mercoledì 6 luglio 2022

Il Muro del Suono – parte prima

Quando il rock'n'roll conquistò prepotentemente l'universo giovanile non  fu subito  chiaro che il suo impatto  non era  dovuto solo alla particolare accentuazione ritmica, ai testi caratteristici, alla personalità dei cantanti o ai loro inusuali movimenti del corpo. Ascoltando  quei brani  si avvertiva che qualcosa stava mutando   anche sotto  il profilo squisitamente tecnico: ogni disco di rock'n'roll aveva, tra gli altri elementi, un linguaggio  che scaturiva dai suoni  degli strumenti usati, dal fondersi della voce e  dei cori con gli arrangiamenti, da certe timbriche selezionate con un gusto particolare. Fu allora che si cominciò a parlare di sound, un termine dietro la cui apparente semplicità  premeva un complesso di tecniche e sale di registrazione, di strumenti nuovi,  produttori e addetti all'incisione che  avrebbe mutato la fisionomia  della musica contemporanea. Il rock'n'roll  arrivò in un momento in cui le tecniche di registrazione e di riproduzione  dei dischi sembravano poter toccare vertici  impensabili. L'industria  impose il 45 giri, piccolo e maneggevole, ma soprattutto dotato di quei solchi che  restituivano il suono in maniera ben più fedele che i vecchi  e fragili 78 giri. I singoli, gli estendeplay, vale a dire i 45 giri con quattro canzoni, e  i primi 33 giri erano  destinati alle fonovaligie che si  diffondevano con grande  rapidità tra i giovani. Ma, a causa della mediocre qualità degli impianti dotati di testine di tipo ceramico, di circuiti elettronici scadenti e, soprattutto, di inadeguati altoparlanti,  molta della decantata riproduzione  musicale  dei microsolchi si perdeva per strada. Esistevano  gli  apparecchi ad alta fedeltà, ma erano appannaggio di pochi  appassionati di musica classica. Tecniche e dischi stereofonici erano allo studio in laboratori dove si ritrovavano quei tecnici che durante la guerra avevano messo a punto i sistemi di rilevazione  sonora contro i sommergibili.  Ancora pochi anni e il nuovo  lavoro, certamente più gradevole, avrebbe dato frutti concreti. A fianco del microsolco le innovazioni tecniche più rilevanti riguardavano le sale di registrazione. L'uso dei microfoni elettrodinamici e l'adozione della registrazione magnetica consentivano  traguardi inimmaginabili per i musicisti i quali, trent'anni  prima, si accalcavano  intorno ad un imbuto di cartone per raccogliere quelle onde sonore che, nella stanza accanto, con un procedimento rozzo e immediato, venivano tramutate nei solchi di una matrice approssimativa. Già da prima della guerra gli studi non erano più terreno esclusivo delle majors: piccole etichette e stazioni radio locali approntavano sale che a un'estrema funzionalità abbinavano strumentazioni tecniche di prim'ordine. Con l'esplosione del rock'n'roll, molti dei privati che avevano investito in queste imprese cominciarono ad appassionarsi al loro funzionamento; passando ore davanti ai nastri, sperimentando con i  microfoni formarono una strana, nuova generazione: quella dei produttori, a metà tra gli artisti e i tecnici. Destinati a diventare uomini di fiducia delle etichette e preziosi collaboratori per i musicisti inesperti (la stragrande  maggioranza), si sarebbero presto rivelati i veri registi del disco, protagonisti di nuove  tendenze e mode. Ma negli anni Cinquanta, di fronte all'esiguo numero di scelte e manipolazioni possibili, il loro apporto tecnico in sala restava limitato. Le registrazioni avvenivano su due piste oppure col sistema «sound on sound», incidendo  con due registratori a una pista che poi confluivano in un terzo, per formare il master finale, praticamente azzerando gli interventi. L'uso delle due piste, una per gli strumenti e  una per la voce,  permetteva l'incisione del canto in  un tempo successivo, con la base in cuffia. Ma quasi tutti i dischi erano ancora registrati in diretta, come se si assistesse a un concerto. L'uso, proprio del rock'n'roll, di strumenti particolari e di chitarre elettriche creò ulteriori problemi. Non potendosi registrare direttamente il  suono degli strumenti elettrificati, gli amplificatori delle chitarre spesso rientravano nei microfoni degli altri strumenti. Se alcuni dischi d'epoca avevano una pulizia di suoni e un gusto timbrico che ancora oggi stupiscono è merito di quei pochi trucchi degli stregoni d'allora, come l'eco artificiale  messo a punto da Les Paul, il vibrato mediante leva (la celebre leva Bigsby) o lo stoppacorde,  strumento che faceva scattare sulle corde della chitarra un tampone di gomma. 

Nessun commento:

Posta un commento