mercoledì 26 ottobre 2016

Inalare freon René Daumal

Dopo tutta una serie di fenomeni ben conosciuti da coloro che hanno subito un’anestesia generale (rumore di motore a scoppio, formicolio di punti luminosi, ecc), i fosfeni assumevano all’mprovviso un’intensità tale che, anche a occhi aperti formavano davanti a me un velo, impedendomi di vedere dell’altro; nello stesso tempo si disponevano in un mosaico di cerchi e di triangoli, neri, rossi e bianchi, inscrivendosi e circoscrivendosi gli uni cogli altri e muovendosi in base ad una logica rigorosa per quanto geometricamente assurda. […] Con un'evidenza, una chiarezza di cui non posso dare la minima idea, tanto questo carattere di certezza, di necessità assoluta è ignorato dal pensiero umano normale, capivo il senso, sconvolgente, disperante per la sua semplicità come per la sua evidenza, di quel movimento visivo e sonoro: l’ultima parola di tutto, la spiegazione, detta tramite la voce di un assoluto di crudele ironia, dell’esistenza del mio spirito, stava in una specie di ragionamento ultra-logico terribilmente semplice, impossibile da tradurre. Non ho mai accettato, e non potrò mai accettare la fede cristiana in una dannazione eterna; tuttavia in quel momento, che posso recuperare se lo voglio in pochi istanti, ho la certezza, semplice e clamorosa, d’essere proprio io il solo essere irrimediabilmente perduto (e la parola perdita è soltanto una vaga approssimazione) che non sono altro, proprio io, che un semplicissimo circolo vizioso. 

venerdì 21 ottobre 2016

Le radici della DISCO

Disco è il termine che indica una musica up-tempo, comandata dalla batteria in 4/4, molto ballabile e variamente orchestrata che si è evoluta dagli standard musicali adoperati dalle discoteche per tutti gli anni Settanta. Nasce come musica delle minoranze. Nere, spagnole, omosessuali. I primi disco-club dell'area newyorkese spuntano proprio negli ambienti gay (Flamingo West 12, Paradise Garage). Solo in un secondo momento, quando l'industria impone poco religiosamente le mani sul genere, la fruizione si allarga indiscriminatamente a tutti, facendosi trend e smarrendo in parte le motivazioni di partenza.
Il fenomeno della disco music, oggi più semplicemente definita dance, è sempre stato fortemente criticato ed osteggiato dagli amanti del rock, specialmente in Europa, dove questo genere non possedeva le stesse radici che in America. In effetti, sotto molti punti di vista, la disco music ha rappresentato una semplificazione, e spesso anche una volgarizzazione, di certa musica funky soul. Riprendendo da quest'ultima la tendenza a riproporre un beat ossessivo e ripetitivo, la disco si è basata su uno schema assai monocorde, con una ridondanza, a volte irritante, di strumenti a fiato e di percussioni elettroniche.
Quasi tutti i critici sono concordi nel far risalire le origini della disco al cosiddetto soul psichedelico che si impose nella metà degli anni Sessanta grazie a gruppi come i Temptations. Nella seconda fase della loro carriera e nella terza i Temptations cominciano a prediligere, con l'apporto degli strumenti elettronici, composizioni lunghissime ed ipnotiche che suggestionavano l'ascoltatore ripetendo all'infinito la stessa frase musicale o lo stesso accordo di basso e batteria.
Nonostante le sdegnate reazioni tributate dai cultori del rock alla nascita della disco come fenomeno, avvenuta nella seconda metà degli anni Settanta, che negarono ogni rapporto di parentela tra le due forme musicali, la ritmica disco ha influenzato nel corso degli anni, una miriade di incisioni pop, rock e perfino new wave. Per molti artisti di colore della generazione precedente - Aretha Franklin, James Brown, Millie Jackson, Patti LaBelle, Chaka Khan, Smokey Robinson, Diana Ross... - l'inflessione disco fu una citazione per aggiornare il proprio soul o per correggere con una cadenza nuova il proprio funky. La contaminazione si è spinta oltre i confini dell'immaginabile tra alcuni artisti della Nuova Ondata - come Devo, Talking Heads, Blondie - dove sembrava ci fosse un rifiuto a priori, in forma e contenuto, per le sonorità da discoteca. 

mercoledì 12 ottobre 2016

Bakunin e la libertà

"Non divengo veramente libero se non attraverso la libertà altrui, così che più numerosi sono gli uomini liberi – e più profonda e più ampia è la loro libertà -, più estesa, più profonda e più ampia diviene la mia libertà. Si realizza la libertà illimitata di ognuno per mezzo della libertà di tutti. Confermata dalla libertà di tutti, la mia libertà si estende all’infinito”. (Michail Bakunin) .
Dunque la dimensione positiva della libertà è eminentemente collettiva; il suo ruolo, però, consiste nel potenziare la libertà individuale, non nell’indicare all’uomo le direzioni e il senso ultimo della sua azione, la cui natura rimane irriducibilmente soggettiva e perciò immune da ogni codificazione di senso proveniente da fonte esterna. Di qui una delineazione radicale del rapporto tra libertà individuale e contesto sociale, tra impulso esistenziale ed etica pubblica. Poiché, infatti, “la libertà individuale e collettiva è l’unica creatrice dell’orine umano”, ne deriva che da essa nasce “l’assoluto diritto di ogni uomo o donna adulti di non cercare per le proprie azioni altre conferme che quelle della propria coscienza e della propria ragione, di non determinarle che per mezzo della propria volontà e di esserne quindi, prima di tutto responsabili solo verso se stessi e poi nei confronti della società di cui fanno parte, ma solo in quanto consentono liberamente di farne parte.  


venerdì 7 ottobre 2016

Che cos’è la provocazione?

Per provocazione possiamo considerare l’infrazione di un tabù, superare un limite imposto dal pensare comune, offendere. Potremmo dire che la provocazione è strettamente legata alla cultura di un popolo. Un esempio infelice ma che rende bene l’idea è la pedofilia. Nell’antica Grecia era tollerata, tanto che per un giovane la maturità sessuale avveniva solo dopo un rapporto con un adulto. Oggi invece (sempre per assurdo), se dipingiamo o
fotografiamo “l’atto”, è reato, diventiamo provocatori, a differenza di chi, nella Grecia, ritraeva questi adulti e bambini col chiaro intento di “documentare” questa pratica comune.
Quindi la provocazione, come i valori estetici, vanno di pari passo con gli usi e i costumi di un popolo; la Venere “in carne” del Botticelli, rappresentava l’ideale comune di bellezza del XV secolo, oggi invece, questo ideale ci viene proposto dalla pubblicità, ed è ben diverso da quello rinascimentale.
Provocazione, è ormai la parola d’ordine nell’arte del Novecento, l’opera d’arte non deve più rispettare proporzioni o canoni estetici per imitare la natura, oggi, sembra che l’opera debba principalmente stupire, e per stupire, quasi sempre si ricorre alla provocazione.
Nella grafica pubblicitaria siamo pieni di immagini o testi provocanti, basti solo pensare alle campagne pubblicitarie della Benetton curate da Oliviero Toscani: le sue fotografie a parer mio sono un raro esempio di arte pubblicitaria, ben curate, ma soprattutto efficaci perché colpiscono immediatamente lo spettatore. L’immagine del bacio tra la suora ed il prete, è un ottimo esempio di come la provocazione non è universale: in Giappone, ad esempio, una scena simile non toccherebbe nessuno, questo perché non andremmo a infrangere un tabù della loro cultura, in questo caso, la religione.
Ma il movimento di provocazione per eccellenza è DADA.

Dada è in microbo vergine
Dada è contro la vita cara
Dada società anonima per l’espropriazione delle idee
Dada ha 391 atteggiamenti e differenti colori seguendo il sesso del presidente.
Esso si trasforma, afferma e dice il contrario nel medesimo istante – senza importanza – grida e pesca con la lenza.
Dada è il camaleonte del mutamento rapido e interessato
Dada è contro il futuro. Dada è morto. Dada è idiota. Viva dada. Dada non è una scuola letteraria urla.
(Tristan Tzara)


sabato 1 ottobre 2016

CALLE MAYOR di Juan Antonio Bardem

Isabel, una ragazza da marito che abita nella via principale (Calle Nayor) di una cittadina di provincia spagnola, viene raggirata con una ignobile farsa da un gruppo di vitelloni uno dei quali (Juan) si finge innamorato di lei e le fa credere di volerla sposare. Quando si accorge del raggiro, Isabel decide in un primo tempo, dietro consiglio dell'intellettuale Federigo, di andarsene; in seguito matura la decisione di rimanere in paese.

Il desiderio di andare dalla città ai campi è all'origine di Calle Mayor. Ho sempre pensato che il nostro cinema, per essere veramente nazionale, deve sfuggire al cosmopolitismo della grande città. Sulla strada tra la città e i campi vi è la provincia. La vita in una piccola città di provincia, oggi, un progetto davvero ambizioso. Il soggetto era andato profilandosi meglio: "La storia di una zitella della piccola borghesia in una piccola città di provincia, oggi". A spingermi in questa direzione c'è uno sviluppo di voci confuse, di ricordi, letture, che farei fatica a sciogliere ordinatamente. Ricordo il poema di Foxa: "Sei donne presso il verone, / Sei mogli di mariti ricchi...", e ricordo Lorca e il suo Dona Rosita nubile ambientato nella Granada di principio secolo, e ancora La senorita de Trevelez di Arniches, una storia terribilmente patetica. Per me Calle Mayor è stato il film più difficile. Un mondo, un'atmosfera, un ambiente sono difficili da rendere in termini di luce, immagini o suoni; specialmente se non si può disporre di un narratore che sa tutto e parla fuori campo.Ma questa atmosfera è il tema fondamentale di Calle Mayor. (Juan Antonio Bardem, in "Cinema Nuovo" n.87, 25 luglio 1956)  

Il merito di Calle Mayor è proprio questo di spezzare una lancia arditamente, in favore di una condizione nuova e meno umiliante per la donna e di farlo a rovescio, indicando non come la donna dovrebbe essere, in una società libera, ma come è bene che non sia. Attorno a questa donna spagnola mortificata e indifesa, c'è la Spagna che le somiglia. (Anna Garofalo, in "Cinema Nuovo" n.110, 11 luglio 1957)