sabato 30 gennaio 2016

Paul Kantner e i Jefferson Airplane

Gli Airplane sono il nome più prestigioso della Summer love di San Francisco, non fosse altro che per la lucidità messa in mostra in molti anni di musica. In cinque sin dagli inizi, con un trio chitarristico modellato sui Byrds e una voce femminile stupenda con l’arrivo di Grace Slick, il complesso tira dalle parti della dolcezza, della tradizione rivisitata, del grande impegno di vita e fantasia. 
Takes Off, il primo album sotto la guida di Marthy Balin che canta, suona la chitarra, compone canzoni. Ma il bello arriva alla seconda puntata, quando il 33 giri si chiama Surrealistic pillow e da quelle corde, da quei tasti, dal flauto di Grace alla voce americana di Paul Kantner viene fuori tutta la storia di San Francisco, l’ingenuità, la paranoia, il coraggio bellissimo. È la fucilazione del beat (come dice Bertoncelli), un collage di movimento e di cervello, una gran fiaba che dà ragione alla rabbia e alla dolcezza in parti eguali. I Jefferson in questo album mettono su le fondamenta per le ricerche future sia fisicamente sonore che surrealmente mentali regalando così al rock qualcosa di più di un semplice disco: una base per il coinvolgimento totale della musica nella pratica dell’esplorazione di un nuovo linguaggio.
Il Cuscino surrealistico è il primo, grande, esplicito omaggio all’uso delle droghe, al suono liberato, alla musica priva di camuffamenti e di energie soffocate, al rock come pratica di conoscenza e quindi di cultura. All’interno dell’album troviamo White rabbit (Coniglio bianco) con la sua esplosiva carica sovversiva, concentrata in meno di tre minuti nel suo inneggiare al LSD attraverso l’evidente riferimento ad Alice nel paese delle meraviglie.

Coniglio Bianco 
Una pillola ti fa più largo
e una ti fa più piccolo,
e quella che ti dà tua
madre
non ti fanno proprio nulla.
Vai a domandarlo ad Alice
quando è alta dieci piedi.
E se vai a caccia di conigli
e sai che stai per cadere,
di loro che un bruco che
fumava il narghilè
ti ha chiamato.
Chiama Alice
quando era proprio piccola.
Quando gli uomini sulla
scacchiera
si alzano e ti dicono dove
andare
e tu hai appena preso
qualche specie di funghi
e la tua mente si muove
con lentezza.
Vai a domandarlo ad Alice
penso che lo sappia.
Quando la logica e la
proporzione
sono cadute fradice e morte,
e il cavaliere Bianco sta
parlando alla rovescia
e la Regina Rossa ha perso
la sua testa
Ricorda cosa disse il ghiro
Nutri la tua testa
Nutri la tua testa.




martedì 26 gennaio 2016

L'anarchia come società

La società anarchica intesa come un vero e proprio progetto pensato secondo schemi razionali, ossia come pura costruzione teorica sostanzialmente priva di referenti concreti attuali, e perciò avulsa dal reale processo storico in atto, delinea un assetto libertario ed egualitario nel quale sono aboliti ogni forma di Stato e di governo. In esso vige la libertà come principio generale di associazione, l’eguaglianza fra tutti i membri della società, la parità e la libertà sessuale, la pratica del mutuo appoggio e in genere del solidarismo, l’economia quasi sempre socializzata secondo moduli comunistici o socialistici, lo sfruttamento razionale delle risorse, la ripartizione egualitaria fra tutti gli individui dei lavori più gravosi, l’integrazione del lavoro manuale con il lavoro intellettuale, il superamento della divisione fra città e campagna.
Ciò che accomuna queste delineazioni è il tentativo di una descrizione in termini di reale funzionamento della società anarchica, nel senso che anticipano sul tempo una visualizzazione della sua esperibilità, secondo un voler essere rispetto alla effettiva datità presente.

martedì 19 gennaio 2016

Il suono della pioggia

Era aprile, e per ripararmi da una pioggia improvvisa mi rifugiai sotto un portone. Il portone si aprì solo di qualche centimetro, lo spazio necessario per lasciare passare una mano che mi offriva un ombrello, appena lo presi la mano si ritirò e il portone si chiuse. L'ombrello era un kasa fatto di carta oleata, un ampio cerchio che si apre come un piccolo tetto, sorretto da un cono di sottili strisce di bambù. Il ticchettio della pioggia mi avvolse così come il suono dell'acqua che si riversava in strada dalle grondaie a forma di drago.   
E' qualcosa che non avrebbe bisogno di essere spiegata.
Basta ascoltare la pioggia. Sentite un po' come la chiamano i buddhisti, tathata, ovvero sia da-da-da. Come tutta la musica classica non significa nulla eccetto ciò che è, perché la grande musica non mima mai altri suoni, né è altro che musica. Non esistono messaggi nelle fughe di Bach. Anche quando ad un vecchio maestro Zen venne chiesto il significato del Buddhismo, questi rispose: "Se esiste qualsiasi significato in esso io stesso non sono liberato". Perché quando avete veramente sentito il suono della pioggia, allora potrete ascoltare, vedere e sentire qualsiasi altra cosa allo stesso modo, come qualcosa che non ha bisogno di traduzioni, qualcosa che è semplicemente quello che è, anche se può sembrare impossibile dire cosa. 

(Tatto da ROMANZO IN POLVERE di Gepy Goodtime, edizioni La Paz, Caracas 1977)

giovedì 14 gennaio 2016

LA CITTA di Frans Masereel

Se tutto andasse in rovina, libri, monumenti, fotografie, resoconti e rimanessero soltanto gli intagli in legno ch’egli ha compiuti in dieci anni, si potrebbe ricostruire da essi tutto il mondo presente: si saprebbe come erano le abitazioni in questo scorcio di tempo, come eravamo vestiti, si conoscerebbe per intero unicamente dalle sue immagini la crudele guerra al fronte e nelle retrovie, con tutte le sue macchine diaboliche e i suoi aspetti grotteschi; si vedrebbero uffici di borsa, fabbriche, stazioni e navi e torri e mode e uomini, per fino i tipi stessi, e soprattutto questo: si coglierebbe il pericoloso genio, il “tempo” spirituale del nostro secolo. (…) Quella di Masereel è l’opposto di una natura impetuosa e volubile: il suo spirito, il suo genio è, come quello di Balzac, come quello di Walt Whitman, rivolto totalmente verso l’universale. Ama tutte le nazioni, tutte le lingue, tutti i tempi, l’antico come il nuovo, il romantico come il meccanico: questo appassionato amico del mondo nulla odia sulla terra se non l’elemento contrario, cioè tutte quelle istituzioni, che hanno lo scopo di raffreddare, di uniformare, di arenare l’impetuosa corrente dell’esistenza, che tendono a restringere e a delimitare la vita vivente. È nemico dello stato, dove questo promuove violenza e ingiustizia, nemico della “società” che si rinchiude in se stessa come qualcosa di superiore per salvaguardare la propria potenza, e, senza essere in alcun senso un uomo politico (detesta infatti anche i partiti come forme di limitazione e irrigidimento della libertà interiore), è stato pur sempre combattente al fianco dei piú deboli, degli oppressi, dei danneggiati. 

martedì 5 gennaio 2016

Il porto delle nebbie di Marcel Carné

Un disertore della legione straniera, Jean, vive nascosto nel porto di Le Havre in attesa di un imbarco. Qui conosce Nelly, una ragazza orfana. I due si innamorano, ma il loro amore è ostacolato da Zabel (tutore di Nelly) e da Lucien (capo di una banda di malviventi) i quali insidiano senza successo la giovane. Jean sorprende Zabel mentre questi sta cercando di abusare di Nelly e lo uccide; cerca di imbarcarsi per l'America clandestinamente, ma viene ucciso da Lucien.

Descrivere la semplice vita del popolo, rendere l'atmosfera della sua laboriosa umanità, non è forse meglio che descrivere invece l'ambiente torbido e surriscaldato dei dancing, di un'irreale nobiltà, di locali notturni fin troppo visti al cinema? (Marcel Carné, in "Cinémonde" n.85, 1930)

Si può dire dei film del neo-realismo francese che essi sono stati un gridi d'allarme: e che la cruda rappresentazione di fatti di violenza e di sangue, che in essi si è costantemente celebrata, è stato un tentativo, assai nobile, non solo e non tanto di descrivere condizioni umane particolarissime, ma anche di ricercarne le cause e le responsabilità. Cause e responsabilità sociali individuate benissimo, e che avrebbero dovuto interessare e preoccupare non solo la cosiddetta opinione, ma anche e soprattutto i governanti. I quali, evidentemente, hanno invece creduto più seri e attraenti gli scherzi villerecci, poniamo di un Pagnol. (Umberto Barbaro, in "Film" n.23, 5 giugno 1943)