lunedì 28 giugno 2021

EDERA

Pianta arbustiva alta  6-20 metri; fusto rampicante con rametti e  rami con radice avventizia adesiva; foglie alternate,  sempreverdi, lucenti, 3-5 lobate  su rametti non  fioriferi, da ovato-lanceolate a romboidi su rametti fioriferi; fiori in ombrelle emisferiche, verdi, petali  carnosi, bruni esternamente, verdi internamente;   frutto come bacca  blu scuro; semi nerastri o giallastri. Fiorisce da settembre a ottobre. Cresce in boschi  umidi, boschi decidui con querce o faggi, su pareti e rocce (0-800  m). Comune, invadente. Tra  gli antichi Egiziani, l'edera era sacra a Osiride. Nel Papiro  Magico di Leida (III sec. d.C.), è riportata una ricetta per favorire il sonno, composta da radice di mandragora, giusquiamo egiziano ed edera, il tutto miscelato in vino. Dioscoride afferma che i corimbi o il succo delle fronde, se presi in eccesso, rendono il corpo languido e conturbano la mente. Secondo Plutarco (Latines  quaestiones)  l'edera contiene uno "spirito violento" che causa scoppi di delirio e convulsioni. Dà  una "ebbrezza senza vino", una specie di possessione, con tendenza all'estasi. Le foglie addizionate al vino causano delirio e disorientamento, come il giusquiamo. Soprattutto, l'edera era in relazione con il culto di Dioniso, a cui era sacra;  Dioscoride infatti, descrive tre specie di edera, una delle quali era nota come  dionysos. Probabilmente,  la furia delle Baccanti era causata da una  bevanda  a base di  edera. Plinio il Vecchio riporta che, presa in pozione, in dose massiccia,   provoca turbe mentali e che, internamente, confonde i sensi, purifica la testa e danneggia i sensi stessi, mentre esternamente   alleggerisce il mal  di testa. Bere il succo delle bacche protegge dall'ebbrezza. Probabilmente, il termine che nell'antichità indicava l'edera nascondeva in realtà un'altra pianta rampicante   dall'azione psicoattiva, per  esempio il vilucchio tricolore. Oppure,  il termine "edera" era lo pseudonimo di una pianta psicoattiva oggi ignota. Nell'antichità, le foglie erano addizionate al vino e alla birra. Nella tradizione celtica, troviamo la Dea  Madre Cerridwen.  Il suo calderone conteneva la bevanda dell'ispirazione e della conoscenza. Chi l'avesse bevuta, sarebbe stato illuminato e avrebbe conosciuto presente, passato e futuro in un unico istante. Secondo alcune interpretazioni, la bevanda era costituita da orzo, ghiande, miele, sangue di toro, edera, alloro e veratro bianco. L'edera era anche un ingrediente della spongia somnifera. Nella fitoterapia moderna, si usa per pertosse, bronchite cronica, tracheite, laringite, gotta, reumatismi, litiasi biliare, mestruazioni insufficienti, leucorrea, ipertensione, cellulite, nevralgie, reumatismi, nevriti, postumi di flebiti (edemi circolatori), piaghe, scottature, calli, duroni e polipi al naso. Fitochimica: Contiene acido chlorogenico, inoside, la saponina a-ederina e l'alcaloide emetina. Effetti: Nella moderna letteratura tossicologica si riporta che le foglie ingerite causerebbero allucinazioni. Inoltre, le foglie essiccate e fumate sarebbero inebrianti.

 

sabato 19 giugno 2021

ALICE NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE – Lewis Carrol


Nel meriggio dorato di sole 

Scivoliamo sul fiume indolenti, 

Mentre i remi, in mani inesperte, 

Da braccia di bimbi sospinti, 

Fingono invano  di tracciare un corso 

Tra i nostri sobbalzi esitanti 


Di bracciata in bracciata. Ah le crudeli 

Tre! Nel sognante dondolio 

Dell'acqua, in un tempo cosí magico, 

Richiedere il flebile brusio 

Di una storia. Ma resistere non riesce 

La voce sola al triplice ronzio 


Delle bimbe. L'editto è: — Si incominci! 

Cosí l'imperiosa Prima propone. 

— Ma  che ci sia nonsenso nella storia! 

In tono fermo Seconda già dispone, 

Mentre Terza  con voce impudente 

Interrompe ad ogni occasione. 


Poi, trascinata dalla fantasia, 

Ecco, la loro voce s'assottiglia, 

Mentre seguon la bimba  nel paese 

Di nuova straordinaria meraviglia, 

Dove parla cordiale con uccelli 

Ed animali. Ed al vero si assomiglia, 


E  ci credono un poco; ma la favola 

Già si esaurisce. Finisce la scorta 

Delle idee. L'aedo stanco cerca invano 

Di rimandar la storia ad altra volta. 

—  Il resto alla prossima puntata. 

—  Cioè adesso — Già si stringe la ritorta!

Bisogna  andare avanti! Cosf crebbe 

La  mirabile storia di Alice, 

Ogni  episodio estorto col ricatto 

E poi inserito nella sua cornice. 

L'approdo  serale della lieta ciurma 

Coincide  con la storia che finisce. 


Ecco, Alice! Con  gesto gentile 

Ricevi questa bambinesca   storia 

Ed offrila all'altare dell'infanzia 

Nel  cerchio mistico della memoria 

Come  fiori che il pellegrino ha colto 

Nella remota terra della  gloria.





domenica 13 giugno 2021

(SITTIN’ON) THE DOCK OF THE BAY – Otis Redding

Il suono del mare apre (Sittin' on) The Dock of The Bay, canzone di una bellezza unica Otis Redding la registra il 7 dicembre '67. Tre giorni dopo il suo aereo precipita nel lago ghiacciato Monoma, vicino a Madison, nel Wisconsin. Otis muore con il suo gruppo, i Bar-Kays. Finisce tragicamente un anno straordinario per lui che lo ha visto vincitore come miglior cantante nella classifica di Melody Maker, da cui ha scalzato Elvis Presley che vinceva da otto anni. Anche se la sua Respect era stata prima negli States nell'interpretazione di Aretha Franklin, Redding non aveva mai avuto un top 10 durante la sua vita. Questo disco postumo è 1° negli USA e vincerà due Grammy. La versione italiana di Mario Guarnera si chiamerà "Navi". 
Sono seduto sotto il sole del mattino
Resterò seduto quando si farà sera
Osservando le navi entrare
Poi le guarderò quando se ne andranno di nuovo, yeah
 
Sono seduto sul molo della baia
Mentre osservo la bassa marea,
Sono proprio seduto sul molo della baia
A perdere tempo
 
Sono partito da casa mia in Georgia
Diretto alla Baia di Frisco
Perché non avevo niente per cui vivere
E pare che niente troverò sul mio cammino
 
Quindi non farò altro che stare seduto sul molo della baia
Ad osservare la bassa marea, uuh
Sono seduto sul molo della baia
A perdere tempo
 
Sembra che niente debba cambiare
Tutto rimane come prima
Non sono in grado di fare ciò che dieci persone mi dicono di fare
Quindi suppongo che rimarrò quello di sempre
 
Seduto qui a riposare le mie ossa
E questo stato di confusione e di solitudine non vuole lasciarmi in pace
In giro per duemila miglia
Solo per poter fare di questo molo la mia dimora, già!
 
Mi siederò sul molo della baia
Ad osservare la bassa marea,
Sono seduto sul molo della baia

A perdere tempo

Nei cinque anni della sua folgorante carriera, il cantante e autore Otis Redding è passato dalla pedissequa imitazione dei grandi modelli della black music anni Cinquanta alla definizione di un proprio originale stile, tanto da assurgere indiscutibilmente al rango di "re del soul"; il suo nome è rimasto negli annali anche dopo  la scomparsa in un tragico incidente e oggi ancora la sua figura è ricordata, anche se la musica nera ha preso strade ben lontane dallo struggente pathos dell'artista. Figlio di un ministro del culto nel profondo Sud americano, Redding inizia la carriera come cantante di Johnny Jenkins & The Pinetoppers, pagando debito al selvaggio vocalismo di Little  Richard e ai più eleganti modi di Sam Cooke. Nel 1963 debutta come solista, convincendo i responsabili della Stax-Volt (così riporta la leggenda) con un provino inventato su due piedi durante una pausa in studio con Jenkins. Il primo 45 giri è These Arms Of Mine, seguito di lì a poco da una riscrittura di Ruler Of My Heart, di Irma Thomas, che diventa Pain In My Heart: i pezzi hanno successo e  Redding  diventa presto un beniamino nel circuito della black music sudista. La fama viene consolidata tra il 1964 e il 1965 da una serie di altri pezzi che presto si affacciano alla ribalta nazionale: Come To Me, Chained And Bound, I've Been Loving You Too Long (un brano scritto a quattro mani con Jerry Butler) appassionano il pubblico e definiscono il particolare stile dell'artista, che usa con sentimento la rugginosa voce in brani spesso in forma di ballata. L'anno della svolta è il 1965, quando Redding incide la scatenata Respect, inno della nuova musica nera poi ripresa con fortuna anche da Aretha Franklin: di quell'anno sono anche due celebri Lp, Otis Sings Soul Ballads e Otis Blue, che ampliano il discorso iniziato l'anno prima con Pain In My Heart, per la Atco, e che proseguirà poi con The Soul Album (1966). Interprete prolifico ed eclettico, Redding si mantiene al vertice della scena con un vasto repertorio che trae spunto da vari generi: a brani di nuovo R&B come I Can't Turn You Loose o Fa Fa Fa Fa si accompagnano versioni "nere" di pezzi beat (Satisfaction, Day Tripper) e cover che svariano dai primi anni Sessanta (Shake, dell'amato Sam Cooke) agli anni Quaranta (Merry Christmas Baby, di Charles Brown) e più indietro ancora (Try A Little Tenderness, un Harry Woods del 1932). Il 1967 è l'anno fatale dell'artista, nel bene e nel male. Redding lo passa per buona parte in studio, a incidere materiale per due Lp (Dictionary Of Soul e King & Queen, in duetto con Carla Thomas) e numerosi 45 giri, quando è libero da impegni di registrazione, si getta in vorticose tournée che lo portano fra l'altro due volte in Europa. Nei ritagli di tempo, progetta una propria etichetta, la Jotis, destinata a nuovi artisti emergenti: il primo è Arthur Conley, per cui Redding produce Sweet Soul Music, una rielaborazione della Yeah Man di Sam Cooke che va in testa alle classifiche di black music di quel periodo. La frenetica e fortunata attività è troncata drammaticamente il 10 dicembre 1967, quando il bimotore che trasporta Redding e il suo gruppo di accompagnamento, i BarKays, cade nelle acque del lago Monoma, nel Wisconsin, durante una tappa di trasferimento di un tour del Mid West. Giusto tre giorni prima del tragico incidente, Redding aveva registrato un nuovo brano scritto con Steve Cropper, Sittin' On The Dock Of  The Bay; pubblicato nel marzo 968, il pezzo riscuote  enorme successo e arriva, primo caso nella discografia dell'artista, in testa alle classifiche assolute americane. 



lunedì 7 giugno 2021

AU HASARD BALTHAZAR – Robert Bresson

Il mio film è partito da due concetti che si ricongiungono. In primo luogo: mostrare le tappe della vita di un asino uguali a quelle della  vita di un uomo. L’infanzia: le carezze. L'età matura: il lavoro.  Il talento o il genio: l'asino sapiente. Il periodo mistico che precede la morte: l'asino che trasporta le reliquie... In  secondo luogo: questo asino passa tra le mani di vari padroni, che rappresentano ognuno un vizio umano, ubriachezza, pigrizia, orgoglio, ecc.; egli ne soffre  in maniera differente, ma li vede con l'occhio di un  giudice. (Robert Bresson)

L'asino simboleggia la vittima, il sacrificato («È un santo!» - gli esclama la madre di Marie). Ognuno dei suoi padroni incarna a sua volta un vizio dell'umanità. Per ciascuno di essi Balthazar dovrà essere  oggetto di scherno e atroce vittima. La sua morte, con un carico d'oro, è il peccato, la maledizione stessa dell'uomo.  Balthazar non parla. Soffre e niente più. Ma il suo occhio appare quello dell'eterno. Dei suoi aguzzini Balthazar deve pur pensare su qualcosa: e la sua presenza, il suo sguardo, la sua docilità assume anche la consapevolezza  del giudice. V'è nel film una carica di umanità e di pietà che lo eleva al di sopra dei sentimenti comuni. È  l’opera di un maestro, ed è ben per questo che gli manca la novità, la provocazione, il sangue impetuoso delle opere giovani. Vi si apprezza una saggezza e una nobiltà  antiquaria.

Bresson è un artista credente, uno dei pochi validi rappresentanti di un cinema ispirato ai misteri della trascendenza. Ma il suo è un cristianesimo doloroso e inquieto, forse non immune da  venature giansenistiche, pessimista al punto di sentire in maniera ossessiva il peso del peccato originale, di contrapporre al male connaturato al mondo degli uomini (salvo la breve stagione dell'infanzia) il più umile e paziente degli animali quale simbolo di una innocenza perduta, di evangelica sopportazione e mansuetudine. È azzardata l'ipotesi che nel calvario di Balthazar, nella sua pupilla mite ma giudicante si riflette una allegoria divina?  La scelta dell'asino a questo proposito non è casuale;  dalla capanna della Natività alla festa della domenica delle Palme, a tutta la tradizione tipica e medievale questo animale è un testimone frequente nella anedottica e nella simbologia cristiana. Un apologo di sapore evangelico, dunque? Forse, ma certo di un vangelo moderno, con gli occhi bene aperti sulla disincantata realtà del nostro tempo. Così colui che fu il poeta del dubbio e della Grazia nel Diario di un curato di campagna, sembra approdare alla constatazione di un universo desolato, tutto crudeltà e corruzione, dal quale la luce della Grazia si allontana, e comunque esigerà ancora una lunga e penosa ricerca da parte degli uomini di buona volontà. Coerente anche se nuovo nell'approfondimento dei suoi motivi, Bresson altrettanto coerente nella costrizione dell'opera e nei modi stilistici. Il suo è un cinema che gli sprovveduti, i fatui, i palati guasti dalle volgari droghe del film mercantile potranno accusare di povertà, di squallore e di monotonia. Ma Bresson è artista del cavare non dell'aggiungere. La sua nudità francescana,  il suo dispregio per i lenocini spettacolari sono il risultato di una feroce disciplina, di una strettissima parsimonia espressiva, che chiude tutto  il racconto entro la geometria di linee dure e rigide, ravvivata però dal lievito di una straordinaria intensità e spiritualità interiore. Si vedano come a «test» tutte le scene di violenza, di brutalità e di erotismo; si veda la sequenza di Maria spogliata e percossa, la sua nudità pura come un quadro impressionista, e si comprenderà cosa significhi la suprema sobrietà di un'arte dove tutto, dalla fotografia alla colonna sonora, obbedisce a una sola armonia di rapporti e di ritmi.