domenica 25 ottobre 2015

La rivoluzione non possiamo farla da soli

Poiché la rivoluzione non possiamo farla da soli, cioè non possiamo colle sole nostre forze attirare e spingere all’azione le grandi masse necessarie alla vittoria, e poiché anche aspettando un tempo illimitato le masse non potranno diventare anarchiche prima che la rivoluzione sia incominciata, e noi resteremo necessariamente una minoranza relativamente piccola fino al giorno in cui potremo cimentare le nostre idee nella pratica rivoluzionaria, negare il nostro concorso agli altri ed aspettare per agire di essere in grado di farlo da soli, sarebbe in pratica, e malgrado le parole grosse e i propositi radicali, un fare opera addormentatrice, ed impedire che si incominci colla scusa di volere con un salto arrivare di botto alla fine. Noi non vogliamo aspettare che le masse diventino anarchiche per fare la rivoluzione, tanto più che siamo convinti che esse non lo diventeranno mai se prima non si abbattono violentemente le istituzioni che le tengono in schiavitù. Credo che l’importante non sia il trionfo dei nostri piani, dei nostri progetti, delle nostre utopie, le quali del resto hanno bisogno della conferma dell’esperienza e possono essere dall’esperienza modificate, sviluppate ed adattate alle reali condizioni morali e materiali dell’epoca e del luogo. Ciò che più importa è che il popolo, gli uomini perdano gli istinti e le abitudini pecorili, che la millenaria schiavitù ha loro inspirate, ed apprendano a pensare ed agire liberamente. Ed è a questa grande opera di liberazione che gli anarchici debbono specialmente dedicarsi.

lunedì 19 ottobre 2015

CORIANDOLO

Pianta erbacea annuale alta 40-120 cm; fusto lanciato e striato; foglie inferiori divise in pochi e larghi segmenti, con bordi dentellati, foglie superiori molto più numerose e finemente divise in lacinie lineari e acute, entrambe glabre, luccicanti; ombrelle a 4-8 raggi; fiori bianchi; frutto rotondo; semi rotondeggianti, da bruno a rosso-giallo, con spigoli alternati, diritti, ondulati. Fiorisce da maggio a giugno. Cresce tra le messi (0-1000 m). Naturalizzata, subspontanea, anche coltivata, diffusa tramite le coltivazioni e a queste sfuggita.
Nell'antico Egitto si aggiungeva al vino per le supposte proprietà psicoattive e gli indovini facevano uso dei semi per scacciare i demoni selvaggi. Porfirio, nel III secolo d.C., presenta una preparazione per rilevare i segreti, composta da semi di coriandolo, zafferano, giusquiamo nero, semi di apio, oppio, succo di cicuta. Ricordiamo la ricetta di Agrippa per invocare gli spiriti. E' un ingrediente della ricetta del XVI secolo per radunare i demoni inferiori e di un'altra per evocare gli spiriti. In quest'ultimo caso, la miscela da fumigare era composta da giusquiamo, radice o semi di finocchio, olibano, semi di coriandolo e corteccia di cassia. Si andava in una foresta oscura, dove si accendeva una candela nera. S'inalava poi il fumo della preparazione finché la candela non si spegneva all'improvviso. Allora compariva dall'oscurità lo spettro della notte. per cacciarlo, si doveva fumare asafetida (Ferula asa-foetida) e olibano.
In gran quantita potrebbe essere narcotica e anche allucinogena.

domenica 11 ottobre 2015

L'origine del dramma

L'origine del dramma (della tragedia greca come dei canovacci drammatici del Medio Oriente e dell'Europa) è stata ritrovata in alcuni rituali stagionali che sviluppavano, per sommi capi, la seguente sequenza: combattimento tra due principi antagonisti (Vita e Morte, Dio e Dragone, ecc.), passione del Dio, lamento della sua morte gioia che saluta la sua resurrezione. Se è vero che il dramma deriva da questi soggetti rituali e che si è costituito come fenomeno autonomo utilizzando gli elementi del rito stagionale, a ragione si parla quindi di origini sacre del teatro profano. Ma la differenza qualitativa fra le due categorie di fatti non è per questo meno evidente; lo scenario rituale apparteneva all'economia del sacro, esprimeva esperienze religiose, riguardava la salvezza della comunità considerata come un tutto; il dramma profano, quando si definì il suo proprio universo spirituale e il proprio sistema di valori, provocava delle esperienze di tutt'altra natura (le emozioni estetiche) e perseguiva un ideale di perfezione formale perfettamente estranea ai valori dell'esperienza religiosa. Vi è dunque una soluzione di continuità fra i due piani, anche se, lungo i secoli, il teatro si è mantenuto in una atmosfera sacra. Esiste un divario incommensurabile tra chi partecipa religiosamente al sacro mistero di una liturgia e chi ne gode da esteta la bellezza spettacolare e la musica che l'accompagna,

domenica 4 ottobre 2015

M - IL MOSTRO DI DUSSELDORF di Fritz Lang

L'uccisione di alcune bambine semina iòl terrore nella città di Dusseldorf. Anche la malavita organizza la caccia al "mostro". E'un mendicante cieco ad identificarlo. Portato davanti ai malviventi per essere giudicato. Il "mostro" pronuncia un'autodifesa. L'intervento della polizia lo salva da un'esecuzione sommaria.

Sempre di più, a volte con riluttanza, sono giunto alla conclusione che in ogni mente umana alberga un impulso a uccidere. (Friz Lang, in Los Angeles Herald Express, 12 agosto 1947)

M è evidente la preoccupazione di rappresentare in modo realistico uomini e ambienti. Lo stupratore assassino di Peter Lorre è uno dei personaggi più sconvolgenti e meno teatrali che Fritz Lang abbia creato. Nella descrizione dell'ambiente della malavita e della polizia, egli sintetizzò un aspetto caratteristico di Berlino. Gli elementi realistici e quasi documentaristici di questo film crearono la base per le opere di Fritz Lang americano. (Rudolf Arnheim, in Cinema n. 28, 15 dicembre 1949)

L'assassino nei tratti fisionomici di Peter Lorre, ripete il pauroso e vendicativo senso d'inferiorità della piccola borghesia, quindi non è condannabile per se stesso. Non ha colpa se i secoli hanno adunato in lui dolori e mali che lo spingono alla ferocia: è condannato all'assassinio della sua sorte. Si difende da una minaccia che non riesce a distinguere, incrudelendo nel modo più ripugnante contro l'innocenza del prossimo, presa a immagine della società che odia.
((Vito Pandolfi, Il cinema nella storia, Sansoni, Firenze 1957)