A poco meno di un anno dal debutto “The Piper At The Gates Of Dawn” (1967), i Pink Floyd si imbarcarono in una serie di tappe negli USA, fu una tournée che si trasformò subito in un tour massacrante da una città all’altra, costituì un altro duro colpo al fragile equilibrio psico-fisico di Syd Barrett, l'allora principale mente creativa della band, da qualche anno ormai preda delle sue stesse allucinazioni e di trip mentali in gran parte provocati dalle droghe che assumeva. Ormai il cantante chitarrista era assente nelle performance, muto nelle interviste ed immobile come una statua durante i live, costringendo gli altri suoi compagni agli straordinari pur di tenere in piedi l’esibizione. Per evitare il collasso, nel 1968 Waters Wright e Mason presero la decisione più triste ed estrema: contattarono come nuovo chitarrista e voce l’amico di Syd, David Gilmour, apparentemente per aiutare Barrett con la presenza di un amico, in realtà, ma forse ancora inconsciamente, per
sostituirlo.
Il disco del 1968 prende il titolo dalla lunga suite della seconda facciata, A Saucerful OF Secrets. La struttura ricalca quella dell’opera di esordio: le delizie melodiche hanno però perso il tipico dadaismo barrettiano, si avverte una maggiore monotonia nell’esecuzione, ma comunque mostra un complesso lucido e intelligente alle prese con purissima materia musicale, in un’orgia di travestimenti compositivi e di voci strumentali che proiettano la musica verso frontiere mai immaginate. Roger Waters ha preso il comando, e Gilmour, che lo asseconda, sono amanti della musica soffice, raffinata e distensiva ben coadiuvati da Wright e Mason.
Per la grafica la scelta dei Floyd cadde sulla Hipgnosis, con la quale instaurarono una lunga e proficua collaborazione. Il risultato finale del lavoro dello studio grafico fu una copertina creata grazie alla sovrapposizione di tredici immagini di vario tipo, tutte legate però dallo stesso filo conduttore. Osservandola si possono scorgere fumetti Marvel, una ruota dello zodiaco, una serie di pianeti del sistema solare, disegni di campagne, degli schemi grafici ed alcune bottiglie da alchimista. In mezzo a tutte queste immagini compare poi anche uno scatto molto piccolo della band, contenuto in una sfera, e realizzato con una pellicola ad infrarossi ciò spiega i suoi strani colori.
Il 33 giri si apre con Il basso liquido di Waters, che introduce la nenia psicotica e arabesca di Let There Be More Light è un magnifico viaggio attraverso il deserto e il fuoco, una sonorità fatata che si fonde in sonorità aspre e sghembe in bilico tra la psichedelia e la fantascienza, con il cantato a doppio binario di Richard Wright e Roger Waters ed un ritornello affidato a David Gilmour, con quest’ultimo che negli ultimi due minuti si presenta anche col suo primo assolo nei Pink Floyd. Nel testo è presente un esplicito riferimento a “Lucy in the Sky with Diamonds” dei Beatles, mentre la narrazione illustra cinematograficamente la discesa di un veicolo spaziale extraterrestre nella stazione di RAF Mildenhall, a nord-est di Cambridge, città natale di Roger Waters.
Melodie beat e sezione ritmica scalpitante danno vita ad un gioiello di indecisioni come Remember a Day, delicata e subliminale come poche altre. Un pianoforte dolcissimo ed ipnotico accompagna parole sognanti e respiri, suoni intermittenti e sibili appena percettibili. I Pink Floyd sono combattuti tra melodie easy e viaggi apocalittici; ne viene fuori un linguaggio musicale ibrido ed unico nella storia del rock. Il testo tratta di giornate perdute e dello scorrere inesorabile del tempo, Richard Wright si chiede quale sia il motivo per cui non sia mai possibile raggiungere il Sole.
Set The Controls For The Heart To The Sun è un serpente che striscia nella nostra mente, si mimetizza, colpisce con il suo veleno terribilmente dolce e letale. È un rifacimento in chiave orientale-onirica degli incubi astronautici di Barrett; la suggestione è notevole, perché il suono si insinua dolcissimo, sospinto da una percussione frenetica e assordante, da una litania monotona bisbigliata sotto le note ossessive del basso creando spazi immensi nella nostra mente, radure desolate, cieli plumbei e solitudine.
Corporal Clegg è la prima di una lunga serie di divagazioni sui temi bellici di Waters, che saranno ampiamente sviluppati dieci anni più tardi all’interno del mastodontico The Wall. Il testo narra del caporale Clegg, uno dei pochi che ce l’ha fatta, uno di quelli scampato alla morte, ma, la guerra ha preso una parte del suo corpo, una gamba ed ora lui è cambiato, si sente diverso, più fragile e perennemente osservato. Nessuno è in grado di aiutarlo e di dargli serenità. A sua moglie, la signora Clegg, non resta allora che diluire l’amarezza in un altro po’ di gin. Il suono si avvicina molto alle sonorità dell’esordio. Chitarra acida, atmosfera stralunata e aggressiva, assoluta imprevedibilità nei toni vocali così come negli assoli di fiati e chitarra.
A Saucerful Of Secrets, apre seconda facciata del disco, il brano dura quasi dodici minuti, una sorta di ascesa dagli inferi verso il paradiso, il tentativo più consistente di sconfinare nell’avanguardia. Un trip allucinogeno che si sublima in una religiosità totale, imponente e spaventosa, che fonda liturgie cristiane e orientali in un unico anelito cosmico. Diviso in quattro parti che simboleggiano i vari momenti di una battaglia, il movimento di apertura Something Else è essenzialmente un collage sonoro che aumenta d’intensità fino a diradarsi nell’atmosfera opprimente della seconda sezione Syncopated
Pandemonium, in cui i tamburi reiterati di Mason divengono il crocevia per una improvvisazione cacofonica, alludendo al momento saliente della battaglia; il ritorno alla calma è poi un momento buio e tempestoso Storm Signal, una conta dei danni in cui l’organo di Wright viene affiancato dal mellotron e dai cori celesti, che ci spingono infine verso un catacombale epilogo Celestial Voices.
See-Saw è una tenera ballata; arricchita di splendide orchestrazioni per archi, incursioni magiche di tastiere e ritmo di batteria sempre originale, un brano sulla perdita dell’infanzia scritto da Wright farcito da mellotron ipercalorici ed arrangiamenti d’archi mielosi.
Il finale è affidato all’ultima produzione di Syd Barrett sotto la sigla Pink Floyd: Jugband Blues è una filastrocca deliziosa, senza il minimo equilibrio, come tutte le sue opere. Fiati paesani, cori montanari, intermittenze chitarristiche, dissolvenze, malinconia insomma il magico Syd.
Il testo da molti viene visto come un atto di accusa verso i discografici ma anche ai membri della stessa band: “ È terribilmente cortese da parte vostra credermi qui/e vi sono anche molto grato per aver chiarito che in realtà non ci sono” oppure “E mi domando chi possa essere a scrivere questa canzone” .
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