venerdì 5 ottobre 2018

SUSSURRI E GRIDA di Ingmar Bergman

Intorno al letto della moribonda Agnese si muovono due due sorelle, entrambe sposate - Maria e Karin - e una governante, Anna. Mentre Agnese si spegne ion grande sofferenze, le altre donne confrontano il loro passato, le loro esperienze, la loro sensibilità. I personaggi sono emblematici: le quattro donne rappresentano altrettanti parti di una sola psiche. Esse tentano in vario modo, dio interagire per comporre l'unità della persona umana, ma inutilmente: Agnese muore e le altre si separano.

Due o tre anni prima di cominciare la sceneggiatura del film, ho avuto una specie di visione: una stanza rossa in cui tre donne in bianco sussurravano qualcosa fra di loro. Non sapevo cosa dicessero, ma questa immagine mi è sembrata piena di significato. Ho pensato. Cosa potevano dirsi? Ma c'è un'altra cosa. Quando ero ragazzo, mi interrogavo spesso su cosa fosse l'anima. Me la rappresentavo come un grande mostro nero senza volto; ma quando il mostro si apriva il suo interno era rosso. Allora mi sembrava che l'interno del'essere umano doveva essere rosso.
(Ingmar Bergman, in "Image et son" n. 278, novembre 1973)
Metà della forza di Sussurri e grida sta nell'uso emotivo, violento, delle sontuose e lente immagini destinate a scoprire, per contrasto, l'insopportabilità delle situazioni-limite, l'agonia di Agnese, l'automutilazione di Karin. L'altra metà è non la denuncia della borghesia - che pure c'è, ed è la parte più debole del film - ma l'impatto della irrazionalità con la malattia e la morte, della illusione di felicità, della solitudine. Tutte cose che il movimento operaio, rivoluzionario, mette tra parentesi: Bergman ormai fa di tutto ciò che non è natura (la cui terribilità, come capisce Anna, ha una religiosa grandezza) pura corruzione. Questa è la sola forma in cui l'uomo, come coscienza e storia, si esprime. E nulla sfugge a questo giudizio: dove l'uomo tocca, contamina. Non è reazione questa? Lo è. Così composta e rivissuta, così fatta realtà in quattro donne (la materia umana più scoperta e dolente) da parerci bellissima, bellissima perché ci investe, come alcuni grandi poeti decadenti, in quella parte di noi che nella crisi profonda e storica della persona è dentro fino al collo, anche se vorrebbe non accorgersene. 
(Rossana Rossanda, in "Il manifesto", 5 novembre 1973)

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