venerdì 23 settembre 2016

L’ironia nel blues

L’ironia che domina il blues, il ridere per non piangere, la brava donna che sta male e il senso di speranza nel dolore, strettamente connesso con il senso di dolore nella speranza, impedisce di considerare questa musica musica di protesta. Come musica del sentimento del feeling, un sentimento che va condiviso con altri, il blues è evocazione ed esplorazione di una reazione personale e di carattere emotivo al mondo circostante. Quanto alla rabbia, l’insulto e la protesta sono di per sé reazioni a cose inaccettabili, e il blues può contenere questo atteggiamento, ma di solito con un certo scetticismo riguardo alle conseguenze, ai risultati.

If my captain ask for me,
Tell him Abe Lincoln set us free;
Ain’ no hammer on this road
Gonna kill poor me.

This ol’ hammer
Killed John Henry,
But this hammer
Ain’ gonna kill me.

I’m headin’ for my shack
Whit my shovel on my back,
Altho’ money what I lack,
I’m goin’ home.

(Se il capo mi cerca, / ditegli che Abe Lincoln ci ha liberato / non mi lascerò ammazzare / da un martello su questa strada. / Questo martello / ha ucciso John Henry /ma questo martello / non ucciderà me. / Me ne vado alla mia baracca / con la pala in spalla, / anche senza soldi / me ne vado a casa.) 


sabato 17 settembre 2016

Non c’è che la volontà di vivere

Non c’è che la volontà di vivere. Quelli che osano oggi glorificare il lavoro sono gli stessi che chiudono le imprese per giocarsele in borsa alla roulette delle speculazioni borsistiche. 
Ubbidendo alla logica del profitto a breve termine, il valore d’uso del lavoro cede il passo al suo valore di scambio. Per quanto l’oscurantismo della nostra epoca  e la società dello spettacolo si sforzano di propagare l’istupidimento, l’insensibilità, il servilismo, la legge del più forte e del più furbo, niente potrà impedire al pensiero radicale di avanzare e di minare di nascosto lo spettacolo in cui la miseria esistenziale è elevata a virtù. Non c’è riuscita possibile per le ideologie ammuffite e per le vecchie gomme sgonfie della religione rigonfiate in tutta fretta, rimesse in sesto, gettate in pasto a una disperazione che l’affarismo è bravo a rendere redditizia.
Nel bene e nel male è iniziata la fine dello sfruttamento della natura, la fine del lavoro, dello scambio, della predazione, della separazione da sé stessi, del sacrificio, dei sensi di colpa, della rinuncia al piacere, del feticismo del denaro, del potere, dell’autorità gerarchica, del disprezzo e della paura della donna, della subornazione del bambino, dell’ascendente intellettuale, del dispotismo militare e poliziesco, delle religioni, delle ideologie, della rimozione e dei suoi sfoghi mortiferi.
Non c’è che la volontà di vivere che permetta il predominio dell’essere sull’avere, del godimento sull’appropriazione, della creazione sul lavoro e dall’affinamento dei piaceri sulla redditività delle loro rappresentazioni mercantili.

domenica 11 settembre 2016

Il sotterraneo vellutato di Lou Reed

Suonavamo insieme da molto tempo, in un appartamento da trenta dollari al mese. Non avevamo un centesimo, mangiavamo fiocchi d'avena giorno e notte e facevamo di tutto per procurarci denaro: donavamo sangue, posavamo per quei giornaletti scandalistici che si vendono a 10 o a 15 centesimi. La storia che raccontavano sotto la mia foto diceva che ero un maniaco sessuale omicida, che avevo ucciso 14 bambini e registrato su nastro le loro morti per poi riascoltarlo a mezzanotte in un granaio del Texas. E sotto la foto di John scrissero che aveva ammazzato il suo amante perché stava per sposare sua sorella e lui non voleva che sua sorella sposasse un finocchio.
Poi rimediammo un ingaggio in un caffè. Un posto terribile. Sei concerti a sewra per sette sere alla settimana. Cinque dollari a testa per sera. Ci licenziarono dopo una settimana e mezza. Odiavano follemente la nostra musica.
Finalmente incontrammo Andy. Il nostro è un matrimonio perfetto. Ad esempio, Andy ha fotografato una banana per la copertina del primo album. E' una banana straordinariamente sexy, si può sbucciare (solo nelle prime copie dell'album) e sotto è ancora più sexy-
Nessuno scrive mai cose carine di noi o ci considera seriamente, ma va bene lo stesso. Pubblicheremo tutte le stroncature sulla copertina dell'album. Chiunque faccia l'amore con la nostra musica in sottofondo non ha vera necessità di un partner. Siamo soltanto all'inizio. Se i Velvet Underground faranno un po' di soldi per costruire alcune macchine, non ci sono limiti a quello che potremo fare. 

lunedì 5 settembre 2016

I dannati di Varsavia di Andrzej Wajda

Nel settembre del 1944, quando l'Armata Rossa vittoriosa era ormai vicina, Varsavia insorge contro gli occupanti tedeschi e sopporta una durissima repressione. Alcuni insorti cercano scampo fuggendo nelle fognature della città. Nell'allucinante dedalo dei canali sotterranei, costoro muoiono a uno a uno, suicidi o uccisi dai nazisti.

Forse c'erano delle ragioni specifiche che contribuiscono al successo dei miei film. Per quanto concerne I dannati di Varsavia, è possibile che sia stata una cosa che si vede raramente al cinema: il fatto che l'accanimento umano, l'accanimento nella difesa della vita, può raggiungere proporzioni tali da far si che la gente scenda in fogne puzzolenti, cosa che è già di per se stessa simbolo di qualcosa di atroce. Del resto, l'avvenimento stesso, l'insurrezione di Varsavia, era generalmente noto. E' uno di quegli episodi della storia - strano, paradossale, tragico - che reclama di per se stesso una opera d'arte che lo rappresenti. Mi sembra che esistano nel mondo dei soggetti che richiedono un film. (Andrzej Wajda, in "E'tudes Cinématographiques" n. 69-72, ottobre 1968)

I dannati di Varsavia è un opera originale, matura e sconvolgente, sulla sollevazione di Varsavia nel 1944. Wajda considera questo film la sua realizzazione più completa. Infatti è irripetibile la nebbiolina che si solleva dai liquami della cloaca di Varsavia e a momenti la trasforma in Eden di musica e di amore nel quale i tragici eroi di Wajda si confrontano senza speranze con il proprio destino. (Sveta Lukic, in "Cinema Nuovo" n. 257, febbraio 1979)