertà, a conferma che un certo cinema d’autore era un paio di passi avanti a quello exploitation quando si trattava di esplorare i confini del mostrabile: ai limiti dell’hard (la scena in cui Carole Laure struscia il viso contro un pene floscio), con genitali al vento e una leggerezza forse irresponsabile nel tirare il bilancio di un intero secolo attraverso l’equazione sesso uguale politica. Al suo apparire nel 1974, Sweet Movie consegnò immediatamente il suo regista, lo jugoslavo Dusan Makavejev  al ristretto olimpo dei registi cult dell'epoca, accanto a Jodorowsky, Arrabal, Ken Russell e a quella piccola ma attivissima cerchia di autori impegnati in una personale lotta contro censura e istituzioni per creare una forma cinematografica del tutto slegata da mode, costrizioni e messaggi edificanti. Un cinema in cui potessero andare a braccetto la denuncia sociale e la follia ginsberghianamente liberata, la psicanalisi e l'occultismo, il sogno sfrenato e la realtà più agghiacciante. Montaggio dialettico che mischia documentaristica, narrazione lineare, simbologie e musica, in una forma che vorrebbe essere di rottura con i modelli narrativi classici. L'anarchia visiva di Makavejev è un'arma puntata contemporaneamente sia contro il comunismo che il capitalismo, il primo intollerante alla creatività se non quella approvata dal regime e l'altro per il consumismo che educa visivamente i suoi spettatori persino in materia erotica.




mercoledì 20 luglio 2022

DOCCIONIA

Paese sotterraneo raggiungibile mediante la scala a chiocciola che i viaggiatori troveranno all'interno del Monte PIRAMIDALE. Tutto qui è fatto di legno: il terreno è segatura, e i ciottoli sono nodi di alberi. Fiori di legno crescono nei giardini, e l'erba è un intrico di trucioli. Dove non c'è né "erba" né "terra", il suolo è ricoperto da un solido parquet. Per l'aria svolazzano uccelli di legno. La città di Doccionia si trova  nelle viscere  del monte, ed è anch'essa di legno. Le case, costruite  come torri, hanno varie  forme: alcune sono quadrate, altre esagonali o ottagonali. Le più belle appaiono stagionate e consunte dal  tempo. I Doccioni stessi sono di legno. Alti meno di venti centimetri, hanno gambette corte, ma braccia di una lunghezza straordinaria. Le teste sono sproporzionatamente grandi, e le facce scolpite appaiono di una bruttezza incredibile. La parte superiore della loro nuca è decorata con una gran varietà di figure grottesche, una combinazione di forme vegetali e forme geometriche.  Tutti hanno  ali di legno, fissate alle spalle con viti dello stesso materiale; il che permette loro di volare, dato che le gambe non sono di alcuna utilità. Per dormire, i Doccioni si tolgono le ali e le appendono al muro. I criminali qui sono puniti col distacco delle ali, e rinchiusi in un'alta torre finché non si correggono. Forse la caratteristica che più colpisce di questo paese è il silenzio che regna ovunque. I Doccioni non fanno alcun rumore volando, e comunicano a gesti; il bestiame non muggisce e gli uccelli non cantano. I visitatori ricordino che i Doccioni hanno paura del rumore, e questo costituisce  dunque, a parte il fuoco, l'arma più efficace in caso di attacco. (Frank Baum, Dorothy and the Wizard  in Oz, Chicago, 1908)



martedì 12 luglio 2022

Il Muro del Suono – parte seconda

Le possibilità  d'intervento sui suoni del disco erano tutte a monte della registrazione, sugli strumenti o sui musicisti. Determinanti gli amplificatori per chitarra  - il Fender Showman con il suo impressionante cono JBL, il Gibson dal suono cupo o il Vox e il  Marshall più modulato -, facili alla distorsione naturale (toccavano  i 20 o 30  watt di potenza massima). Accanto ai  trucchi meccanici (legare una  scatola  intorno al microfono o imbottire di cotone o di sassolini i tamburi della batteria), l'unico vero sistema per trasformare il suono già registrato: il variatore di velocità.  Rallentando o accelerando il nastro del canto si ottenevano timbri più bassi o i leggendari cori marca Fifties. Depositario di questi pochi segreti, a metà strada tra il piccolo imprenditore  e l'autore di canzonette, il produttore cominciò, a cavallo del ritmo sfrenato del rock'n'roll, a gettare le basi di un impero fatto di esperienza e creatività. Sull'esempio del profeta della categoria, quel John  Hammond scopritore negli anni Trenta di Billie Holyday, Lionel Hampton,  Count  Basie (e, più in là, di Bob Dylan, Bruce Springsteen, Aretha Franklin) si muoveva George Goldner. Il suo campo d'azione era la strada, dove quotidianamente cercava giovani talenti da portare in sala di registrazione e trasformare  in investimento di breve durata, ma sicuro. Dalle sue mani uscirono Gee, un brano dei Crows che alcuni indicano come il primo vero brano di rock'n'roll, Why Do Fools Fall In Love di Frankie Lymon and  The Teenagers, e molti altri singoli dal sound tagliente e fresco. Molto diverse le impostazioni di Sam Phillips e Don Costa. Il primo faceva grande uso dell'eco (pensare a Mystery Train o a That's All Right Mama di Elvis) e di un accorgimento strumentale che faceva  battere all'unisono batteria e basso, creando un robusto  impatto del ritmo. Il secondo, di origine italiana, registrava su una pista gli strumenti tipici dell'orchestra, sull'altra la voce e gli strumenti tipici del rock'n'roll. Norman Petty ebbe il merito di comprendere  che il successo di un brano dipendeva molto dal lavoro fatto in sala. Per questo  si costruì a Clovis uno studio che in breve  divenne leggendario perché associato al nome di Buddy
Holly. Con lui Petty rivoluzionò l'uso delle due piste, usando per primo le sovraincisioni: su una pista l'intera struttura del brano, gruppo e canto; sull'altra le sovraincisioni di chitarra solista e il doppiaggio della voce del cantante. Non meno importanti le intuizioni strumentali di Petty, tutte basate su orchestrazioni semplici e suggestive. Quando in  Everyday Petty sostituì la chitarra elettrica con la celesta, i rocker rimasero sconcertati. Ma su quella strada della fantasia si incamminarono, un decennio più tardi, Beatles e Rolling Stones. Ma fu Phil Spector il più grande innovatore, con il suo «wall of sound», il muro del suono. Le basi furono gettate a Hollywood, nei Gold Star Studios, famosi per gli echi profondissimi. In quelle sale, lontane miglia e miglia dagli studi di New York e Nashville da dove provenivano i successi dell'epoca, Spector portò l'arrangiatore Jack Nitzsche e il tecnico Larry Levine,  per incidere  He's A Rebel di Gene  Pitney per le Crystals. Portò anche, tra la meraviglia generale, un organico doppio, due chitarre basso, quattro acustiche e due pianoforti: tutti questi strumenti suonarono all'unisono, amalgamati in un insieme pastoso e ricco d'echi. Lentamente Spector approfondì questa tecnica fino a registrare contemporaneamente violini, sassofoni, percussioni e chitarre in un magma sonoro, compatto quasi fosse il suono di un unico enorme strumento. In questo sound dalla concezione vagamente wagneriana, senza dubbio il più imponente tra quelli usati nella musica leggera, gli strumenti non si identificavano, compressi  in un fluire continuo dove solo gli accordi erano modulati. Per questo il suo muro del suono non si avvaleva di tecniche straordinarie: poche le sovrapposizioni, quando (si era oramai negli anni Sessanta) si usavano le quattro piste. In compenso fu tra i primi ad usare i compressori del suono e ad attribuire al missaggio l'importanza che, poco dopo, tutti condivisero.


mercoledì 6 luglio 2022

Il Muro del Suono – parte prima

Quando il rock'n'roll conquistò prepotentemente l'universo giovanile non  fu subito  chiaro che il suo impatto  non era  dovuto solo alla particolare accentuazione ritmica, ai testi caratteristici, alla personalità dei cantanti o ai loro inusuali movimenti del corpo. Ascoltando  quei brani  si avvertiva che qualcosa stava mutando   anche sotto  il profilo squisitamente tecnico: ogni disco di rock'n'roll aveva, tra gli altri elementi, un linguaggio  che scaturiva dai suoni  degli strumenti usati, dal fondersi della voce e  dei cori con gli arrangiamenti, da certe timbriche selezionate con un gusto particolare. Fu allora che si cominciò a parlare di sound, un termine dietro la cui apparente semplicità  premeva un complesso di tecniche e sale di registrazione, di strumenti nuovi,  produttori e addetti all'incisione che  avrebbe mutato la fisionomia  della musica contemporanea. Il rock'n'roll  arrivò in un momento in cui le tecniche di registrazione e di riproduzione  dei dischi sembravano poter toccare vertici  impensabili. L'industria  impose il 45 giri, piccolo e maneggevole, ma soprattutto dotato di quei solchi che  restituivano il suono in maniera ben più fedele che i vecchi  e fragili 78 giri. I singoli, gli estendeplay, vale a dire i 45 giri con quattro canzoni, e  i primi 33 giri erano  destinati alle fonovaligie che si  diffondevano con grande  rapidità tra i giovani. Ma, a causa della mediocre qualità degli impianti dotati di testine di tipo ceramico, di circuiti elettronici scadenti e, soprattutto, di inadeguati altoparlanti,  molta della decantata riproduzione  musicale  dei microsolchi si perdeva per strada. Esistevano  gli  apparecchi ad alta fedeltà, ma erano appannaggio di pochi  appassionati di musica classica. Tecniche e dischi stereofonici erano allo studio in laboratori dove si ritrovavano quei tecnici che durante la guerra avevano messo a punto i sistemi di rilevazione  sonora contro i sommergibili.  Ancora pochi anni e il nuovo  lavoro, certamente più gradevole, avrebbe dato frutti concreti. A fianco del microsolco le innovazioni tecniche più rilevanti riguardavano le sale di registrazione. L'uso dei microfoni elettrodinamici e l'adozione della registrazione magnetica consentivano  traguardi inimmaginabili per i musicisti i quali, trent'anni  prima, si accalcavano  intorno ad un imbuto di cartone per raccogliere quelle onde sonore che, nella stanza accanto, con un procedimento rozzo e immediato, venivano tramutate nei solchi di una matrice approssimativa. Già da prima della guerra gli studi non erano più terreno esclusivo delle majors: piccole etichette e stazioni radio locali approntavano sale che a un'estrema funzionalità abbinavano strumentazioni tecniche di prim'ordine. Con l'esplosione del rock'n'roll, molti dei privati che avevano investito in queste imprese cominciarono ad appassionarsi al loro funzionamento; passando ore davanti ai nastri, sperimentando con i  microfoni formarono una strana, nuova generazione: quella dei produttori, a metà tra gli artisti e i tecnici. Destinati a diventare uomini di fiducia delle etichette e preziosi collaboratori per i musicisti inesperti (la stragrande  maggioranza), si sarebbero presto rivelati i veri registi del disco, protagonisti di nuove  tendenze e mode. Ma negli anni Cinquanta, di fronte all'esiguo numero di scelte e manipolazioni possibili, il loro apporto tecnico in sala restava limitato. Le registrazioni avvenivano su due piste oppure col sistema «sound on sound», incidendo  con due registratori a una pista che poi confluivano in un terzo, per formare il master finale, praticamente azzerando gli interventi. L'uso delle due piste, una per gli strumenti e  una per la voce,  permetteva l'incisione del canto in  un tempo successivo, con la base in cuffia. Ma quasi tutti i dischi erano ancora registrati in diretta, come se si assistesse a un concerto. L'uso, proprio del rock'n'roll, di strumenti particolari e di chitarre elettriche creò ulteriori problemi. Non potendosi registrare direttamente il  suono degli strumenti elettrificati, gli amplificatori delle chitarre spesso rientravano nei microfoni degli altri strumenti. Se alcuni dischi d'epoca avevano una pulizia di suoni e un gusto timbrico che ancora oggi stupiscono è merito di quei pochi trucchi degli stregoni d'allora, come l'eco artificiale  messo a punto da Les Paul, il vibrato mediante leva (la celebre leva Bigsby) o lo stoppacorde,  strumento che faceva scattare sulle corde della chitarra un tampone di gomma. 

sabato 2 luglio 2022

LUNA NERA - Louis Malle

A bordo di una spider, una giovane donna Lily fugge da un mondo in cui gli uomini mettono a morte l’altro sesso, nella fuga uccide involontariamente un tasso che bruca sulla strada; assiste alla fucilazione di alcune soldatesse ed assiste ad altre efferatezze causate dalla guerra tra i due sessi in cui non si fanno prigionieri. La giovanissima Lily trova quindi rifugio in una grande casa isolata in mezzo al bosco. La casa è abitata da strani personaggi: una strana vecchia che parla con un topo e, via radio, chissà con chi; un gatto che suona il pianoforte; un ragazzo muto intento a potare alberi che sanguinano, e sua sorella, dal cui seno si nutre la vecchia; un liocorno parlante e bambini che giocano con un grosso maiale; margherite che piangono se calpestate. Luna Nera di Louis Malle film fantastico, senza effetti speciali ma immerso meravigliosamente nel quotidiano in piena libertà espressiva e continua ricerca formale in una storia per niente lineare. Da
Lewis Carroll al ricco repertorio di simboli freudiani e junghiani, tra suggestioni surreali e citazioni cinefile, Erich von Stroheim di Queen Kelly,  George A. Romero e le maschere anti-gas de La città verrà distrutta all’alba a Robert Altman il film attinge anche a frammenti del mito grecoe al duetto d’amore del II atto del Tristan un Isolde di Wagner.
Tra verità e finzione, dramma e commedia, documento e sogno, il cinema di Malle, anche nel periodo americano, sembra indicare una via disordinata, frammentata, continuamente interrotta. È un cinema che si rigenera incessantemente, come una fenice, sempre nuovo e sempre classico, che ritorna al punto di partenza proprio quando sembrava aver imboccato un percorso definito. Dunque un cinema dell'incertezza, dell'angoscia, del vuoto, dell'assenza, un interrogativo profondo sull'uomo e sulla tragica impossibilità di avere risposte. Rievocando le pagine di scrittori come Queneau, Drieu la Rochelle, Cechov, Poe, utilizzando la musica di J. Brahms, E. Satie, Davis, egli si è posto il compito di provocare nello spettatore intense emozioni e shock, paura e malinconia, sensualità e angoscia, tristezza e tenerezza.