sabato 27 aprile 2019

IL LUPO di Paul Eluard

La buona neve il cielo nero
Le rane morte lo squallore
Della selva piena d'insidie
Onta alla bestia inseguita
La fuga in freccia nel cuore

Tracce d'una atroce preda
Dagli al lupo e quello è sempre
Il lupo più bello ed è sempre
L'ultimo vivo sotto la minaccia
Dell'assoluta massa di morte.
Paul Éluard, pseudonimo del poeta francese Eugène Grindel (Saint-Denis, Parigi, 1895 - Charenton-le-Pont 1952). Poeta delle immagini, tra i maggiori esponenti del surrealismo. Uomo pacifista che ha vissuto il fronte, la malattia, il dolore e l’amore. Poeta policromatico, politicamente impegnato, aderì al gruppo surrealista ai cui principî rimase sostanzialmente fedele, pur nell'evoluzione della sua poesia da tematiche individualiste, di lirismo amoroso, a contenuti di forte ispirazione sociale, maturati durante i suoi viaggi in Europa, in Asia e in Spagna, alla vigilia della guerra civile.



venerdì 19 aprile 2019

Barry McGuire - Eve Of Destruction

Originario del'lOklahoma,dopo aver lavorato come pescatore commerciale, e poi come artigiano del tubo, McGuire ha ottenuto un lavoro cantando in un bar. Nel 1961 pubblicò il suo primo singolo chiamto "The Tree". Tempo dopo entrerà a far parte dei New Christy Minstrels, il gruppo folk leggero che in tempi diversi accoglierà anche Gene Clark e Jerry Yester e che, in un momento di sbandamento artistico approderà al Festival di Sanremo a cantare Le colline sono in fiore. Dopo questa esperienza il McGuire della prima metà degli anni '60 inizia una bella carriera di folksinger, sul modello di Hoyt Axton, grazie alla sua voce profonda e un repertorio nobile. Nel 1965 l'artista si contamina con il sound della California flower power, e si avvicina agli ambienti del folk rock; conosce Lou Adler che lo fa entrare alla Dunhill, e il cantautore P.F. Sloan che gli ofre Eve of Destruction. Con la voce roca ed arrabbiata di McGuire che conferisce un tono di apocalittica profezia, la canzone sale fino al primo posto delle classifiche americane. 

L’Est del mondo sta esplodendo
La violenza si diffonde, i colpi sono in canna
Tu sei abbastanza grande per uccidere, ma non abbastanza per votare
Tu non credi nella guerra, ma che cos’è quell’arma che stai imbracciando?
E perfino sul fiume Giordano ci sono dei corpi che galleggiano 

Ma dimmi, amico, ancora ed ancora
Non credi che siamo al principio della fine?
Non capisci quello che sto tentando di dire
E non riesci a percepire i timori che sento oggi?
Se verrà premuto il bottone, non ci sarà nessun posto dove scappare 
Nessuno si salverà, il mondo diventerà una tomba

Dai una occhiata attorno a te, ce n’è abbastanza per spaventarti, ragazzo.
Ma dimmi, amico, ancora ed ancora
Non credi che siamo al principio della fine?
Si, il mio sangue è così furioso che sembra stia coagulando
Sono seduto qui e sto facendo considerazioni
Io non posso rivoltare la verità, (la verità) non conosce regole
Un piccolo numero di senatori non fa passare la nuova legge
E le marce da sole non possono portare l'integrazione 
Quando il rispetto per l’uomo si sta sgretolando
Questo grande pazzo mondo è veramente troppo frustrante
E dimmi, amico, ancora ed ancora
Non credi che siamo al principio della fine?

Pensa a tutto l’odio che c’è nella Cina rossa 
E dopo getta un occhio a Selma in Alabama
Ah, tu puoi girare per quattro giorni nello spazio
E quando torni giù è sempre il solito vecchio posto
Il rullo dei tamburi, l’orgoglio e il disonore
Tu puoi incendiare la tua testa, senza lasciare traccia
Odia il tuo vicino, ma non dimenticare di dire le preghiere

E dimmi, amico, ancora ed ancora
Non credi che siamo al principio della fine?

No, no, tu non ci credi che siamo al principio della fine.




venerdì 12 aprile 2019

REGGAE

"Il reggae diventerà un vero combattimento. Non lo si può capire in un giorno, è una cosa che viene poco a poco" (Bob Marley) 

In principio era il mento, che con il calipso divideva le radici ma se ne differenziava per i frutti: tanto dolci e belli a vedersi erano i secondi, quelli della Giamaica da cartolina di Harry Bellafonte, quanto sporchi e amari i primi, al punto di attirarsi le ire della Chiesa. Poi venne lo ska, onomatopea del ritmo percussivo (boom-ska, boom-ska) e fusione di mento e rhythm and blues, genere andato in auge nei primi anni Sessanta e tornatovi circa due decenni dopo, dove la voce aveva funzione di strumento perché la velocità della musica impediva un testo coerente. Quindi fu il momento dello Steady rock, dove le parti cantate assumevano maggiore importanza, il ritmo era meglio definito, più spezzato e meno danzereccio.
Infine arrivò il reggae, con la tipica accentuazione dell'uso del basso e delle chitarre a contrappunto. Lingua unidimensionale, imperniata sull'iterazione di una forma fissa e semplice, il reggae è però qualcosa di più della somma di mento, ska e steady rock. Il reggae è, la prima volta nell'evoluzione della musica giamaicana, uno stile che vuole condurre a una doppia liberazione, del corpo e dello spirito, che ambisce a far muovere i piedi in direzione precisa e non solo a dimenticare la staticità del presente.
L'inconfondibile ritmo di base ha la funzione precisa di comunicazione sociale, serve a stabilire il contatto. Al pari di un "pronto chi parla?" o di un "come va?", il caratteristico tempo di 4/4 in levare sancisce l'adesione a una sottocultura, a un linguaggio che rascende il momento musicale. Per questo il reggae - contrariamente alla tendenza storica della musica nera americana di reinventare continuamente le sue forme, mescolando e agendo, diluendo e improvvisando - negli anni di Bob Marley è rimasto fedele a se stesso, a un ritmo sempre uguale perché non v'era motivo di farlo diverso. - 
Il reggae - come il primo blues e il primo rock'n'roll - non ha faticato a tener lontane le tensioni sperimentative e i matrimoni tra ibridi; come ogni musica nata in strada, rimane ancorata alle sue regole e ai suoi codici fino a quando dalla strada non si toglie per visitare altri luoghi. Per questo il reggae è stata l'unica espressione musicale sopportata e applaudita dal punk, il cui nichilismo distruggeva chiunque.
Le radici del reggae affondano nella schiavitù della gente di Giamaica.

venerdì 5 aprile 2019

IL PRATO DI BEZIN di Sergej M. Ejzenstejn

Il giovane Stepok, pioniere d'una comune agricola sovietica, denuncia il padre, sostenitore dei Kulak, quale responsabile di un incendio provocato per sabotare il raccolto del grano del Kolkoz. La chiesa ortodossa dove si barricano gli incendiari in fuga viene profanata dai contadini progressisti: Stepok viene ucciso dal padre con una fucilata.
L'errore di cui le autorità sovietiche accusavano Il prato di Bezin deriva dalla sceneggiatura, ma l'interpretazione registica non è insorta contro gli elementi negativi, e ha continuato, nonostante le possibilità offerte dalla seconda steura, a ripetere i difetti iniziali
(Sergej M. Ejzenstejn, in"Cinema Nuovo" n.190, novembre-dicembre 1967)

Il prato di Bezin è centrato su un conflitto personalizzato, tanto drammaticamente veemente ed egemonico da assoggettare al proprio contenuto simbolico il conflitto sociale. Il motivo centrale del film com'è noto, un fatto reale. Ejzenstejn fu attratto da questo materiale per una serie complessa di motivi: l'intensa tensione drammatica del conflitto; il significato simbolico della rivolta contro il padre; il sentimento di una nuova, inattesamente aspra fase storica, diversa, nella sua imminente tragicità, dalla guerra rivoluzionaria della prima trilogia e dalla serenità laboriosa, tra epica e bucolica, de Il vecchio e il nuovo. La storia mostrava un nuovo volto, enigmatico e spietato, e il mondo poetico di  Ejzenstejn si complicava di nuove forme e di nuovi simboli.
(Vittorio Strada, "Sergej Ejzenstejn", Edizioni Alice, Torino 1970)