giovedì 1 settembre 2022

SWEET MOVIE – Dusan Makavejev

Sweet Movie è composto di due storie intarsiate. Nella prima, che ha per bersaglio, la società capitalistica, assistiamo alla bizzarra odissea di una ragazza americana eletta, tra altre vergini,  Miss Mondo 1984, la cui virtù, come quella della Justine di De Sade, è esemplarmente punita dalla società consumistica, tanto che la poverina finisce col soccombere dentro a una colata di cioccolata fusa. Nella seconda storia, non meno grottesca, l'allegoria è più spiccatamente politica: il comunista eterodosso Makavejev vi critica il comunismo ortodosso, in quanto incapace di prospettare l'uomo. Qui abbiamo un marinaio zarista, traumaturgicamente sopravvissuto alla rivolta della nave <Potemkin>, che in un canale olandese viene raccolto da un vascello che ha per polena l'effigie di Marx e per pilota una giovane rivoluzionaria. Tra Il marinaio puro di cuore (non per nulla si chiama Bakunin e ha la bianca maschera di Pier Clementi) e la ragazza s'intrecciano spudorate effusioni erotiche, finché la virago, dopo averlo castrato, non lo uccide nella stiva carica di zucchero. Il senso sembra questo: che le rivoluzioni, dapprima melliflue, finiscono poi col sacrificare, i figli migliori. Al di là della condanna delle ideologie capitalista e socialista, con Sweet Movie il cineasta serbo accosta momenti erotici (la bellissima Carole Laure nuda e completamente ricoperta di cioccolato) e politica, invenzioni visive (la gigantesca bottiglia di latte in cui viene rinchiusa
Carole Laure, il testone di Marx che troneggia sulla barca che attraversa Parigi) e inserti documentaristici (immagini delle fosse comuni di Katyn, che fanno il paio con quelle degli esperimenti medici nazisti e delle terapie elettroshock). Il legame col Situazionismo e con gli appartenenti al Movimento Panico (suggellato da un cammeo di Roland Topor, nel ruolo di un medico) è palese, e la forma è anarchica, slegata da costrizioni narrative e messaggi edificanti. Ma in Sweet Movie c’è aria di grande libertà, a conferma che un certo cinema d’autore era un paio di passi avanti a quello exploitation quando si trattava di esplorare i confini del mostrabile: ai limiti dell’hard (la scena in cui Carole Laure struscia il viso contro un pene floscio), con genitali al vento e una leggerezza forse irresponsabile nel tirare il bilancio di un intero secolo attraverso l’equazione sesso uguale politica. Al suo apparire nel 1974, Sweet Movie consegnò immediatamente il suo regista, lo jugoslavo Dusan Makavejev  al ristretto olimpo dei registi cult dell'epoca, accanto a Jodorowsky, Arrabal, Ken Russell e a quella piccola ma attivissima cerchia di autori impegnati in una personale lotta contro censura e istituzioni per creare una forma cinematografica del tutto slegata da mode, costrizioni e messaggi edificanti. Un cinema in cui potessero andare a braccetto la denuncia sociale e la follia ginsberghianamente liberata, la psicanalisi e l'occultismo, il sogno sfrenato e la realtà più agghiacciante. Montaggio dialettico che mischia documentaristica, narrazione lineare, simbologie e musica, in una forma che vorrebbe essere di rottura con i modelli narrativi classici. L'anarchia visiva di Makavejev è un'arma puntata contemporaneamente sia contro il comunismo che il capitalismo, il primo intollerante alla creatività se non quella approvata dal regime e l'altro per il consumismo che educa visivamente i suoi spettatori persino in materia erotica.




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