Non più autorità, molto più contraria alla felicità dell’umanità di qualche eccesso che si potrebbe produrre agli inizi di una società libera.
Al posto dell’organizzazione attuale, raggruppamenti di individui per simpatia ad affinità, senza leggi e senza capi.
Non più proprietà individuali; messa in comune dei prodotti; lavoro di ognuno secondo i suoi bisogni, consumo di ognuno secondo i suoi bisogni, cioè, secondo volontà.
Non più famiglia, egoista e borghese, che rende l’uomo proprietà della donna, e la donna proprietà dell’uomo; che esige da due esseri che si sono amati un momento di essere legati l’uno all’altro fino alla fine dei loro giorni. La natura è capricciosa, chiede sempre nuove sensazioni. Vuole l’amore libero. Ecco perché vogliamo l’unione libera.
Non più odio tra i fratelli, non più patrie, che gettano gli uni sugli altri degli uomini che non si sono nemmeno mai visti.
Sostituzione dell’attaccamento gretto e meschino dello sciovinista alla sua patria, con l’amore ampio e fecondo dell’Umanità Intera, senza distinzione di razza né di colore.
Non più religioni, forgiate dai preti per degradare le masse e dar loro la speranza di una vita migliore mentre essi stessi godono della vita terrestre. Occorre incominciare col lavoro di distruzione. Occorre gettare a terra il vecchio edificio tarlato.
Nel 1969 vede la luce la loro opera più ambiziosa, il doppio Ummagumma. Un album in studio con brani inediti, i quattro se lo spartiranno in parti uguali, dieci minuti a testa, per sbizzarrirsi ognuno con i sogni più sfrenati, e uno dal vivo con i vecchi classici, tanto per chiudere un ciclo.
Bella la foto che campeggia sul retro copertina, scattata su una pista di rullaggio del campo volo di Biggin Hill, con i roadies a far la guardia a un arsenale strumentale già di tutto rispetto: bacchette, rullanti, tastiere, chitarre e amplificatori disposti a forma di caccia bombardiere Phanthom.
Il disco live si apre con Astronomy Dominé, dove Gilmour si impadronisce del brano di Barrett infondendogli nuovo vigore con la sua chitarra, più rock meno psichedelica, dove l’astronave rolla e ruggisce nuovamente nell’atmosfera di qualche pianeta e lentamente accosta e spegne i motori. Roger Water lacera con urla agghiaccianti e primordiali il crescendo tumultuoso di Careful With That Axe, Eugene, insuperabile esempio di thriller-horror psichedelico che si trascina sottovoce per orientalismi ipnotici e bisbigli soprannaturali in una atmosfera di tragedia incombente, metà amplesso metà trip, metà incubo metà delirio: un capolavoro. Apre la seconda facciata del disco live, Set the Controls For The Heart Of The Sun, governata dalle percussioni di Mason e dalla voce di Waters, poetica e delicata come non mai, anch’essa notevolmente allungata nella parte centrale dove ancora una volta è l'organo ad essere protagonista in questa ipnotica canzone dal significato oscuro. Chiude la seconda
facciata del Lp
A Saucerful Of Secrets, la piccola sinfonia rock suddivisa in quattro movimenti esalta il grande affiatamento della band, capace di dosare sapientemente volumi, echi, riverberi, timbri e suggestive parti improvvisate, il brano e rivisitato in versione romantica, con struggente inno finale di Gilmour soltanto gridato, sugli accordi religiosi dell’organo. L’onore di aprire il disco di studio aspetta a Wright, il cui Sysyphus è un concerto pianistico in quattro movimenti in bilico tra colonna sonora di un film storico, sinfonia romantica, impressionismo pianistico e dissonanze alla Luigi Nono. Il brano si chiude con le percussioni in un finale metafisico che passa dalle quiete campestre all’uragano cosmico. Roger Waters contribuisce al completamento della prima facciata del disco con due tipiche ballate, la prima è Grantchester Meadows, delicata confessione acustica che prende nome e ispirazione dai prati e boschi in riva al fiume Cam dove i ragazzi di Cambridge si recano a prendere il sole e fare picnic. È il momento più melodico del disco con rumori di bosco, uccellini e ronzio d’insetto. Da lì si passa a Several
Species Of Small Furry Animals Gathered Together In A Cave And Grooving With A Pict, rapsodia indemoniata per voci elettroniche e percussioni che simulano un tripudio di bestioline della foresta, la prova generale su disco di quegli esperimenti e giochi con il rumore che diventeranno un tratto inconfondibile della band. L’ultima facciata del doppio si apre con The Narrow Way di David Gilmour, il pezzo, diviso in tre sezioni, parte con una introduzione di chitarra acustica, mentre la seconda parte è caratterizzata da una linea di basso, su cui si inseriscono le mprovvisazioni di chitarra elettrica e tastiere. Nella terza si fa un brusco ritorno alla classica forma canzone. Dodici minuti di pura psichedelica che ci riportano alla musica cosmica e acida dei primi Pink Floyd. Chiude l’album l’inconsueta composizione di Mason, The Grand Vizier’s Garden Party, una suite in tre parti dedicata alla festa del Gran Visir nel suo giardino, imperniata, neanche a dirlo, sulle percussioni. Un delicato flauto invita all’entrata della festa dove aleggiano profumi orientali piuttosto densi, non lasciando presagire nulla di quanto troveremo nel giardino del Gran Visir: l’intrattenimento va avanti a colpi di gong, al suono dei timpani classici, fino ad una complessa batteria rock e a un nutrito assortimento di effetti metallico - lignei, Mason governa il rumore trasformandolo in musica.
Un vecchio portiere d'albergo, che vive in un appartamento con la figlia e l'amante di lei, data l'età, deve lasciare l'uniforme gallonata per fare il custode dei gabinetti. Al colmo delle umiliazioni e della sfiducia, l'uomo e sull'orlo del suicidio quando, per una inattesa eredità, diventa ricco e alloggia nell'albergo in cui serviva.
Nella loro immagine (delle scenografie) c'è del dramma per l'occhio, secondo il modo in cui sono state disposte o fotografate. Attraverso la loro relazione con altri oggetti, o con i personaggi, diventano elementi della sinfonia dei film.
(Friedrich Wilhelm Murnau, in George Sadoul, "Il Cinema", Sansoni, Firenze 1967)
Murnau con L'ultima risata aveva affrontato il problema del racconto cinematografico sul piano di un realismo psicologico a forti tinte drammatiche. Ed aveva girato un film senza l'uso delle didascalie, unicamente basandosi sul gioco della recitazione e sopra un attento e abile montaggio per contrasti.
(Luigi Rognoni, "Cinema muto", Bianco e Nero, Roma 1952)
Il regno odioso delle prigioni non finirà senza che ciascuno impari a non imprigionarsi più in un comportamento economizzato dai riflessi del profitto e dello scambio. Meno l'animalità si ingabbierà nella rigidità del carattere, arrabbiandosi per frustrazioni perpetue, più aprirà le porte del godimento a progressivi affinamenti, e più apparirà a tutti l'orrore di rinchiudere in cella dei condannati che vi languiscono non per i loro misfatti, ma perché esorcizzano i demoni che le persone oneste imprigionano in loro. I progressi che l'umanesimo auspica fanno rabbrividire. Se le prigioni spariranno senza che il godimento sia restaurato nei suoi diritti, esse cederanno soltanto il posto ad istituzioni psichiatriche ariose, in accordo con le terapie che anestetizzano nei condannati al lavoro quotidiano la violenza delle frustrazioni. Non è forse giunto il tempo di stabilirsi talmente nell'amore di sé che, arrivando ad adeguarsi dal fondo del cuore molta felicità, ci si affezioni agli altri per la felicità stessa che tocca loro in sorte, amandoli per il favore di amare che dispensano a se stessi? Non sopporto di essere abbordato per il ruolo, la funzione, il carattere, l'istantanea che mi fissa e mi imprigiona in ciò che non sono. Quale incontro sperare in un luogo in cui l'obbligo di essere in rappresentazione impedisce sempre che io esista? Mi importa soltanto la presenza del vivente, in cui convergono tutte le libertà che nessun giudizio ha il potere di arrestare.
I Pink Floyd ritornano al cinema dopo la deludente esperienza di The Committe grazie al regista Barbet Schroeder allievo di Godard. Il regista francese nato a Teheran ambienta More a Ibiza. Il film è la storia di un vortice di droga e sesso tra lo studente tedesco Stephan e l’americana Estelle nell’isola tanto amata dal mondo hippie. Soundtrak From The Film More segna l’inizio della dominazione di Roger Waters che firma undici brani su tredici e imprime una direzione ben precisa al sound del gruppo, lasciando tutte le parti vocali al solo David Gilmour. Equamente diviso tra canzoni ed episodi strumentali, il disco è privo di lunghi brani e ha un’impronta sia rock che pastorale, senza più la lucida follia di Syd Barrett.
Il disco si apre con Cirrus Minor, dove spicca la tastiera di Richard Wright, la quale accompagna le prime immagini di perdizione dei protagonisti in una spirale discendente, che si spegne in un cinguettio di uccelli prima di lasciare posto al brano successivo. Cirrus minor è il perfetto vestito musicale per descrivere in musica la fase cruciale del film
in cui il protagonista si fa il primo buco, sprofondando prima nel rilassamento e benessere, controbilanciata poi dalle successive sensazioni di perdizione e incubo, quando gli effetti della droga si disperdono.
The Nile Song, un hard rock licantropo, vero e proprio gioiellino antesignano sonoro del grunge che verrà. La canzone appare nel film poco dopo l’inizio, quando il protagonista arriva con un amico alla festa privata parigina dove farà la conoscenza della sua bella.
A seguire la delicata Crying Song, ballad dai suoni leggeri e dai toni delicati conditi da chitarre acustiche è abbellita da delicati interventi di Wright al vibrafono e, poi da un assolo slide di Gilmour.
Up the Khyber (tradotto: “su per il Khyber”, valico Afgano, ma, più realisticamente, “su per il culo” nello slang londinese), un viaggio lisergico di due minuti e tredici di free jazz, nonché primo brano strumentale nella storia dei Floyd; una jam session jazz fra Wright ed il batterista Nick Mason, dove il tastierista sfoga al pianoforte la sua passione per lo stile di Thelonius Monk, eseguendo accordi violenti e dissonanti ed aggiungendo una partitura d’organo autenticamente psicotica, mentre il batterista spara un ritmo tribale in pieno stile Gene Krupa.
Il flusso sonoro torna subito calmo con Green is the Colour, una ballata cantata in falsetto da Gilmour accompagnata dagli svolazzi flautistici di Linda, moglie di Nick Mason. Al falsetto un poco convinto e neanche troppo convincente David Gilmour,
Cymbaline fragile serenata per flauto, chitarra, pianoforte e canto in sordina, di cui i Floyd facevano già ampio uso nei concerti e che, finalmente, trova degno spazio su disco.
Dal vivo Wright trasformava questo brano, ingegnandosi a scoperchiare ben bene i molti cervelli acidi presenti fra il pubblico, attraverso un lungo intervento psichedelico ed orientaleggiante all’organo, aiutato da sensazionali effetti quadrifonici: una vera vacanza lisergica per gli hippie del tempo.
Party Sequence è il secondo strumentale, costituito da semplici bongos e flauti, che si incontra nell’album. La scena del film è quella di una festa fricchettona di Ibiza alla quale si recano i due protagonisti, piena di variopinta gente, un gruppo di percussionisti che suona e tutti gli altri a fumare, bere, impasticcarsi, chiacchierare e pomiciare. Tutti e quattro i Floyd si divertirono in studio a menar le mani sulle percussioni, assistiti dalla solita Linda Mason al flauto.
La seconda facciata del 33 giri si apre con un altro brano strumentale: Main Theme ipnotica e conturbante che il regista utilizza come Ouverture e chiusura del film. La musica commenta una suggestiva e dardeggiante immagine del sole oscurato da un’eclisse con un uso massiccio di gong, il suono dei quali si placa per far affiorare prima un mormorio d’organo e poi un ritmo ed una melodia sincopati.
Ibiza Bar segue la stessa struttura di The Nile Song, ne è una variante, quasi una clonazione, gli accordi variano di pochissimo, ma il sound della chitarra e della batteria non cambiano di una virgola ma, il risultato finale è ben lontano dalla spontaneità e la qualità della seconda traccia.
More Blues è un puro esercizio di tecnica solistica blues per la chitarra di David Gilmour, qualche semplice svisata in libertà, su una base ritmica che si ferma e riparte per accompagnare il protagonista costretto a fare il barista e il piccolo spacciatore per il pusher dell’isola, a risarcimento del furto di eroina perpetrato dalla sua donna.
Quicksilver è il brano più lungo dell’opera, Ben sette minuti di pura sperimentazione strumentale che strizza l’occhio al passato psichedelico barrettiano, un robusto e articolato momento di musica strumentale concreta, che vede il tastierista Wright in primissimo piano.
A Spanish Piece, strizza l’occhio alla musica iberica per un solo minuto, con due chitarre acustiche al ritmo di flamenco.
Dramatic Theme, un blues glissato chiude l’album, descrivendo puntualmente uno degli accadimenti vicini all’epilogo della pellicola, nel quale esplode la gelosia del protagonista, alle prese con l’evidente, doloroso legame di dipendenza fra la sua ragazza ed il pusher e con la vacuità dei suoi tentativi di cambiare le cose.
Il critico Cornelius si reca nella villa del celebre violoncellista Felix per scrivere la biografia del maestro. Incontra qui le donne che l'artista ha amato, ma non riesce a comunicare con nessuna. Felix muore nel momento in cui si accinge a suonare una composizione musicale scritta del critico.
Tutti gli artisti ma non gli autori, dovrebbero essere invisibili. Ciò renderebbe l'arte più igienica, sempre che si voglia ritenere questo un successo. Adesso (e in fondo in tutti questi ultimi anni) trovo il gusto dell'artista, di piazzarsi vicino alla propria opera d'arte e darne commenti, come un illecito intromettersi in ciò che è diritto dei critici e anche nella possibilità che il pubblico ha di provare ciò che vede, o ascolta o comunque sente. La gente si mangia l'opera d'arte, e l'artista ci si mette di buon grado di contorno.
(Ingmar Bergman nel catalogo di produzione "Ab Svensk Filmindustri 1964 -1965", Stoccolma 1965)
I rapporti umani hanno sempre una profondità misteriosa e propongono, appena si parta a esplorarli, una duplicità senza soluzione: dove l'amore e l'odio, la ripulsa e la voglia, la colpa e l'innocenza, si intrecciano in nodi tali, che ogni giudizio sul nostro prossimo si riduce, in realtà, a una presunzione o a un arbitrio. Da Shakespeare a Dostoevskij a Svevo, non è certo Ingmar Bergman il solo autore che sia stato tentato da un tale problema. Si capisce che, secondo natura, per certuni esso sarà motivo di passione e di pietà; e per altri - quali appunto Bergman - sarà quasi un freddo oggetto di analisi scientifiche. Ma in ogni caso, l'attenzione a questo problema è, in un artista, un segno di nobiltà e di impegno superiore. Si tratta difatti semplicemente del problema della coscienza morale: come dire, del problema fondamentale della persona umana.
(Elsa Morante, in "L'Europa Letteraria", n° 27, marzo 1964)
In carcere mi hanno chiuso, all'ergastolo per te
di un dolore così grande mi hai sommerso
sei tu la causa del male per cui mi opprimono
le amarezza e i tormenti mi fanno vorticare
Adesso farò appello forse mi faranno uscire
per farti a pezzi cattiva assassina
cospargerti di petrolio e poi darti fuoco
e dentro il pozzo secco ti scaraventerò
E allora sette ergastoli di sicuro mi daranno
e alla forca di Nafplio li mi impiccheranno
giurati e giudici sedotti dalla tua bellezza
mi daranno l'ergastolo per fare te contenta
Per i tuoi intrighi ho accoppato il fascista
senza volerlo, son diventato ergastolano
tremenda vendetta quando sarò fuori
come Achille che Ettore cadavere tira dietro il carro.
(Markos Vamvavakaris nato a Syros, Cicladi 1905, morto a Pireo, 1972: è stato il rebetis più influente nel mondo rebetiko)
Le sue memorie, Un anarchico in prigione {1912), sono un classico minore della letteratura detentiva e costituiscono una testimonianza eloquente e dolorosa del suo idealismo giovanile, dei lunghi insopportabili periodi di isolamento, delle proteste contro le condizioni inumane del carcere, della sua disperazione e solitudine e degli inutili piani di evasione. Rilasciato nel 1906 e riunitosi alla Goldman, Berkman tornava all’agitazione anarchica fino al 1936, anno in cui sceglieva di suicidarsi piuttosto che continuare a soffrire per le proprie condizioni di salute e di dipendenza dal supporto finanziario degli amici. Fosse vissuto appena un po’ di più, avrebbe avuto almeno il sollievo di ascoltare le notizie dei tumultuosi avvenimenti che stavano incendiando la Spagna. Nei suoi quattordici anni di prigionia, Berkman approfondiva la propria comprensione del mondo: «La maturità mi ha chiarito la via», confidava in una lettera alla Goldman dopo dieci anni di cella, e l’esperienza fatta gli insegnava la necessità di una «visione pura di cuori che restano caldi». Una simile notazione può apparire aridamente intellettuale, ma le memorie di Berkman sono radicate nella privazione sensoriale provocata dalla detenzione, mentre la sua capacità di comprensione col passare degli anni è andata aumentando, cosicché l’uomo che cammina libero alla fine del libro abbraccia coraggiosamente, pur se con timore, la ritrovata libertà. Berkman e la Goldman saranno successivamente espulsi dagli Stati Uniti, a causa della loro attività pacifista durante la prima guerra mondiale, e si trasferiranno in Russia attratti dai fuochi rivoluzionari che bruciavano laggiù.
A poco meno di un anno dal debutto “The Piper At The Gates Of Dawn” (1967), i Pink Floyd si imbarcarono in una serie di tappe negli USA, fu una tournée che si trasformò subito in un tour massacrante da una città all’altra, costituì un altro duro colpo al fragile equilibrio psico-fisico di Syd Barrett, l'allora principale mente creativa della band, da qualche anno ormai preda delle sue stesse allucinazioni e di trip mentali in gran parte provocati dalle droghe che assumeva. Ormai il cantante chitarrista era assente nelle performance, muto nelle interviste ed immobile come una statua durante i live, costringendo gli altri suoi compagni agli straordinari pur di tenere in piedi l’esibizione. Per evitare il collasso, nel 1968 Waters Wright e Mason presero la decisione più triste ed estrema: contattarono come nuovo chitarrista e voce l’amico di Syd, David Gilmour, apparentemente per aiutare Barrett con la presenza di un amico, in realtà, ma forse ancora inconsciamente, per
sostituirlo.
Il disco del 1968 prende il titolo dalla lunga suite della seconda facciata, A Saucerful OF Secrets. La struttura ricalca quella dell’opera di esordio: le delizie melodiche hanno però perso il tipico dadaismo barrettiano, si avverte una maggiore monotonia nell’esecuzione, ma comunque mostra un complesso lucido e intelligente alle prese con purissima materia musicale, in un’orgia di travestimenti compositivi e di voci strumentali che proiettano la musica verso frontiere mai immaginate. Roger Waters ha preso il comando, e Gilmour, che lo asseconda, sono amanti della musica soffice, raffinata e distensiva ben coadiuvati da Wright e Mason.
Per la grafica la scelta dei Floyd cadde sulla Hipgnosis, con la quale instaurarono una lunga e proficua collaborazione. Il risultato finale del lavoro dello studio grafico fu una copertina creata grazie alla sovrapposizione di tredici immagini di vario tipo, tutte legate però dallo stesso filo conduttore. Osservandola si possono scorgere fumetti Marvel, una ruota dello zodiaco, una serie di pianeti del sistema solare, disegni di campagne, degli schemi grafici ed alcune bottiglie da alchimista. In mezzo a tutte queste immagini compare poi anche uno scatto molto piccolo della band, contenuto in una sfera, e realizzato con una pellicola ad infrarossi ciò spiega i suoi strani colori.
Il 33 giri si apre con Il basso liquido di Waters, che introduce la nenia psicotica e arabesca di Let There Be More Light è un magnifico viaggio attraverso il deserto e il fuoco, una sonorità fatata che si fonde in sonorità aspre e sghembe in bilico tra la psichedelia e la fantascienza, con il cantato a doppio binario di Richard Wright e Roger Waters ed un ritornello affidato a David Gilmour, con quest’ultimo che negli ultimi due minuti si presenta anche col suo primo assolo nei Pink Floyd. Nel testo è presente un esplicito riferimento a “Lucy in the Sky with Diamonds” dei Beatles, mentre la narrazione illustra cinematograficamente la discesa di un veicolo spaziale extraterrestre nella stazione di RAF Mildenhall, a nord-est di Cambridge, città natale di Roger Waters.
Melodie beat e sezione ritmica scalpitante danno vita ad un gioiello di indecisioni come Remember a Day, delicata e subliminale come poche altre. Un pianoforte dolcissimo ed ipnotico accompagna parole sognanti e respiri, suoni intermittenti e sibili appena percettibili. I Pink Floyd sono combattuti tra melodie easy e viaggi apocalittici; ne viene fuori un linguaggio musicale ibrido ed unico nella storia del rock. Il testo tratta di giornate perdute e dello scorrere inesorabile del tempo, Richard Wright si chiede quale sia il motivo per cui non sia mai possibile raggiungere il Sole.
Set The Controls For The Heart To The Sun è un serpente che striscia nella nostra mente, si mimetizza, colpisce con il suo veleno terribilmente dolce e letale. È un rifacimento in chiave orientale-onirica degli incubi astronautici di Barrett; la suggestione è notevole, perché il suono si insinua dolcissimo, sospinto da una percussione frenetica e assordante, da una litania monotona bisbigliata sotto le note ossessive del basso creando spazi immensi nella nostra mente, radure desolate, cieli plumbei e solitudine.
Corporal Clegg è la prima di una lunga serie di divagazioni sui temi bellici di Waters, che saranno ampiamente sviluppati dieci anni più tardi all’interno del mastodontico The Wall. Il testo narra del caporale Clegg, uno dei pochi che ce l’ha fatta, uno di quelli scampato alla morte, ma, la guerra ha preso una parte del suo corpo, una gamba ed ora lui è cambiato, si sente diverso, più fragile e perennemente osservato. Nessuno è in grado di aiutarlo e di dargli serenità. A sua moglie, la signora Clegg, non resta allora che diluire l’amarezza in un altro po’ di gin. Il suono si avvicina molto alle sonorità dell’esordio. Chitarra acida, atmosfera stralunata e aggressiva, assoluta imprevedibilità nei toni vocali così come negli assoli di fiati e chitarra.
A Saucerful Of Secrets, apre seconda facciata del disco, il brano dura quasi dodici minuti, una sorta di ascesa dagli inferi verso il paradiso, il tentativo più consistente di sconfinare nell’avanguardia. Un trip allucinogeno che si sublima in una religiosità totale, imponente e spaventosa, che fonda liturgie cristiane e orientali in un unico anelito cosmico. Diviso in quattro parti che simboleggiano i vari momenti di una battaglia, il movimento di apertura Something Else è essenzialmente un collage sonoro che aumenta d’intensità fino a diradarsi nell’atmosfera opprimente della seconda sezione Syncopated
Pandemonium, in cui i tamburi reiterati di Mason divengono il crocevia per una improvvisazione cacofonica, alludendo al momento saliente della battaglia; il ritorno alla calma è poi un momento buio e tempestoso Storm Signal, una conta dei danni in cui l’organo di Wright viene affiancato dal mellotron e dai cori celesti, che ci spingono infine verso un catacombale epilogo Celestial Voices.
See-Saw è una tenera ballata; arricchita di splendide orchestrazioni per archi, incursioni magiche di tastiere e ritmo di batteria sempre originale, un brano sulla perdita dell’infanzia scritto da Wright farcito da mellotron ipercalorici ed arrangiamenti d’archi mielosi.
Il finale è affidato all’ultima produzione di Syd Barrett sotto la sigla Pink Floyd: Jugband Blues è una filastrocca deliziosa, senza il minimo equilibrio, come tutte le sue opere. Fiati paesani, cori montanari, intermittenze chitarristiche, dissolvenze, malinconia insomma il magico Syd.
Il testo da molti viene visto come un atto di accusa verso i discografici ma anche ai membri della stessa band: “ È terribilmente cortese da parte vostra credermi qui/e vi sono anche molto grato per aver chiarito che in realtà non ci sono” oppure “E mi domando chi possa essere a scrivere questa canzone” .
Intorno al letto della moribonda Agnese si muovono due due sorelle, entrambe sposate - Maria e Karin - e una governante, Anna. Mentre Agnese si spegne ion grande sofferenze, le altre donne confrontano il loro passato, le loro esperienze, la loro sensibilità. I personaggi sono emblematici: le quattro donne rappresentano altrettanti parti di una sola psiche. Esse tentano in vario modo, dio interagire per comporre l'unità della persona umana, ma inutilmente: Agnese muore e le altre si separano.
Due o tre anni prima di cominciare la sceneggiatura del film, ho avuto una specie di visione: una stanza rossa in cui tre donne in bianco sussurravano qualcosa fra di loro. Non sapevo cosa dicessero, ma questa immagine mi è sembrata piena di significato. Ho pensato. Cosa potevano dirsi? Ma c'è un'altra cosa. Quando ero ragazzo, mi interrogavo spesso su cosa fosse l'anima. Me la rappresentavo come un grande mostro nero senza volto; ma quando il mostro si apriva il suo interno era rosso. Allora mi sembrava che l'interno del'essere umano doveva essere rosso.
(Ingmar Bergman, in "Image et son" n. 278, novembre 1973)
Metà della forza di Sussurri e grida sta nell'uso emotivo, violento, delle sontuose e lente immagini destinate a scoprire, per contrasto, l'insopportabilità delle situazioni-limite, l'agonia di Agnese, l'automutilazione di Karin. L'altra metà è non la denuncia della borghesia - che pure c'è, ed è la parte più debole del film - ma l'impatto della irrazionalità con la malattia e la morte, della illusione di felicità, della solitudine. Tutte cose che il movimento operaio, rivoluzionario, mette tra parentesi: Bergman ormai fa di tutto ciò che non è natura (la cui terribilità, come capisce Anna, ha una religiosa grandezza) pura corruzione. Questa è la sola forma in cui l'uomo, come coscienza e storia, si esprime. E nulla sfugge a questo giudizio: dove l'uomo tocca, contamina. Non è reazione questa? Lo è. Così composta e rivissuta, così fatta realtà in quattro donne (la materia umana più scoperta e dolente) da parerci bellissima, bellissima perché ci investe, come alcuni grandi poeti decadenti, in quella parte di noi che nella crisi profonda e storica della persona è dentro fino al collo, anche se vorrebbe non accorgersene.
(Rossana Rossanda, in "Il manifesto", 5 novembre 1973)
l’alba porta con sé il dolore della luce
di qualcuno che non vuole essere visto
una voce che deve essere nascosta
in un luogo
che non le appartiene
è un fiume o una brezza
o l’acqua che scorre e piange
di sé
che ti fa desiderare di essere libero ?
il canto proibito di un grillo
giace tra le rose
un vento aleggia intorno sussurrando di Che Guevara
e di Cavallo Pazzo
in un mattino di gelo
nel dolore del risveglio
il grido dell’umanità esce da sé
impossibile da fermare
come il gocciolio dell’acqua
come il pianto di un bambino
Le origini del gruppo vanno ricercate a Cambridge, non lontana dalla capitale, città natale di Roger Waters, Richard Wright e Nick Mason. I tre, tutti studenti di architettura a Londra, formano nel 1964 i Sigma 6, gruppetto di stampo universitario orientato verso il blues. Con l’aggiunta di Juliette Gale, cantante e futura moglie di Wright e, due chitarristi, Bob Close e Syd Barrett. Dopo la dipartita di Close e Gale, e dopo aver cambiato diverse volte il nome (T-Set, Screaming Abdabs, Abdabs); diventano i Pink Floyd dal nome di Pink Anderson e Floyd Council, due bluesmen americani con un posto importante nella collezione discografica di Barrett.
I Pink Floyd sono i sovrani incontrastati di questa ondata lisergica che invade l’Inghilterra passeggiando sul ritmo del beat. Nel loro suono c’è l’ebbrezza del nuovo, del mai provato, l’illusione di un viaggio oltre le stelle che spezza il cerchio del grigiore quotidiano regalando alla vita e alla mente la giusta dose di amore e magia. Il maestro di cerimonia è Syd Barrett, botanico finissimo, maestro della magia verde, mescolatore delle pillole colorate di marca Beatles con capsule prese dal listino degli Stones per creare aroma e luce.
Ottenuto un contratto con la EMI, i Pink Floyd pubblicano due 45 giri: Arnold Layne / Candy And A Current Bun e See Emily Play / The Scarecrow, due singoli che appaiono in classifica e fanno da apripista a uno dei più affascinanti lavori del nuovo rock inglese, THE PIPER AT THE GATES OF DAWN (agosto 1967).
Il primo LP del gruppo è uno dei dischi chiave dell’epoca. Dietro a un titolo preso da un classico della letteratura infantile (Il vento tra i salici) c’è lo spirito del1967, che anima di volta in volta lunghi strumentali, ballate stralunate, favolette acid pop, effetti spaziali e un inarrivabile lirismo psichedelico.
L’album si apre con quella che sarà ricordata come una delle maggiori canzoni psichedeliche della storia, ovvero Astronomy Domine: il segnale radio intermittente è una delle più grandi invenzioni del rock inglese degli anni Sessanta; chitarre che passano dal blues-rock a dilatazioni oniriche, percussioni tribali, tastiere a tratti dissonanti che avvolgono tutta l'atmosfera creando richiami spaziali, incursioni di voci filtrate come se provenissero da un'astronave, melodie vocali Mersey-beat distorte in maniera surreale, Mason e Wright inventano un nuovo stile di accompagnamento. Il brano dalle tinte ombrose ed oppressive narra l’amore del chitarrista per lo spazio, elemento che lo ha sempre affascinato, nonché un suo viaggio indotto dall’LSD (leggenda narra che Syd durante il trip portò con se un libro di astronomia per orientarsi). Musicalmente parlando la traccia si classifica immediatamente come innovativa sopra ogni forma immaginabile; i tetri accordi di Barrett e il martellante/pulsante basso di Waters catapultano l’ascoltatore tra le stelle e i pianeti.
Con Lucifer Sam, si vira su lidi leggermente più classici con le voci stile beat, la chitarra con sonorità blues-rock virata sul psichedelico; il brano parla del gatto di Syd, Rover, soprannominato Sam dal cantante stesso.
Matilda mother, vede Richard e Syd avvicendarsi al ruolo di narratori in una dolce e bellissima favola dove una mamma racconta una storia ad un bambino che vuole saperne sempre di più, attraverso la rilettura di polifonie vocali dei Beach Boys e dei Beatles, il tutto rifinito da Wright con le sue tastiere orientaleggianti.
Flaming è la perfetta dimostrazione di come le droghe abbiano avuto una grandissima importanza all’interno della stesura dei brani. La traccia in questione è una descrizione dei tanti stati mentali provati da Syd sotto l’effetto dell’LSD e delle allucinazioni provocategli. Ci ritroviamo così con un Barrett sdraiato su nuvole blu, a cavallo di unicorni e impegnato a nuotare tra le stelle. Musicalmente il brano è introdotto e contaminato da arrangiamenti goliardici e dissonanti a fiati e percussioni, mentre l'organo di Wright evoca un tappeto sonoro liturgico, e le chitarre unite al pianoforte concludono l'evoluzione in un irreale quadro onirico.
Pow R. Toch H è la prima traccia strumentale dell’album, con un’introduzione jazzata e con un mirabile assolo pianistico di Wright, presenta grandi sperimentazioni, come le urla e le risate presenti all’interno del brano di Barrett e Waters derivanti direttamente dall'estetica avanguardista di Edgard Varèse e John Cage. Il brano, sorretto ancora una volta dalle tastiere e dalla batteria, lascia molto spazio sia all’improvvisazione delle prime che alle distorsioni psichedeliche della chitarra di Syd.
Take up thy stethoscope and walk, unico brano composto dal solo Waters. Il pezzo presenta un comparto strumentale davvero fenomenale. Inizialmente tutto segue l’andatura della melodia vocale, con un esclusivo accompagnamento del basso; la chitarra di Syd fa la sua entrata solamente dopo la prima parte del testo per improvvisare un orgia di assoli chitarristici distorti e man mano fa la stessa cosa anche il basso epilettico di Roger, il tutto armonizzato dalle tastiere di Wright.
Quando si pensa alla musica psichedelica, cercando di identificarla in un solo pezzo, è innegabile dire che Interstellar Overdrive salta immediatamente alla mente come prima candidata. Il brano, che su disco raggiunge solo i nove minuti, nulla in confronto ai venti e più delle versioni live, si sviluppa in diversi livelli, nascendo dal cupo riff di chitarra di Barrett che da menestrello dissonante si trasforma in musicista cosmico per sfociare poi nella più totale improvvisazione, in cui ogni strumento suona un qualcosa a se stante, senza risultare mai fuori posto. Ogni strumento vibra libero e organico, deformato dalla intensità della rappresentazione. Il senso cosmico è dato dal bip-bip galattico della chitarra, dal pulsare magnetico del basso, dagli scoppi luminosi della batteria e soprattutto dalla rumorosità astronautica delle tastiere.
The gnome, una delle melodie più orecchiabili di Barrett, una fiaba classicheggiante che narra la storia di un popolo di gnomi chiamato Grimble Gromble e delle loro abitudini quotidiane,
Chapter 24, Tratto da dei frammenti del capitolo 24 di uno dei libri preferiti di Barrett, I Ching, conosciuto anche come il libro dei mutamenti, dove sono illustrati alcuni degli insegnamenti di vita del confucianesimo. Il brano regala forse le melodie più allegre, con le polifonie vocali che si stagliano su di un tappeto a metà tra la ninna nanna bucolica e l'esperimento avanguardista, basso che compie incursioni blues fugaci e massicci interventi delle tastiere che perfezionano uno stile di psycho-folk Canterburyano.
The scarecrow, uno scherzo dadaista, valorizzata dagli arpeggi folk, dagli archi e dagli arrangiamenti percussivi bizzarri, racconta la descrizione che un bambino potrebbe fare di uno spaventapasseri.
Bike, nell’ultimo pezzo della seconda facciata, la band sfoga la propria anima più freak e surreale, con una prima metà immersa nel vaudeville da fiera ambulante e una seconda metà di jam rumorista percussiva, con sirene, orologi a cucù, campanelli, grancasse, catene arrugginite, versi di animali.
"Il mio sistema non riconosce né l'utilità, né la possibilità stessa di una rivoluzione diversa da quella spontanea, popolare e sociale. Sono profondamente convinto che qualsiasi altra rivoluzione è disonesta, nociva e funesta per la libertà e per il popolo, perché riporta una nuova miseria e una nuova schiavitù per il popolo; inoltre, e questo è l'essenziale, qualsiasi altra rivoluzione è diventata impossibile, irrealizzabile e inattuabile. La centralizzazione e la civiltà progredita, le ferrovie, il telegrafo, i nuovi armamenti e la nuova organizzazione degli eserciti, la scienza dell'amministrazione in genere, cioè la scienza dell'assoggettamento e dello sfruttamento sistematico delle masse popolari, della repressione delle rivolte popolari e di qualsiasi altra rivolta, scienza così accuratamente elaborata, sperimentata con l'esperienza e perfezionata durante gli ultimi settantacinque anni di storia contemporanea - tutto ciò ha fornito attualmente allo Stato una potenza tanto grande che tutti i tentativi artificiali, segreti, di cospirazione al di fuori del popolo, come pure gli attacchi improvvisi, le sorprese e i colpi di mano, sono destinati a essere schiacciati da questa forza; lo Stato può essere vinto e abbattuto soltanto dalla rivoluzione spontanea, popolare e sociale."
Film documentario muto sulle grandi dighe di sbarramento olandesi (più tardi rimaneggiato e sonorizzato). Nella prima parte, immagini relative alla costruzione delle dighe; nella seconda, immagini relative al prosciugamento dello Zuiderzee.
Il documentario è l'espressione della realtà nel suo aspetto causale e inevitabile. Constato innanzitutto che il film documentario è il solo mezzo che resta al cineasta d'avanguardia per lottare contro la Grande Industria. Il cinema d'avanguardia è un cinema che tende a provocare l'interesse e la reazione dello spettatore. E chiamo cinema d'avanguardia il cinema che prende l'iniziativa del progresso e la mantiene alfiere della sincerità cinematografica. Il film documentario è il mezzo positivo lasciato al cineasta d'avanguardia per lavorare ed esprimere al meglio di se stesso in quanto portavoce dell'espressione della massa, dell'espressione popolare nella sua opera.
(Joris Ivens, in Robert Grelier, "Joris Ivens", Les Editeurs Francais Réunis, Parigi 1965)
Noi non abbiamo definito il formalismo letterario neanche dal punto di vista politico, il che vuol dire che non l'abbiamo definito affatto. Gli scrittori dell'avanguardia letteraria sono borghesi decadenti, punto e basta. Bisogna quindi lasciarli da parte e andare a scuola dai classici. Mai che si accenni al formalismo delle democrazie e dei fascismi. La disgregazione del racconto viene giudicata come pura e semplice disgregazione. Il montaggio, per esempio è considerato un contrassegno della décadence. Perché con esso si spezza l'unità e viene meno l'organicità! Naturalmente il montaggio sarebbe possibile studiarlo anche in concreto (per esdempio il film Zuiderzee di Ivens che mostra la conquista del suolo fertile e poi la contemporanea distruzione dei prodotti del suolo in altre regioni.
( Bertold Brecht, "Diario di lavoro", Einaudi, Torino 1976)
Il tempo è più complesso vicino al mare che in qualsiasi altro posto, perché oltre al transito del sole e al volgere delle stagioni, le onde battono il passare del tempo sulle rocce e le maree salgono e scendono come una grande clessidra. (John Steinbeck)
Non si può essere infelice quando si ha questo: l’odore del mare, la sabbia sotto le dita, l’aria, il vento. (Irène Némirovsky)
Il mare è un immenso deserto dove l’uomo non è mai solo, perché sente fremere la vita ai suoi fianchi. (Jules Verne)
Arrivederci a settembre
L'umorismo è una profanazione perpetua, una costante provocazione del profano al sacro. Laddove l'uomo sa ridere, sparisce l'ombra degli dei. Ridere del dominio non basta ma è già l'inizio di una resistenza. Introducendo il dubbio nella sottomissione, l'ironia e il sarcasmo armano i rivoluzionari, aggrediscono il dispotismo e l'ingiustizia, indeboliscono la servitù volontaria. Le risate scavano in anticipo il fosso dove finiscono sepolti i tiranni che l'intelligenza sensibile stana e che gli uomini liberi combattono. La laicità ideologica della borghesia rivoluzionaria ha avuto il torto di prendersi talmente sul serio di fare della ragione una dea. In un contesto pesante dove tutto diventa stupidamente tragico, banale, ineluttabile, lo spettacolo integrato è oggi una farsa totalitaria organizzata. L'umorismo contribuisce a preservare fino all'ultimo soffio di vita la possibilità della leggerezza. Mostrare col dito, con la penna o con la matita il ridicolo del potere; ecco qualcosa che favorisce già la vita e apre un cammino al rovesciamento di prospettiva. Il potere che si esercita sugli uomini sottomessi si indebolisce quando questi alzano la testa con un sorriso sulle labbra. La loro muscolatura si rilassa, le loro smorfie da credenti, da cantanti di inni patriottici e da seguaci di liturgie idiote si disfano. La loro umanità dimenticata ritrova i sensi perduti della felicità, solo luce che continua a guidare donne e uomini in questa effimera e meravigliosa avventura che è la vita.
Laura, una signora inglese di mezza età, incontra casualmente alla stazione Alec, un medico, come lei coniugato. Tra i due nasce un sentimento profondo che potrebbe modificare completamente le loro vite; ma dopo vari conflitti psicologici finisce per prevalere una scelta rispettosa delle "norme morali".
Lo scopo più importante di un film è quello di delineare un carattere e creare un'atmosfera. L'azione è cosa secondaria. A essere sincero, produttori e censori mi limitano solo in misura minima. I limiti autentici sono in me stesso. Denaro, macchine da presa, attori e tecnici non mancano. E io ho anche una penna e un foglio di carta bianca.
(David Lean, in AA. VV., "Film 1961", Feltrinelli, Milano 1961)
E' mia impressione che la medesima storia, con fantasiose variazioni, sia raccontata una o due volte su ogni numero di ogni rivista per casalinghe - spesso con una certa dose di sincerità, quasi mai con sufficiente approfondimento, distacco, stile e coraggio morale di fare un opera non di pessima qualità-
(James Agee, "Agee on film", McDowell, Obolensky, New York 1958)
Là, dov’era più umido
fecero un fosso enorme
e nella roccia scavarono
nicchie e le sbarrarono
alzarono poi garitte e torrioni
e ci misero dei soldati, a guardia
ci fecero indossare la casacca
e ci chiamarono delinquenti
Infine
vollero sbarrare il cielo
...
non ci riuscirono del tutto
altissimi
guardiamo i gabbiani che volano