mercoledì 21 dicembre 2016

Joan Mirò e i surrealisti

Joan Miró nasce a Barcellona il 20 aprile 1893. All’età di quattordici anni frequenta l’Accademia di Belle Arti di Barcellona. Tre anni dopo trova lavoro come contabile; ma colpito da esaurimento nervoso abbandona il commercio e riprende gli studi d’arte, frequentando dal 1912 al 1915 l’Escola d’Art di Francesc Galí. Nel 1917 incontra Francis Picabia e l’anno dopo tiene la sua prima personale nella galleria del mercante d’arte José Dalmau, a Barcellona. Nel 1920 si reca per la prima volta a Parigi dove incontra Pablo Picasso. Da allora divide il suo tempo tra Montroig, in Spagna, e Parigi, dove frequenta i poeti Tristan Tzara e Max Jacob e partecipa alle attività dada. Nel 1921 Dalmau gli organizza la prima personale a Parigi, alla Galerie La Licorne e nel 1923 l’artista partecipa al Salon d’Automne. Nel 1924 aderisce al gruppo surrealista. Del 1925 è la personale alla Galerie Pierre dove, nello stesso anno, partecipa anche alla prima mostra dei surrealisti. Nel 1928 visita i Paesi Bassi, dove inizia una serie di dipinti ispirati ai maestri olandesi e realizza i primi papier collé e collage. Del 1929 è la sua prima esperienza nel campo della litografia; le sue prime stampe risalgono al 1933. All’inizio degli anni trenta esegue composizioni scultoree surrealiste con inserzioni di pietre dipinte e oggetti vari. Nel 1936 lascia la Spagna a causa della guerra civile; vi ritornerà solo nel 1941. Dagli anni quaranta vive stabilmente a Mallorca, terra d’origine della madre, e a Montroig. Nel 1941 il Museum of Modern Art di New York allestisce un’importante retrospettiva del suo lavoro; nello stesso anno inizia a lavorare la ceramica con Josep Lloréns Artigas e, dal 1954 al 1958, ad occuparsi di stampe. Nel 1958 riceve il Guggenheim International Award per le decorazioni murali del palazzo dell’UNESCO a Parigi; l’anno successivo riprende a dipingere, iniziando una serie di tele di grandi dimensioni. Negli anni sessanta si dedica intensamente alla scultura monumentale. Nel 1974 il Grand Palais a Parigi allestisce un’importante retrospettiva; nel 1978, al Centre Georges Pompidou di Parigi, espone oltre cinquecento opere in occasione di una vasta retrospettiva. Muore a Palma di Maiorca il 25 dicembre 1983.
Il carattere “rivoluzionario” del Surrealismo si rivela quale avvio del progressivo tentativo di liberazione dell’uomo da quei processi di sopraffazione messi a punto dalla precisione “tecnologica” del potere (quella che Foucault chiamava “biopolitica”), e che si rivela anche oggi, innanzitutto nell’intento di un controllo – come ha rivelato Agamben ? nella limitazione dell’effettiva proprietà del proprio corpo. Tale processo di biologizzazione della politica, negli anni dei surrealisti, troverà una manifestazione senza precedenti nella politica (razzista) del Nazismo. È in questo senso che sarà da intendere il recupero, evocato da Breton, di una visione artistica che non fosse contaminata dalla ragione, asservita all’utilità sociale, al sistema di potere.

mercoledì 14 dicembre 2016

LO SKA

Verso la fine degli anni Sessanta la contestazione giovanile portò con sé un’improvvisa ondata di violenza nelle strade delle capitali occidentali. Il fenomeno, che toccò il suo apice a Parigi nel celebre maggio del ’68, non sfiorò incredibilmente quella città che per prima aveva reclamato per i giovani un ruolo diverso nella società: Londra. Carica di una tradizione di una democrazia particolare e patria di grandi marce della pace, la capitale inglese non conobbe né le barricate né le molotov della contestazione giovanile. Fu così che l’opinione pubblica rimase doppiamente sorpresa davanti a quelle immagini che i notiziari improvvisamente
diramarono in una serata dell’estate 1978: uno dei quartieri più popolari, quello di Portobello, era illuminato dalle vampate delle bottiglie incendiarie. Era il carnevale caraibico di Notting Hill, celebrato nel quartiere londinese con la maggior presenza di immigrati di colore, che si concludeva violentemente. Il primo di una lunga serie di carnevali violenti. I motivi delle sommosse non erano soltanto razziali. Emarginazione, disoccupazione, mancanza di alloggi e pessima qualità di vita avevano da tempo affratellato i giovani della Giamaica e della Martinica con una vivace generazione d’inglesi, ormai distante dalle conquiste dell’età dei Beatles, rodata nel mito della violenza punk, alla ricerca di qualcosa capace di sopire le delusioni, lenire le ferite.
Lo ska revival a Portobello Poad nacque così, in una mescolanza disperata di bianchi e neri, tra boccali di birra in buie cantine, rieducando il suono acerbo di un rock schematico, duro ed elettrico sulla plasticità tutta particolare di una musica caraibica chiamata ska. La divisa? Zazzere corte e spesso impomatate, vestiti scuri di taglia larga, cravatte argentee, scarpe bicolori con suola spessa, occhiali scuri e borsalino calato sulla nuca.
Lo ska è scoperta imprevedibile. Nel panorama della musica commercializzata giamaicana è insieme radice e coprotagonista del reggae. In essa si racchiudono i pochi elementi di una musicalità elementare: la preponderanza dell’elemento ritmico, il tempo accelerato in levare, l’accostamento negli arrangiamenti degli ottoni ai primi temi del beat britannico.

sabato 10 dicembre 2016

L’essenziale è essere collegati

Noi ci atteniamo alle forme morali e condizionali della libertà, mentre chi ha il potere di determinare la natura delle categorie di interpretazione del reale giunge sino alla forma incondizionale, parodistica, parossistica, di liberazione dell'immagine, di liberazione attraverso l'immagine. Non si vede perché l'immagine, una volta liberata, non dovrebbe avere il diritto di mentire. E' anzi probabilmente questa una delle sue funzioni vitali, ed è ingenuo pensare che si è liberata a profitto della verità.
L’immagine, e con essa l'informazione, non è legata ad alcun principio di verità o di realtà.
Il vero problema delle società attuali, allora non è più la sovrapposizione di beni, ma l'eccesso di produzione di informazioni nel sociale, che rovescia paradossalmente "la società dell'informazione in una società afasicà”, sempre più incapace di parlare.
L'informazione invece di fare comunicare si esaurisce nella messa in scena della comunicazione. Si gioca a parlarsi, a sentirsi, a comunicare, si gioca con i meccanismi più sottili di messa in scena della comunicazione.
L’essenziale è essere collegati, anche se non si ha nulla da "dire".


giovedì 1 dicembre 2016

LA RICOTTA di Pier Paolo Pasolini

Alla periferia di Roma, un regista inerte e sfiduciato che si atteggia a "intellettuale di sinistra" gira gli esterni di un film oleografico sulla Passione di Cristo. Mentre tecnici, attori e comparse svolgono il loro lavoro senza convinzione e in clima di baldoria, il sottoproletario Stracci, che interpreta la parte di uno dei ladroni, oppresso da fame atavica e dal problema del mantenimento di una moglie e di quattro figli, durante un intervallo delle riprese mangia troppa ricotta e muore di indigestione sulla croce.

Va posto un legame tra le due opere, il Vangelo edificante, estetizzante del suo Orson Welles regista, dove è affermato che chi muore crea lo scandalo, e il suo Vangelo Secondo Matteo, i cui protagonisti sono tutti proletari. Bisogna mostrare da dove lei è partito e quale cammino a percorso. (Jean-Paul Sartre, in "l'Unità" 22 dicembre 1964)

Si sa che per Marx il Lumpenproletariat era oggetto di disprezzo, e anche per le correnti che si richiamano alla sua dottrina simili frange disfatte della società borghese valgono unicamente in quanto elemento di rottura; Pasolini il marxismo è uno dei tanti temi mentali contemporanei di cui egli si impadronisce con l'intelligente dilettantismo del fiancheggiatore. (Gianfranco Contini, "La letteratura italiana", Sansoni, Firenze 1974)

Il mondo del"Passato", della "Tradizione", delle città antiche e di una intera civiltà precapitalistica, è riaffermato da Pasolini come vero "moderno" rispetto alla "Dopostoria" neocapitalistica. Gian Carlo Ferretti, "Pasolini: l'universo orrendo", Editori Riuniti, Roma 1976)