giovedì 23 aprile 2020

Due parole con Ursula K. Le Guin

L’anarchismo è sicuramente la teoria politica più idealista e, secondo me, più interessante.
Come farla vivere in un romanzo? Una cosa del genere non l’avevo mai fatta e si è trattato per me di un lungo e difficile compito da cui mi sono lasciata assorbire completamente. Non si può, per esempio, limitarsi a far scomparire lo Stato e poi lavarsene le mani dicendo: “È fatta!”, dando per scontato che la successiva generazione non debba far nulla, non debba impegnarsi a costruire qualcosa che impedisca allo Stato di risorgere…
La mia vita vera è nella carta stampata. Quando vado a una manifestazione tutto mi appare troppo teatrale. Durante la guerra del Vietnam, mi trovavo in Gran Bretagna e ho vissuto molto duramente il fatto di non poter fare niente, di non poter esprimere
pubblicamente il mio pensiero. Allora ho scritto un romanzo, Il mondo della foresta. Era un libro per il Vietnam… Sono in arrivo tempi duri, e avremo bisogno delle voci di scrittori capaci di vedere alternative al modo in cui viviamo oggi, capaci di vedere al di là di una società stretta dalla paura e dall’ossessione tecnologica, capaci di immaginare altri modi di essere e persino nuove fondamenta per la speranza. Abbiamo bisogno di scrittori in grado di ricordare la libertà.
Poeti, visionari: realisti di una realtà più grande.

giovedì 16 aprile 2020

LA LUCE INTERIORE

La negatività è simile alle tenebre. Che cosa sono le tenebre?  Guardandole, ti accorgi che non sono proprio nulla: l'assenza di qualcosa. Accendi la luce e le tenebre scompaiono. 
Ma la luce del sole, per esempio, non scaccia la negatività. 
Scaccia le tenebre, ma non la negatività. Che luce possiamo accendere per allontanare la negatività nello stesso modo in cui la luce del sole allontana le tenebre? La luce della coscienza pura, il Sé: la luce dell'unità. 
Non combatterle. Non preoccuparti nemmeno delle tenebre. Accendi la luce e le tenebre svaniscono. Accendi la luce della coscienza pura: la negatività scompare. 
Ora mi dirai: "Facile a dirsi". Sembra troppo facile. Invece è davvero così.
(David Lynch “In acque profonde”)

martedì 7 aprile 2020

SAN FRANCISCO - Scott McKenzie

A Sanremo 1967 i Giganti iniziano la loro canzone con: “Mettete dei fiori nei vostri cannoni”. Sono sull’onda del “Flower Power”, il potere dei fiori, che esplode in America e sta invadendo il mondo. L’epicentro è San Francisco. La città viene celebrata da una splendida canzone. Scott McKenzie, come una meteora, rimane nella storia solo per San Francisco, il cui sottotitolo è “Be sure to wear some flowers in your hair (assicurati di avere dei fiori nei capelli). È 4° in America ed un boom in Europa. 1° in Inghilterra in agosto e 1° per quattro settimane in Italia in dicembre. Bobby Solo canta la versione nella nostra lingua.
Se andrai a San Francisco
assicurati di avere dei fiori nei capelli
se andrai a San Francisco
conoscerai della gente veramente cordiale

Tutti coloro che verranno a San Francisco
durante l'estate troveranno un amore
Nelle strade di San Francisco
troverai tutti coi fiori nei capelli

Attraverso tutta la nazione
ci sono strane vibrazioni
sono le emozioni della gente
c'è un'intera generazione
con una nuova spiegazione
le emozioni della gente

Tutti coloro che verranno a San Francisco
dovranno assicurarsi di avere dei fiori nei capalli
se tu verrai a San Francisco
durante l'estate troverai un amore

se tu verrai a San Francisco
durante l'estate troverai un amore
Scott MeKenzie, personaggio di contorno della scena folk americana dei Sessanta, si segnala nella zona di New York con i Journeymen, un trio di musica tradizionale con John Phillips e Dick Weissman. La carriera di McKenzie sarà legata a Philips da molti fili artistici e da una solida amicizia personale. Quando Philips va in California a formare i Mamas & Papas, McKenzie lo segue per accodarsi anch’egli alla moda del flower power che sta impazzando da quelle parti. E ancora Phillips farà all’amico il miglior regalo della carriera: San Francisco, una canzone baciata dalla fortuna e che in breve tempo farà il giro del mondo portando alta la bandiera del West Coast Sound.





giovedì 2 aprile 2020

Noise (Rumore) di Henry Bean

David ama New York. Non potrebbe vivere da nessun’altra parte. Da un po' di tempo, però, si trova a vivere una strana situazione: New York non gli piace più come una volta. Qualcosa lo tormenta e dopo notti insonni, angoscia, ansia e stress, scopre finalmente di che si tratta: non tollera più il rumore che la città provoca in continuazione. Per questo motivo decide di impegnarsi in una crociata notturna contro i produttori di rumori molesti per poter ricominciare a vivere tranquillamente. Inizia così a prendere di mira i sistemi antifurto delle automobili. Incappucciato e armato di martello, inizia a perlustrare le strade, diventando noto alle cronache cittadine come il "correttore", un misterioso uomo incappucciato che spacca vetri, riga e distrugge tutte le macchine che creano inquinamento acustico. A David non spaventa il fatto di essere sbattuto continuamente in prigione, di essere cacciato dal lavoro o di essere stato lasciato dalla moglie Helene esausta e poco comprensibile verso un marito idealista. Lui continua inesorabile nella sua “battaglia”.
Noise punta sulla commedia per far riflettere sulle piccole e grandi ingiustizie della vita moderna e sull'abuso di potere che troppo spesso mette in atto chi ci governa. "Il rumore qui è la metafora del potere: qualcosa che siamo obbligati a sentire e a subire, e su cui non abbiamo nessun controllo, proprio come gli allarmi delle macchine. Per questo in Noise ho messo una citazione di George Orwell, secondo cui 'il governo ha bocca ma non ha orecchie, parla ma non ascolta'. Pronuncia discorsi e dichiara guerre, ma noi cittadini non possiamo mai replicare". 
"Il film se la prende con gli allarmi, perché stupidi custodi della proprietà privata, sacra e inviolabile, ormai, più di una persona e dei suoi diritti. Alla fine il rumore diventa un simbolo del potere: entra nelle nostre case, influisce sulle nostre vite, e noi non possiamo difenderci, e non possiamo farci ascoltare.
Intraprendere una piccola battaglia quotidiana, apparentemente inutile su grande scala, non serve solo da valvola di sfogo per liberare le proprie frustrazioni o la propria rabbia, ma può essere un piccolo segnale per fermarsi, anche se per poco, e riflettere.
Henry Bean nasce a Philadelphia nel 1945. Si laurea a Yale e si specializza a Standford. Nel 1978 si trasferisce a Los Angeles e comincia a lavorare nel cinema. È autore di numerose sceneggiature tra cui 1988: The Remake (1977), Internal Affairs (1990), Deep Cover (1992), Venus Rising (1995). The Believer (2001) rappresenta il suo esordio alla regia di lungometraggi.