lunedì 25 luglio 2016

LA CITTÀ BASTARDA

Le città aumentano di numero e di dimensioni, ma il fenomeno urbano continua a proporsi piuttosto come una rete di relazioni economiche, politiche e umane, con maglie più dense e spazi più radi. Le città contemporanee sono il palcoscenico o il campo di battaglia su cui poteri globali e significati e identità ostinatamente locali si incontrano, si scontrano, lottano e cercano un accordo soddisfacente, o appena sopportabile, una modalità di coabitazione che si spera sia una pace duratura ma che di norma si rivela soltanto un armistizio; brevi pause per riparare le difese danneggiate e dispiegare nuovamente le unità di combattimento. 
La città è il luogo centrale della politica, del mercato, dei flussi di informazione, delle mode e delle tendenze culturali, ma anche il luogo dell’affollamento, del distacco dalla natura, del traffico e dell’inquinamento. Soprattutto è il luogo della folla; è la crescita quantitativa di persone coinvolte da uno stile di vita urbano. I poveri rappresenteranno la maggior parte dei nuovi cittadini. Stili di vita globali si fondono con retaggi di conoscenze locali, producendo nuovi modi di essere, di attribuire un significato alla realtà circostante, ma anche nuove fonti di ansia e di aggressività. Le città sono diventate le discariche di problemi concepiti e partoriti a livello globale. La città non è solo una macchina funzionale che genera e gestisce capitali, informazioni, politica e persone in un mercato globalmente connesso ma anche uno spazio dove si incontrano, scontrano e incrociano saperi e culture. Nella loro crescita vertiginosa, le città, soprattutto quelle di maggiori dimensioni, accolgono più generazioni di migranti, diversi per stato sociale e culturale: la cosmopoli si presenta come un universo multiforme che include ogni forma di diversità culturale ed etnica. Le città è il luogo dell’arricchimento culturale, dello scambio e dell’incontro, ma anche della perdita dei propri legami comunitari e valori tradizionali, del senso di appartenenza al territorio e alla natura: il nuovo cittadino si trova in molti casi a vivere in condizioni disagiate e soffre per l’emarginazione, l’esclusione e lo sradicamento che si traducono, talvolta, in comportamenti violenti e aggressivi. Il modello di vita della città globale, inoltre, è spesso associato all’imposizione di valori e stili di vita occidentali, non sempre condivisi.

(Tatto da ROMANZO IN POLVERE di Gepy Goodtime, edizioni La Paz, Caracas 1977) 

martedì 19 luglio 2016

La tossicodipendenza degli animali

Il locoismo è un fenomeno di  tossicodipendenza degli animali nei confronti di numerose piante. Si tratta di un folto gruppo di specie di erbe selvatiche dei campi (almeno una quarantina) appartenenti soprattutto al genere delle Leguminose, che sono psicoattive per diversi animali. Gli animali sino ad oggi individuati coinvolti nella tossicodipendenza da “erba pazza”, nota come locoismo, sono: mucche, muli, cavalli, pecore, antilopi, maiali, conigli, galline. Una volta che l’animale ha appreso a distinguere l’erba che gli procura l’ebbrezza fra le numerose che ingerisce, diventa un ricercatore e consumatore abituale di quella particolare pianta. Una caratteristica del locoismo risiede nella tenacia con cui gli animali cercano la pianta per loro inebriante. Mentre gli allevatori sradicavano l’“erba pazza” dai pascoli, si sono viste mucche e cavalli rubare i sacchi in cui l’erba era stata raccolta, rovesciando addirittura i carri dove questi sacchi erano stati stipati. I cavalli, in preda ad allucinazioni e attacchi maniacali incontrollabili, dopo aver divorato i fiori e le foglie dell’“erba pazza”, si mettono a scavare per estrarre e mangiare anche la radice. Un dato sorprendente riguarda il fatto che, più gli animali si interessano all’“erba pazza”, più questa si diffonde nel pascolo, sino a diventare la pianta dominante. Decine di pascoli sono stati abbandonati dagli allevatori perché oramai invasi esclusivamente dall’“erba pazza”. Nonostante le misure repressive adottate dagli allevatori (sradicamento dell’“erba pazza” dal pascolo, separazione dei piccoli appena nati dalle madri tossicodipendenti, ecc.) sia la pianta che il comportamento animale di ricercarla e consumarla continuano a esistere e ad essere uno dei più importanti flagelli della zootecnia nordamericana. Molti animali dediti al locoismo muoiono, ancor prima che per la tossicità intrinseca dell’“erba pazza”, a causa dei pesanti digiuni da altri alimenti a cui si sottopongono, così impegnati dall’unico interesse che gli è rimasto su questa terra: cercare il “seme pazzo”.

domenica 10 luglio 2016

BESSIE SMITH

Bessie veniva da una famiglia poverissima di Chattanooga, dove era nata nel 1896 in quello che chiamava una "baracchetta sgangherata", con i cinque fratelli e sorelle che erano sopravissuti. A otto anni era già orfana di entrambi i genitori. Quasi la metà dei 30.000 abitanti di Chattanooga erano neri, e molti senza lavoro. Alle spalle di Bessie, come di ogni donna nera, c’era la condizione di cittadina di seconda classe, la segregazione e la miseria più squallida; nonostante tutto il successo non dimenticò mai la sua identità sociale e la sua provenienza.
Molti considerano un suo disco del 1928 Poor Man’s Blues, uscito prima della grande depressione degli Anni Trenta, uno dei suoi lavori più emozionanti. Molte sue canzoni erano opera di autori professionisti, ma questa era una sua composizione, realizzata con un controllo glaciale e una rabbia lenta e appassionata


Mother rich man, rich man. Open up your heart and mind,
Mother rich man, rich man. Open up your heart and mind,
Give the poor man a chance, help stop these hard, hard times.

While you’re living in your mansion, you don’t know what hard times mean;
While you’re living in your mansion, you don’t know what hard times mean;
Poor working man’s wife in starving; your wife is living like a queen.

Please listen to my pleadin’ , ‘cause I can’t stand these hard time long
Aw, listen to my pleadin’, can’t stand these hard time long
They’ ll make an honest man do things that you know is wrong.

Now the war is over, poor man must live, the same as you,
Now the war is over, poor man must live, the same as you,
If it wasn’t for the poor man, mister rich man, what would you do?

(Signor ricco, ricco, apri il cuore e la mente / Signor ricco, ricco, apri il cuore e la mente / dà un’ occasione al povero, fai finire quei tempi duri. / Tu vivi nel tuo palazzo, non sai cosa vogliono dire i tempi duri / Tu vivi nel tuo palazzo, non sai cosa vogliono dire i tempi duri / la moglie del povero muore di fame, tua moglie se la passa da regina. / Stai a sentire la mia supplica, per favore, perché questi tempi duri non li possono reggere più. / Stai a sentire la mia supplica, per favore, perché questi tempi duri non li possono reggere più. /  Va a finire che un bravo uomo fa delle cose sbagliate sai.
Adesso la guerra è finita, il povero deve vivere come te,  / se non fosse per il povero, signor ricco, come faresti?)  


sabato 2 luglio 2016

L'intendente Sansho di Kenji Mizoguchi

Per aver solidarizzato con i contadini oppressi, il governatore di una provincia del Giappone dell'XI secolo viene destituito ed esiliato. Sei anni dopo, la moglie, il figlio Zushio e la figlia Anju, mentre tentano di raggiungerlo, sono catturati e venduti come schiavi. Passano altri dieci anni. Presso il crudele intendente Sansho, Zushio fa carriera, divenendone il principale aiuto. Poi si ravvede, anche per i rimproveri della sorella e, fattosi riconoscere dalle autorità ufficiali e nominato governatore, arresta l'intendente e decreta la soppressione della schiavitù. Dimissionario, ritrova alla fine la vecchia madre cieca; padre e sorella nel frattempo sono morti.

Oggi come ieri, voglio fare dei film che rappresentino la vita e i costumi di una società data. Ma non si deve, in alcun caso, gettare lo spettatore nella disperazione. Bisognerebbe inventare un nuovo umanesimo che possa apportargli salvezza. Io voglio continuare a esprimere il nuovo, ma non posso abbandonare del tutto l'antico. Conservo un grande attaccamento al passato, mentre non ho che poca speranza nell'avvenire.
(Kenji Mizoguchi, in "Cahiers du Cinéma" n.116, febbraio 1961)

Scompare il falso romanticismo dei film in costume e scompaiono perfino gli scontri alla spada. L'eroe vince perché ha il diritto dalla sua. Mizoguchi insisteva ancora una volta sulla "tradizione umanistica", senza mai rinunciare alla speranza, per quanto cupo potesse apparire il futuro dei due bimbi. Soprattutto eccellente era la fotografia di Kazuo Miyagawa, l'operatopre di RASHOMON, che dava al film una bellezza in netto contrasto con l'orrore apparente del tema.
(Joseph L. Anderson e Donald Richie, "il cinema giapponese", Feltrinelli, Milano 1961)