Quando il rock'n'roll conquistò prepotentemente l'universo giovanile non fu subito chiaro che il suo impatto non era dovuto solo alla particolare accentuazione ritmica, ai testi caratteristici, alla personalità dei cantanti o ai loro inusuali movimenti del corpo. Ascoltando quei brani si avvertiva che qualcosa stava mutando anche sotto il profilo squisitamente tecnico: ogni disco di rock'n'roll aveva, tra gli altri elementi, un linguaggio che scaturiva dai suoni degli strumenti usati, dal fondersi della voce e dei cori con gli arrangiamenti, da certe timbriche selezionate con un gusto particolare. Fu allora che si cominciò a parlare di sound, un termine dietro la cui apparente semplicità premeva un complesso di tecniche e sale di registrazione, di strumenti nuovi, produttori e addetti all'incisione che avrebbe mutato la fisionomia della musica contemporanea. Il rock'n'roll arrivò in un momento in cui le tecniche di registrazione e di riproduzione dei dischi sembravano poter toccare vertici impensabili. L'industria impose il 45 giri, piccolo e maneggevole, ma soprattutto dotato di quei solchi che restituivano il suono in maniera ben più fedele che i vecchi e fragili 78 giri. I singoli, gli estendeplay, vale a dire i 45 giri con quattro canzoni, e i primi 33 giri erano destinati alle fonovaligie che si diffondevano con grande rapidità tra i giovani. Ma, a causa della mediocre qualità degli impianti dotati di testine di tipo ceramico, di circuiti elettronici scadenti e, soprattutto, di inadeguati altoparlanti, molta della decantata riproduzione musicale dei microsolchi si perdeva per strada. Esistevano gli apparecchi ad alta fedeltà, ma erano appannaggio di pochi appassionati di musica classica. Tecniche e dischi stereofonici erano allo studio in laboratori dove si ritrovavano quei tecnici che durante la guerra avevano messo a punto i sistemi di rilevazione sonora contro i sommergibili. Ancora pochi anni e il nuovo lavoro, certamente più gradevole, avrebbe dato frutti concreti. A fianco del microsolco le innovazioni tecniche più rilevanti riguardavano le sale di registrazione. L'uso dei microfoni elettrodinamici e l'adozione della registrazione magnetica consentivano traguardi inimmaginabili per i musicisti i quali, trent'anni prima, si accalcavano intorno ad un imbuto di cartone per raccogliere quelle onde sonore che, nella stanza accanto, con un procedimento rozzo e immediato, venivano tramutate nei solchi di una matrice approssimativa. Già da prima della guerra gli studi non erano più terreno esclusivo delle majors: piccole etichette e stazioni radio locali approntavano sale che a un'estrema funzionalità abbinavano strumentazioni tecniche di prim'ordine. Con l'esplosione del rock'n'roll, molti dei privati che avevano investito in queste imprese cominciarono ad appassionarsi al loro funzionamento; passando ore davanti ai nastri, sperimentando con i microfoni formarono una strana, nuova generazione: quella dei produttori, a metà tra gli artisti e i tecnici. Destinati a diventare uomini di fiducia delle etichette e preziosi collaboratori per i musicisti inesperti (la stragrande maggioranza), si sarebbero presto rivelati i veri registi del disco, protagonisti di nuove tendenze e mode. Ma negli anni Cinquanta, di fronte all'esiguo numero di scelte e manipolazioni possibili, il loro apporto tecnico in sala restava limitato. Le registrazioni avvenivano su due piste oppure col sistema «sound on sound», incidendo con due registratori a una pista che poi confluivano in un terzo, per formare il master finale, praticamente azzerando gli interventi. L'uso delle due piste, una per gli strumenti e una per la voce, permetteva l'incisione del canto in un tempo successivo, con la base in cuffia. Ma quasi tutti i dischi erano ancora registrati in diretta, come se si assistesse a un concerto. L'uso, proprio del rock'n'roll, di strumenti particolari e di chitarre elettriche creò ulteriori problemi. Non potendosi registrare direttamente il suono degli strumenti elettrificati, gli amplificatori delle chitarre spesso rientravano nei microfoni degli altri strumenti. Se alcuni dischi d'epoca avevano una pulizia di suoni e un gusto timbrico che ancora oggi stupiscono è merito di quei pochi trucchi degli stregoni d'allora, come l'eco artificiale messo a punto da Les Paul, il vibrato mediante leva (la celebre leva Bigsby) o lo stoppacorde, strumento che faceva scattare sulle corde della chitarra un tampone di gomma.
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