mercoledì 20 luglio 2022

DOCCIONIA

Paese sotterraneo raggiungibile mediante la scala a chiocciola che i viaggiatori troveranno all'interno del Monte PIRAMIDALE. Tutto qui è fatto di legno: il terreno è segatura, e i ciottoli sono nodi di alberi. Fiori di legno crescono nei giardini, e l'erba è un intrico di trucioli. Dove non c'è né "erba" né "terra", il suolo è ricoperto da un solido parquet. Per l'aria svolazzano uccelli di legno. La città di Doccionia si trova  nelle viscere  del monte, ed è anch'essa di legno. Le case, costruite  come torri, hanno varie  forme: alcune sono quadrate, altre esagonali o ottagonali. Le più belle appaiono stagionate e consunte dal  tempo. I Doccioni stessi sono di legno. Alti meno di venti centimetri, hanno gambette corte, ma braccia di una lunghezza straordinaria. Le teste sono sproporzionatamente grandi, e le facce scolpite appaiono di una bruttezza incredibile. La parte superiore della loro nuca è decorata con una gran varietà di figure grottesche, una combinazione di forme vegetali e forme geometriche.  Tutti hanno  ali di legno, fissate alle spalle con viti dello stesso materiale; il che permette loro di volare, dato che le gambe non sono di alcuna utilità. Per dormire, i Doccioni si tolgono le ali e le appendono al muro. I criminali qui sono puniti col distacco delle ali, e rinchiusi in un'alta torre finché non si correggono. Forse la caratteristica che più colpisce di questo paese è il silenzio che regna ovunque. I Doccioni non fanno alcun rumore volando, e comunicano a gesti; il bestiame non muggisce e gli uccelli non cantano. I visitatori ricordino che i Doccioni hanno paura del rumore, e questo costituisce  dunque, a parte il fuoco, l'arma più efficace in caso di attacco. (Frank Baum, Dorothy and the Wizard  in Oz, Chicago, 1908)



martedì 12 luglio 2022

Il Muro del Suono – parte seconda

Le possibilità  d'intervento sui suoni del disco erano tutte a monte della registrazione, sugli strumenti o sui musicisti. Determinanti gli amplificatori per chitarra  - il Fender Showman con il suo impressionante cono JBL, il Gibson dal suono cupo o il Vox e il  Marshall più modulato -, facili alla distorsione naturale (toccavano  i 20 o 30  watt di potenza massima). Accanto ai  trucchi meccanici (legare una  scatola  intorno al microfono o imbottire di cotone o di sassolini i tamburi della batteria), l'unico vero sistema per trasformare il suono già registrato: il variatore di velocità.  Rallentando o accelerando il nastro del canto si ottenevano timbri più bassi o i leggendari cori marca Fifties. Depositario di questi pochi segreti, a metà strada tra il piccolo imprenditore  e l'autore di canzonette, il produttore cominciò, a cavallo del ritmo sfrenato del rock'n'roll, a gettare le basi di un impero fatto di esperienza e creatività. Sull'esempio del profeta della categoria, quel John  Hammond scopritore negli anni Trenta di Billie Holyday, Lionel Hampton,  Count  Basie (e, più in là, di Bob Dylan, Bruce Springsteen, Aretha Franklin) si muoveva George Goldner. Il suo campo d'azione era la strada, dove quotidianamente cercava giovani talenti da portare in sala di registrazione e trasformare  in investimento di breve durata, ma sicuro. Dalle sue mani uscirono Gee, un brano dei Crows che alcuni indicano come il primo vero brano di rock'n'roll, Why Do Fools Fall In Love di Frankie Lymon and  The Teenagers, e molti altri singoli dal sound tagliente e fresco. Molto diverse le impostazioni di Sam Phillips e Don Costa. Il primo faceva grande uso dell'eco (pensare a Mystery Train o a That's All Right Mama di Elvis) e di un accorgimento strumentale che faceva  battere all'unisono batteria e basso, creando un robusto  impatto del ritmo. Il secondo, di origine italiana, registrava su una pista gli strumenti tipici dell'orchestra, sull'altra la voce e gli strumenti tipici del rock'n'roll. Norman Petty ebbe il merito di comprendere  che il successo di un brano dipendeva molto dal lavoro fatto in sala. Per questo  si costruì a Clovis uno studio che in breve  divenne leggendario perché associato al nome di Buddy
Holly. Con lui Petty rivoluzionò l'uso delle due piste, usando per primo le sovraincisioni: su una pista l'intera struttura del brano, gruppo e canto; sull'altra le sovraincisioni di chitarra solista e il doppiaggio della voce del cantante. Non meno importanti le intuizioni strumentali di Petty, tutte basate su orchestrazioni semplici e suggestive. Quando in  Everyday Petty sostituì la chitarra elettrica con la celesta, i rocker rimasero sconcertati. Ma su quella strada della fantasia si incamminarono, un decennio più tardi, Beatles e Rolling Stones. Ma fu Phil Spector il più grande innovatore, con il suo «wall of sound», il muro del suono. Le basi furono gettate a Hollywood, nei Gold Star Studios, famosi per gli echi profondissimi. In quelle sale, lontane miglia e miglia dagli studi di New York e Nashville da dove provenivano i successi dell'epoca, Spector portò l'arrangiatore Jack Nitzsche e il tecnico Larry Levine,  per incidere  He's A Rebel di Gene  Pitney per le Crystals. Portò anche, tra la meraviglia generale, un organico doppio, due chitarre basso, quattro acustiche e due pianoforti: tutti questi strumenti suonarono all'unisono, amalgamati in un insieme pastoso e ricco d'echi. Lentamente Spector approfondì questa tecnica fino a registrare contemporaneamente violini, sassofoni, percussioni e chitarre in un magma sonoro, compatto quasi fosse il suono di un unico enorme strumento. In questo sound dalla concezione vagamente wagneriana, senza dubbio il più imponente tra quelli usati nella musica leggera, gli strumenti non si identificavano, compressi  in un fluire continuo dove solo gli accordi erano modulati. Per questo il suo muro del suono non si avvaleva di tecniche straordinarie: poche le sovrapposizioni, quando (si era oramai negli anni Sessanta) si usavano le quattro piste. In compenso fu tra i primi ad usare i compressori del suono e ad attribuire al missaggio l'importanza che, poco dopo, tutti condivisero.


mercoledì 6 luglio 2022

Il Muro del Suono – parte prima

Quando il rock'n'roll conquistò prepotentemente l'universo giovanile non  fu subito  chiaro che il suo impatto  non era  dovuto solo alla particolare accentuazione ritmica, ai testi caratteristici, alla personalità dei cantanti o ai loro inusuali movimenti del corpo. Ascoltando  quei brani  si avvertiva che qualcosa stava mutando   anche sotto  il profilo squisitamente tecnico: ogni disco di rock'n'roll aveva, tra gli altri elementi, un linguaggio  che scaturiva dai suoni  degli strumenti usati, dal fondersi della voce e  dei cori con gli arrangiamenti, da certe timbriche selezionate con un gusto particolare. Fu allora che si cominciò a parlare di sound, un termine dietro la cui apparente semplicità  premeva un complesso di tecniche e sale di registrazione, di strumenti nuovi,  produttori e addetti all'incisione che  avrebbe mutato la fisionomia  della musica contemporanea. Il rock'n'roll  arrivò in un momento in cui le tecniche di registrazione e di riproduzione  dei dischi sembravano poter toccare vertici  impensabili. L'industria  impose il 45 giri, piccolo e maneggevole, ma soprattutto dotato di quei solchi che  restituivano il suono in maniera ben più fedele che i vecchi  e fragili 78 giri. I singoli, gli estendeplay, vale a dire i 45 giri con quattro canzoni, e  i primi 33 giri erano  destinati alle fonovaligie che si  diffondevano con grande  rapidità tra i giovani. Ma, a causa della mediocre qualità degli impianti dotati di testine di tipo ceramico, di circuiti elettronici scadenti e, soprattutto, di inadeguati altoparlanti,  molta della decantata riproduzione  musicale  dei microsolchi si perdeva per strada. Esistevano  gli  apparecchi ad alta fedeltà, ma erano appannaggio di pochi  appassionati di musica classica. Tecniche e dischi stereofonici erano allo studio in laboratori dove si ritrovavano quei tecnici che durante la guerra avevano messo a punto i sistemi di rilevazione  sonora contro i sommergibili.  Ancora pochi anni e il nuovo  lavoro, certamente più gradevole, avrebbe dato frutti concreti. A fianco del microsolco le innovazioni tecniche più rilevanti riguardavano le sale di registrazione. L'uso dei microfoni elettrodinamici e l'adozione della registrazione magnetica consentivano  traguardi inimmaginabili per i musicisti i quali, trent'anni  prima, si accalcavano  intorno ad un imbuto di cartone per raccogliere quelle onde sonore che, nella stanza accanto, con un procedimento rozzo e immediato, venivano tramutate nei solchi di una matrice approssimativa. Già da prima della guerra gli studi non erano più terreno esclusivo delle majors: piccole etichette e stazioni radio locali approntavano sale che a un'estrema funzionalità abbinavano strumentazioni tecniche di prim'ordine. Con l'esplosione del rock'n'roll, molti dei privati che avevano investito in queste imprese cominciarono ad appassionarsi al loro funzionamento; passando ore davanti ai nastri, sperimentando con i  microfoni formarono una strana, nuova generazione: quella dei produttori, a metà tra gli artisti e i tecnici. Destinati a diventare uomini di fiducia delle etichette e preziosi collaboratori per i musicisti inesperti (la stragrande  maggioranza), si sarebbero presto rivelati i veri registi del disco, protagonisti di nuove  tendenze e mode. Ma negli anni Cinquanta, di fronte all'esiguo numero di scelte e manipolazioni possibili, il loro apporto tecnico in sala restava limitato. Le registrazioni avvenivano su due piste oppure col sistema «sound on sound», incidendo  con due registratori a una pista che poi confluivano in un terzo, per formare il master finale, praticamente azzerando gli interventi. L'uso delle due piste, una per gli strumenti e  una per la voce,  permetteva l'incisione del canto in  un tempo successivo, con la base in cuffia. Ma quasi tutti i dischi erano ancora registrati in diretta, come se si assistesse a un concerto. L'uso, proprio del rock'n'roll, di strumenti particolari e di chitarre elettriche creò ulteriori problemi. Non potendosi registrare direttamente il  suono degli strumenti elettrificati, gli amplificatori delle chitarre spesso rientravano nei microfoni degli altri strumenti. Se alcuni dischi d'epoca avevano una pulizia di suoni e un gusto timbrico che ancora oggi stupiscono è merito di quei pochi trucchi degli stregoni d'allora, come l'eco artificiale  messo a punto da Les Paul, il vibrato mediante leva (la celebre leva Bigsby) o lo stoppacorde,  strumento che faceva scattare sulle corde della chitarra un tampone di gomma. 

sabato 2 luglio 2022

LUNA NERA - Louis Malle

A bordo di una spider, una giovane donna Lily fugge da un mondo in cui gli uomini mettono a morte l’altro sesso, nella fuga uccide involontariamente un tasso che bruca sulla strada; assiste alla fucilazione di alcune soldatesse ed assiste ad altre efferatezze causate dalla guerra tra i due sessi in cui non si fanno prigionieri. La giovanissima Lily trova quindi rifugio in una grande casa isolata in mezzo al bosco. La casa è abitata da strani personaggi: una strana vecchia che parla con un topo e, via radio, chissà con chi; un gatto che suona il pianoforte; un ragazzo muto intento a potare alberi che sanguinano, e sua sorella, dal cui seno si nutre la vecchia; un liocorno parlante e bambini che giocano con un grosso maiale; margherite che piangono se calpestate. Luna Nera di Louis Malle film fantastico, senza effetti speciali ma immerso meravigliosamente nel quotidiano in piena libertà espressiva e continua ricerca formale in una storia per niente lineare. Da
Lewis Carroll al ricco repertorio di simboli freudiani e junghiani, tra suggestioni surreali e citazioni cinefile, Erich von Stroheim di Queen Kelly,  George A. Romero e le maschere anti-gas de La città verrà distrutta all’alba a Robert Altman il film attinge anche a frammenti del mito grecoe al duetto d’amore del II atto del Tristan un Isolde di Wagner.
Tra verità e finzione, dramma e commedia, documento e sogno, il cinema di Malle, anche nel periodo americano, sembra indicare una via disordinata, frammentata, continuamente interrotta. È un cinema che si rigenera incessantemente, come una fenice, sempre nuovo e sempre classico, che ritorna al punto di partenza proprio quando sembrava aver imboccato un percorso definito. Dunque un cinema dell'incertezza, dell'angoscia, del vuoto, dell'assenza, un interrogativo profondo sull'uomo e sulla tragica impossibilità di avere risposte. Rievocando le pagine di scrittori come Queneau, Drieu la Rochelle, Cechov, Poe, utilizzando la musica di J. Brahms, E. Satie, Davis, egli si è posto il compito di provocare nello spettatore intense emozioni e shock, paura e malinconia, sensualità e angoscia, tristezza e tenerezza.