Catturato dai tedeschi in Belgio, lo statunitense Billy Pilgrim viene trasferito in un campo di concentramento. Qui, subisce le persecuzioni di un altro internato, Paul Lazzaro, che lo crede responsabile della morte dell'amico Willy; ma viene anche difeso dall'anziano professore Edgar Derby, anch'egli prigioniero. Il gruppo dei prigionieri americani viene trasferito dai tedeschi a Dresda, nello Schlachtow Funf (Mattatoio 5). Il 13 febbraio 1945, gli statunitensi bombardano la città distruggendola e uccidendo centotrentacinquemila persone: un massacro orrendo ed inutile. Durante i lavori di sgombero delle macerie, Derby viene ritenuto ingiustamente un ladro e ucciso dalle SS. Finita la guerra, Billy torna accanto alla moglie Valencia e ai figli Barbara e Robert; riprende con successo la sua professione di oculista. Non riesce però a cancellare dalla memoria i momenti terribili del suo passato. Poi, esce miracolosamente vivo da un incidente aereo. Dopo la morte della moglie, finisce per abbandonarsi completamente alle proprie fantasie aliene. Un giorno, la figlia e il genero lo trovano morto nella sua villa in campagna. George Roy Hill è arrivato al cinema, dopo una lunga esperienza di regia teatrale e televisiva, nel 1962 con il trasferimento sullo schermo di una commedia di Tennessee Williams già da lui allestita in teatro. Seguirono Il mondo di Henry Orient, interpretato da Peter Sellers, Millie, un musical con Julie Andrews, e nel 1970, Butch Cassidy, un western interpretato da Paul Newman. La parte migliore del film è nella evocazione dei fatti che hanno ottenebrato la mente del protagonista. Grazie ad un sapiente montaggio, abbiamo veramente l'impressione di muoverci con lui nella quarta dimensione. Gli avvenimenti si accavallano, si ingigantiscono, si sparpagliano, si scompongono, e ricompongono, come le figure di un caleidoscopio, senza che venga mai meno la profonda unità del racconto. Lo spettro della guerra invischia questo poveraccio, privato della pace dell'oblio. Le cose cambiano quando facciamo scalo su Tralfamadore, passando bruscamente dal dramma alla quasi-commedia. Intorno all'odissea del soldato alle prese prima coi tedeschi e poi coi liberatori e tenacemente perseguitato dall'odio di un commilitone che lo accusa di aver causato la morte d'un compagno, il regista ha tessuto una fitta trama di analogie con gli episodi della vita borghese: per modo che l'ospedale in cui Billy è ricoverato in seguito a un incidente aviatorio (da lui ben previsto standosene sul pianeta) collima col "Lager" dove fu internato, e l'elettrochoc cui è sottoposto con le bombe di Dresda e così via, riconoscendo infine nel figlio reduce dal Vietnam il disgraziato se stesso d'una volta. Tutte le strade insomma lo riportano a quella fatale notte; e sono strade fiorite di amenità, perché il film non è drammatico come le cose che sottintende o anche esprime nelle belle sequenze della città devastata, ma piuttosto eroicomico, e in virtù del ricorso alla fantascienza (la quarta dimensione che risolve in se le altre) spesso anche comico soltanto o addirittura farsesco, come nell'episodio della moglie grassa che muore spiaccicata alla fine d'una pazza corsa in Cadillac bianca. Spiando dalle vetrate della sua stazione spaziale, il protagonista sa tutto di se: anche quando morirà e per mano di chi (il commilitone) e tutto il suo agire nel film è una proiezione nel già vissuto, un beffardo esercizio di ricalco. Per intanto egli si gode la bella " starlette " Montana, il suo “presente” in un mondo di gioia.
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