Nato a Philadelfia il 27 agosto 1890, nel 1911 si trasferisce a New York dove frequenta una scuola d’arte, apprendendovi le varie tecniche grafiche. Se frequenta a disagio questa scuola, disprezzando l’aspetto accademico dell’arte, ben altra sintonia trova invece con il Ferrer Center di New York, dove comincia a frequentare i corsi serali entrando in contatto con personaggi come Emma Goldman e Alexander Berkman. Del corpo insegnante del Ferrer Center fanno parte a quel tempo, oltre al filosofo Will Durant, pittori già affermati come Robert Henri e George Bellows. Sono anarchici anche molti degli artisti che Man Ray prende a frequentare: Samuel Halpert, Abraham Walkowitz e Alfred Stieglitz, titolare della galleria «291» ed editore del periodico omonimo e di «Camera Work». Lo spirito libertario della scuola e le idee di Francisco Ferrer esercitano una grande influenza sul diciannovenne Man Ray. Come aveva affermato lo stesso Ferrer nel 1909: «Abbiamo bisogno di uomini capaci di svilupparsi incessantemente... di rinnovarsi; di uomini la cui indipendenza intellettuale sarà la loro massima forza... di uomini che aspirino a vivere in una vita una molteplicità di vite». In queste frasi sembra descritta la vita di Man Ray: le sue vite molteplici sono
quelle di disegnatore, di pittore, di creatore di oggetti, di fotografo, di autore di film e di filosofo. Al Ferrer Center tiene, nel dicembre 1912, la sua prima mostra. Nel febbraio 1913 conosce Adon Lacroix, moglie divorziata della scultore anarchico Adolf Wolff, che sposa l’anno seguente.
Nell’agosto 1914 realizza la copertina di «Mother Earth» [vol.IX, n. 6], mensile anarchico pubblicato da Emma Goldman. Nel 1915 pubblica A Book of Diverse Writing, testimonianze del suo lavoro di disegnatore, e denuncia la tragicità della guerra nel suo dipinto AD MCMXIV. Nel 1921 si trasferisce a Parigi, dove Marcel Duchamp lo presenta ai dadaisti e ai futuri surrealisti, per i quali disegna nel 1922 le copertine di «Littérature». Rimane in Francia sino alla seconda guerra mondiale e nel 1940 torna a New York. Nel secondo dopoguerra la sua fama è ormai consolidata e nel 1961 riceve la medaglia d’oro per la fotografia alla biennale di Venezia. Muore a Parigi il 18 novembre 1976.
Si tratta di un genere monotipico originario del Messico e del sud-est degli Stati Uniti e rappresenta il "gigante" in assoluto fra le cactacee: la sua altezza infatti può raggiungere anche i 20 metri, con una vita che supera anche i 200 anni. Nativo dell'Arizona. del sudest della California e del deserto messicano di Sonora, pur non essendo un enteogeno tradizionale, contiene alcaloidi psicoattivi.
Conosciuto popolarmente con il termine di saguaro, questo cactus è stato impiegato per secoli dagli Indiani per una varietà infinita di scopi. I Papago ne raccoglievano i frutti per farne una bevanda fermentata, utilizzata nella cerimonia della pioggia; questa avveniva in luglio o nei primi giorni di agosto e celebrava altresì il nuovo anno. Gli effetti della bevanda inebriante duravano una notte e un giorno.
Gli alcaloidi di questo cactus furono studiati per la prima volta nel 1928 e portarono all'isolamento della carnegina. Studi più recenti hanno evidenziato la presenza di altri tre alcaloidi tetraidroisoquinolici: la salsolidina. la gigantina e l'arizonina.
La parola è solo il pensiero divenuto sonoro, l’azione il pensiero divenuto visibile. Il nostro ideale comporta dunque per ognuno la piena e assoluta libertà di esprimere il proprio pensiero.
Va da sé che questa assoluta libertà di pensiero, di parola e di azione è incompatibile con la conservazione di quelle istituzioni che pongono un limite alla libertà di pensiero, che fissano la parola sotto forma di impegno definitivo, irrevocabile, e pretendono anche di costringere il lavoratore a incrociare le braccia, a morire d’inedia per ordine di un padrone.
I conservatori non si sono affatto sbagliati quando hanno chiamato i rivoluzionari in modo generico «nemici della religione, della famiglia e della proprietà». Sì, gli anarchici respingono l’autorità del dogma e l’intervento del soprannaturale nella vita umana; sì, vogliono l’abolizione del mercimonio matrimoniale, vogliono le unioni libere che si reggono solo sul reciproco affetto; sì, vogliono eliminare l’accaparramento della terra e dei suoi prodotti per restituirli a tutti.
Uno scout dell'esercito americano, Tom Jeffords, tenta di propria iniziativa di fare il mediatore di pace tra gli Apaches di Cochise e le istituzioni colonizzatrici dei bianchi, rappresentate dal generale Howard. Alla fine, si giunge all'accordo e alla conciliazione fra le due parti, ma rimane uccisa l'indiana Sonseeahray, moglie di Jeffords.
Lavorai per sfruttare nel modo migliore il soggetto, benché non avessi ancora completato la sceneggiatura. Avevamo qualcosa da dire con questo film. Desideravamo fare il primo film che mostrasse l'Indiano d'America come un essere umano con una dignità, un senso dell'onore,del coraggio, e anche con un villaggio e una vita di famiglia che comprendessero dolcezze, tradizioni, riti, che fossero simili a quelli dei popoli civilizzati del mondo intero.
(Delmer Daves, in "Etudes cinèmatographiques" n. 12-13, 1962)
Debra Paget (Sonseeahray), si mantiene nei limiti di una psicologia affettuosa, semplice e fanciullesca; e riesce così a darci una figura femminile molto attraente e quasi nuova. Jeff Chandler e James Stewart nelle parti del capo indiano (Cochise) e del cercatore d'oro (Tom Jeffords) sono ambedue efficaci, seppure in un clima umanitario e convenzionale. La regia è misurata, calma, attenta, senza colpi di scena né troppe cavalcate dei "nostri".
Alberto Moravia, in "L'Europeo", 21 gennaio 1951)
Ticket to ride è una canzone aspra e dissonante, in tempo moderato con un beat strascicato. Scelta discutibile per un singolo dei Beatles, e si disse che dietro le quinte non tutti l'avessero condivisa. Nei giorni immediatamente successivi alla sua pubblicazione in Inghilterra, la stampa specializzata in musica pop la salutò come un nuovo indirizzo artistico per il gruppo: qualcosa di atipico, persino di non commerciale.
In qualche momento all'inizio del 1965, Lennon e Harrison ebbero il loro primo incontro con l'LSD. Dopo cena, un conoscente in vena di scherzi aveva corretto di nascosto il loro caffè con questa sostanza e i due si ritrovarono a scorrazzare di notte in giro per Londra, abbacinati e quasi isterici, mentre il potente allucinogeno faceva il suo effetto. In seguito Lennon riconobbe che l'esperienza lo aveva lasciato a bocca aperta, rivelandogli una maniera di percezione che la marijuana gli aveva a malapena suggerito. E' impossibile dire ma neanche escludere che Ticket to ride sia stata la sua prima risposta creativa all'incontro con l'LSD.
Biglietto per viaggiare
Oggi sono triste,
perché oggi, sì,
la mia ragazza mi ha lasciato
e se n'è andata.
Ha preso un biglietto per viaggiare
ha preso un biglietto,
ha preso un biglietto e non le importa nulla.
Mi ha detto che vivere con me
la deprime, sì,
perché non si sente mai libera
quando io le sono vicino.
Ha preso un biglietto per viaggiare
ha preso un biglietto,
ha preso un biglietto e non le importa nulla.
Non so perché vada così lontano,
doveva pensarci su due volte
prima di essere ingiusta con me,
prima di dirmi addio.
Doveva pensarci su due volte
prima di essere ingiusta con me.
Oggi sono triste,
perché oggi, sì,
la mia ragazza mi ha lasciato
e se n'è andata.
Ha preso un biglietto per viaggiare
ha preso un biglietto,
ha preso un biglietto e non le importa nulla.
Non so perché vada così lontano,
doveva pensarci su due volte
prima di essere ingiusta con me,
prima di dirmi addio.
Mi ha detto che vivere con me
la deprime, sì,
perché non si sente mai libera
quando io le sono vicino.
Ha preso un biglietto per viaggiare
ha preso un biglietto,
ha preso un biglietto e non le importa nulla.
Non te la prendere, ragazzo mio,
non te la prendere.
Nella vita quotidiana, come sui palcoscenici più in vista, gli esseri umani si comportano quasi sempre come mistificatori, che gonfiano la loro importanza e pervengono, in questo modo, appunto, a «giocare un ruolo». Il gioco è a volte grossolano, a volte di un'estrema finezza; e d'altronde un tale gioco impegna, compromette; è serio. I ruoli debbono essere conservati sino alla fine; non sono ruoli puri, che l'attore può abbandonare quando ne è stanco o quando avverte di recitare male. Il ruolo prolunga la realtà, ed è pertanto reale; il gioco esplora il possibile; la commedia non esclude, in astratto, la sincerità; di più, la suppone e le aggiunge anche qualcosa; qualcosa di reale: la coscienza d'una situazione, di un'azione, d'un effetto da ottenere.
E' precisamente così che la vita quotidiana somiglia a un teatro, e che il teatro può riassumere, condensare, «rappresentare» la vita per degli spettatori reali.
Nella tradizione anarchica, il conflitto comune-Stato risale almeno al 1836, quando uscì il libro di Proudhon sul federalismo che auspicava la nascita di una federazione di comuni autonomi. Bakunin ha ripreso questa prospettiva e l'ha messa al centro dei programmi redatti nel decennio 1860-1870. In quegli stessi anni queste idee si diffondevano tra gli oppositori di Napoleone III e della sua politica accentratrice in Francia.
Nel 1871, quando la Prussia sconfisse la Francia e il governo napoleonico crollò, queste stesse idee erano già presenti e ispirarono la Comune di Parigi che sorse dalle rovine del Secondo Impero. Dopo poche settimane di vita la Comune andò incontro a una fine disastrosa, eppure molti radicali (e non solo quelli avversi allo Stato, ma anche Marx per un certo tempo) s'ispirarono al suo audace esempio e considerarono la federazione di comuni autonomi il modello politico adatto per una società libera e autogestita. Alla fine di quel decennio, l'idea passò nei programmi della federazione del Jura, che vedeva nella federazione di comuni un elemento integrante della società post-rivoluzionaria.
Il municipalismo libertario prende spunto dal comunalismo storico, nella versione anarchica come in quella marxiana, come pure alla sua tradizione concreta nella storia rivoluzionaria, a partire dalla Rivoluzione Francese del 1789. Nello stesso tempo, gli fa fare dei passi in avanti. Mentre le prime teorie attribuivano ai comuni sostanzialmente le funzioni amministrative e di erogazione di "servizi pubblici" affidando il potere decisionale alle società operaie (la cui federazione doveva essere parallela a quella dei comuni federati), il municipalismo libertario concepisce il comune come uno strumento di democrazia diretta che ha il controllo sull'economia. E, mentre gli anarchici comunalisti pensavano che le masse avrebbero formato spontaneamente i comuni, dopo che lo Stato fosse crollato per qualche altra via, il municipalismo libertario prevede una fase di transizione rivoluzionaria durante la quale la federazione dei comuni si afferma come potere alternativo contro lo Stato-nazione.
Anna, una giovane ricca borghese, figlia di un diplomatico, parte per una crociera con l'amante - l'architetto Sandro - l'amica Claudia e altri del "mondo bene" romano. Su un'isola deserta delle Egadi Anna scompare. Comincia la ricerca da parte dei suoi compagni. Anna non viene ritrovata. Claudia e Sandro sperano di non ritrovarla più, vogliono dimenticarla e si innamorano.
Un regista è un uomo come tutti gli altri. Eppure la sua vita non è normale. "Vedere" per noi è una necessita. Anche per il pittore il problema è vedere. Ma mentre per il pittore si tratta di scoprire una realtà statica, o anche un ritmo se vogliamo ma un ritmo che si è fermato nel segno, per il regista il problema è cogliere una realtà che si matura che si consuma, e proporre questo movimento, questo arrivare e proseguire, come nuova percezione. Le persone che avviciniamo, i luoghi che visitiamo, i fatti a cui assistiamo: sono i rapporti spaziali e temporali di tutte queste cose tra loro ad avere un senso oggi per noi, è la tensione che tra loro si forma.
(Michelangelo Antonioni, in "La Stampa", 6 giugno 1963)
Come quadro sociale L'avventura non fa una grinza. C'è anche un Sud, un inferno sottosviluppato messo a contrasto con l'inferno del benessere, che è il Sud più "vero" e impressionante che sia vistofinora sullo schermo, senza la minima sbavatura di complicità populistica.
(Italo Calvino, in "Cinema Nuovo", n. 149, gennaio-febbraio 1961)
Noi non crediamo alla giovinezza e alla vita. De Gaulle salvaci tu. NOI CREDIAMO ALLA RINASCITA, ALL’ENTUSIASMO, ALLA MARCIA IN AVANTI. SALVIAMOCI DA SOLI.
Noi non crediamo alla solidarietà degli studenti e dei lavoratori. De Gaulle salvaci tu. NOI VOGLIAMO DISTRUGGERE LO SFRUTTAMENTO DEI LAVORATORI E DEGLI STUDENTI. SALVIAMOCI DA SOLI.
Noi non crediamo alla forza del popolo. De Gaulle salvaci tu. NOI SAPPIAMO CHE SOLO IL POPOLO DIRIGE IL SUO DESTINO. SALVIAMOCI DA SOLI.
Noi non crediamo all’intelligenza e all’immaginazione. De Gaulle salvaci tu. NOI DISTRUGGIAMO LE BARRIERE DELL’ABITUDINE, DELLA STUPIDITÀ E DELLA NOIA. SALVIAMOCI DA SOLI.
Noi non crediamo alla responsabilità degli individui e alla fraternità fra gli uomini. De Gaulle salvaci tu. NOI PROCLAMIAMO IL DIRITTO DI CIASCUNO ALLA VERITÀ E ALL’INIZIATIVA. SALVIAMOCI DA SOLI.
Noi vogliamo che nulla si muova, fino all’immobilità della tomba. De Gaulle salvaci tu. NOI VOGLIAMO LA RIVOLUZIONE DEI CUORI, DEGLI SPIRITI, DELLE ISTITUZIONI, DELLA VITA. SALVIAMOCI DA SOLI.
COMITATO D’AZIONE DE L’EPÉE DE BOIS (Francia, Volantino maggio 1968)
Pietre spaccate dal sole
lucertola veloce tra sassi levigati
rumori cosmici sul vecchio altopiano
luce proiettata da infiniti cosmi
terra arsa priva di vita umana
dileguarsi di ombre meccaniche
acido in provetta colpisce il cervello
bolle di fumo oscurano il sole
pioggia di meteoriti aprono crateri
la tua immagine riflessa piange
la provetta scoppia in mille colori
la lucertola muore senza sangue
le luci sul palcoscenico si spengono
il pubblico applaude
chiamando a gran voce gli attori
il sipario si apre commosso
la vecchia lucertola ride
avvolta nel suo bianco martello
L'agire politico vuoIe dire creare forme autonome di esistenza, liberare la vita quotidiana, costruire come opere d'arte il tempo e lo spazio del nostro vivere.
Oggi praticare forme di antagonismo e di sovversione adeguate all'attuale modo di produzione post-industriale (che regola, condiziona, determina, domina e mette in produzione tutti i singoli momenti della nostra esistenza) vuoIe dire creare nuove forme di vita, vuoIe dire assegnare ad ogni attimo, ad ogni azione della nostra giornata, un valore estetico.
Oggi ogni prassi antagonista deve necessariamente tendere alla riconquista della pienezza dell'esistenza attraverso l'azzeramento della distanza che separa la pratica artistica dalla pratica di liberazione della vita quotidiana.
Sottrarre la nostra vita al dominio ed allo sfruttamento, al lavoro forzato ed al bisogno, alla mercificazione ed alla sopravvivenza significa non solo combattere contro questa forma della realtà, ma anche mettere in atto una realtà altra, mettere in atto forme e modi di vita differenti.
Significa immaginare una vita degna di essere vissuta e praticare questa immaginazione trasformando, subito, la forma, i modi, i tempi della nostra esistenza.
La nostra vita è unica, singolare, irripetibile. Essa può diventare l'unica e sola opera d'arte che valga davvero la pena di realizzare.
Dobbiamo imparare a stimarla come cosa rara. Dobbiamo imparare ad assegnare, ad ogni suo momento, il valore che merita. Non possiamo svenderla ad un padrone, buttarla via nella noia della sopravvivenza, mortificarla con il lavoro forzato e con la vuotezza in cui cercano di imprigionarla.
L'adolescente Apu si reca a Calcutta a studiare, nonostante i tentativi della madre di trattenerlo presso di sé. Gli si apre un mondo nuovo. Sorge in lui un contrasto tra i legami col villaggio natale e l'ansia dei rapporti più vasti. Quando la madre muore, al dolore si unisce in Apu un senso di liberazione.
Lasciatemi raccontare brevemente l'esperienza dei miei primi due film. Quando nel 1952 cominciai Pather Panchali, ero consapevole delle conseguenze di allontanarmi dalla strada battuta: la passata esperienza di altri registi mi aveva messo in guardia. Pather Panchali, fu un successo nelle città. Anche nei sobborghi andò inaspettatamente bene. Col secondo film (L'invitto) mi feci più ardito e le conseguenze furono meno felici. I mio errore, da un punto di vista commerciale, fu di prendermi libertà ancora maggiori che in Pather Panchali col materiale d'origine. Fu a questo punto che entrarono in campo i festival cinematografici europei. I premi vinti dai due film diedero un nuovo aspetto alla situazione, e io mi resi conto che un regista bengalese non deve dipendere solo dal mercato interno.
(Satayajit Ray, in "International Film Annual" n. 2, 1958)
Quel che ammiro soprattutto nel L'invitto, come in Pather Panchali, è la qualità e il tono di un racconto che sa far passare in seconda linea le peripizie drammatiche a vantaggio della sostanza psicologica e morale. Se una delle ambizioni raramente raggiunte dal cinema può consistere nella concorrenza con il romanzo, e in particolare con le risorse soggettive del linguaggio che paion contraddire l'obiettività dell'immagine, L'invitto mi sembra costituire uno degli esempi più convincenti di film romanzo.
(Andrè Bazin, in "Cinema Nuovo" n. 114-115, 15 settembre 1957)
Nato a Tocopilla (Cile) nel 1929 da famiglia ebreo-ucraina, il giovane Alejandro trova nel Surrealismo, definito da Breton «arte magica», la via per liberarsi di una realtà oppressiva all'ombra di un padre-padrone comunista che si fa i baffi alla Stalin e fanatico nel suo ateismo. Così, lascia il Cile sull'«Andrea Doria», in quarta classe e senza soldi, per raggiungere Parigi e cercare Breton (l'incontro sarebbe avvenuto sette anni dopo, con Arrabal e Topor, nelle riunioni di artisti che il maestro teneva al caffè «La promenade de Venus»). Già in patria, però, dopo che la famiglia si era stabilita a Santiago, Alejandro conosce una prima liberazione. Frequenta poeti come Nicanor Parra che lo invitano a orinare devotamente sulla statua di sant'Ignazio («orinare è come pregare»); artisti marginali come Stella, una sorta di «puttana santa» che concede tutto ma non la penetrazione poiché riserva la verginità «al dio che verrà dalla montagna»: è l'ossimoro sacro-blasfemo che esploderà fra gli scandali in film come La montagna sacra (1973), dove il cammino verso l'Assoluto è disseminato di scene iconoclaste, o come El topo (1971) , western mistico a metà via tra Buñuel e Sergio Leone.
A Parigi, Jodorowsky si tuffa nel clima fervido e iconoclasta di una cultura rinata dalle ceneri della guerra, ma comprende la ragione profonda delle sue angosce: l'orrore della morte, eredità del dogma ateista paterno. Ciò lo porta a girare il mondo in cerca di religioni, saperi magici, esoterismo.
Intanto, l'artista crea «Panico», sodalizio teatrale con Topor e Arrabal, scopre l'arte del mimo con Marceau; affianca con gesti e pantomime un Maurice Chevalier sul viale del tramonto.
Atto artistico: "L’escremento luminoso di un rospo che ha ingoiato una lucciola".
Atto volgare: "L’escremento velenoso di una lucciola che ha ingoiato un rospo".
L’universo è un meraviglioso caos dove non esistono gerarchie, dove il micro e il macro hanno uguale importanza. Nell’inconscio tutti i "valori" si dissolvono nello stesso sogno. La galera razionale stabilisce gerarchie, la libertà spirituale stabilisce fratellanze.
La "conoscenza" è la materializzazione dello spirito.
La "alchimia" è la spiritualizzazione della materia.
La "sapienza" è arrivare a essere ciò che in realtà si è: nulla.
L’essere umano realizzato, saggio, non ha bisogno di piante del potere. Tuttavia, per portar fuori i suoi discepoli dall’inganno razionale può condurli attraverso l’esperienza allucinatoria. È importante per la sopravvivenza dell’umanità che i politici ascendano verso un livello di coscienza cosmico.
Ora, più che mai, è necessario iniziare una metamorfosi mentale. Tutti dobbiamo lottare perché la nostra società cessi di funzionare a base di petrolio e ego. Dobbiamo trovare una energia primordiale non avvelenante e, lasciando da parte i riti antichi, risvegliare il Dio interiore.
William Blake, artista e poeta romantico inglese, rappresenta il tipico ribelle, in contrasto con il pensiero della sua epoca. Profondamente influenzato dai grandi eventi rivoluzionari e dalla mistica di Jakob Böhme e di Emanuel Swedenborg, in linea ideale figlio dei rivoluzionari inglesi del Seicento, Blake inventa una propria mitologia, talvolta oscura e intricata, per dar forma alla propria visione di una società libera,sottratta ai vincoli della legge morale, della chiesa e dello stato. Isolato e dimenticato ai suoi tempi, fu riscoperto e amato dalla beat generation che vide in lui, nella sua arte dell'immaginazione, il pioniere alla ricerca di nuove chiavi per aprire le porte della percezione.
William Blake non si limitò ad articolare poeticamente una critica devastante del mondo a lui contemporaneo. Offrì invece un sistema di valori alternativo e credette alla possibilità di creare una nuova società libera e pienamente soddisfacente. La prima cosa da fare era sbarazzarsi della religione repressiva, del matrimonio coatto e senza amore e della guerra.
Blake non elaborò un codice morale rigido e onnicomprensivo. Come i fratelli del libero spirito andò oltre le convenzionali definizioni di bene e male fino a suggerire che la divina umanità è incapace di peccare. Come un antinomiano e un anarchico, ammira Gesù proprio perché rigettò i principi morali e infranse i dieci comandamenti. Nondimeno i valori fondamentali di Blake emergono dai suoi scritti: sono semplici e sublimi, accessibili a qualsiasi persona, indipendentemente dalla ricchezza, dal rango o dall'intelligenza. Gesù personificava ciò che per Blake aveva maggior valore: il perdono, l'energia e la creatività. Nella sua mitologia plasmò l'immagine di Gesù adattandola ai propri fini sovversivi e rivoluzionari e mostrò che aveva rifiutato la gerarchia e la tirannia: «Il regno dei cieli è la diretta negazione del dominio sulla terra». Il punto fondamentale del cristianesimo non era per lui la minaccia di punizioni ma il perdono: «La preghiera è perdono dei peccati e non ha precetti morali».
Il Sistema Tecnologico metodicamente distrugge, elimina, o subordina il mondo naturale, e non permette alla Terra di ristabilirsi o di creare una relazione simbiotica con esso. La tecnologia sta costruendo un mondo esclusivamente a misura delle macchine e l'ideale che spinge il sistema tecnologico a compiere i suoi sforzi è quello di poter meccanizzare ogni cosa che incontra. Se noi vogliamo essere qualcosa di più che "servi delle macchine" o cyborg lacchè della tecnologia dobbiamo allora riconoscere la sua dominazione e lavorare per smantellare il sistema che è stato edificato attorno alla necessità delle macchine, e non delle forme di vita libere.
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Boris Barnet |
L'azione si svolge in una piccola comunità russa durante la prima guerra mondiale. Mentre i lavoranti di un calzaturificio, per iniziativa dei fratelli Nikolaj e Stenka, sono in sciopero, giunge l'annunzio dello scoppio della guerra. I soldati partono per il fronte; nel corso di un attacco, Nikolaj cattura un soldato tedesco, che viene poi assunto come lavorante dal padre, il ciabattino Pjotr; la giovane Marjenka gli testimonia simpatia. Frattanto cade lo zar. Nikolaj divenuto comunista, corre verso le trincee tedesche agitando un fazzoletto bianco in segno di pace. Questo gesto gli costa la fucilazione. Cadendo ode risuonare i canti della rivoluzione in marcia.
Per parlare in generale della mia concezione del cinema, amo innanzitutto la commedia, mi diverto ad introdurre scene divertenti in un dramma ed episodi drammatici in un film comico.Tutto ciò è una questione di proporzione. Fatta qualche eccezione, tutti i miei fil hanno, bene o male, espresso la vita contemporanea e i suoi problemi. Quando ho potuto, ho sempre optato per la contemporaneità. Non è sempre comodo trattare di tali argomenti. Io non sono né sono mai stato un uomo di teorie. Ho sempre preso il mio materiale nella vita quotidiana
(Boris Barnet, in "Cahiers du Cinéma" n. 169, agosto 1965)
Nelle disposizioni delle immagini, in Sobborghi, vi è qualcosa di analogo ai drammi di Cechov: lo sviluppo interiore corre parallelo all'azione esteriore. Nella vicenda una parte importante è sostenuta da qualche cosa che va al di là delle parole: i sentimenti nascosti e repressi dei personaggi, le pause e i sottintesi, le circostanze e l'atmosfera che circonda gli avvenimenti, la fusione di elementi drammatici e comici, tutto contribuisce a creare un profondo ritmo interiore.
(Nikolaj Lebedev, in "Lineamenti di storia del cinema sovietico", Goskinoizdàt, Moskva 1956)
George Andrew Romero è nato il 4 febbraio del 1940 nel Bronx, New York, unico figlio di George Marino Romero, cubano emigrato, e di Ann Dvorsky, di origine lituane. Il padre disegnava bandiere e stendardi: realizzò, tra l'altro, un'enorme bandiera, la più grande del mondo, allora che coprì interamente i grandi Magazzini Macy's durante la parata del Veteran Day alla fine della seconda guerra mondiale. Versato negli studi, George saltò due anni ritrovandosi però sempre con ragazzi più grandi di lui: l'età così come la stazza, considerevole già da bambino, lo emarginarono. Insieme al fumetto, su tutti, gli EC, il cinema divenne la sua fuga dalla realtà. Ancora giovane aveva già visto di tutto: restava in piedi fino a tardi per vedere la TV o per andare al cinema. Uno dei film horror che più lo colpì fu The Thing di Howard Hawks, ma ha amato anche The Quiet Man di John Ford e On the Waterfront di Elia Kazan.
A 13 anni realizza il suo primo cortometraggio The Man from the Meteor, seguito da Gorilla, grazie alla cinepresa a 8 millimetri dello zio Monroe.
Nel 1957 inizia il college al Carnegie-Mellon di Pittsburgh. Non studia quanto avrebbe dovuto e intanto si innamora della città. Con Rudy Ricci suo compagno, realizza un programma radiofonico, Attack of the Zilches, summa della fantascienza anni '50.
Dopo cinque anni lascia il college senza conseguire il diploma. La vita che Romero conduceva intorno al 1962, era quello di un vero bohèmien. Tutti i suoi lavori sono sempre legati al mondo del cinema, fonda con i suoi amici la Latent Image, per produrre film industriali e pubblicitari. Con i soldi guadagnati arriva la prima 35 millimetri.
Intorno ad un tavolo di ristorante, Romero, John Russo e Richard Ricci decidono di investire il proprio denaro per realizzare il tanto agognato film: bastano dieci persone con una quota di 600 dollari per uno. Nacque così l'Image Ten.
Per sette mesi, durante i fine settimana liberi dal lavoro, andarono avanti le riprese del film. Night of the Living Dead fu proiettato all'inizio solo nei drive-in. Più esplicito di quanto si fosse visto fino ad allora, divenne famoso per le scene stomachevoli di cadaveri putrescenti intenti a mangiare interiora umane con grande piacere. Liquidato dai critici americani, fu però un successo di pubblico per poi essere preso in miglior considerazione critica in Europa.
"Con Night of the Living Dead, Romero ha dato un senso nuovo al cinema Horror. Ha messo insieme molti e diversi elementi. Uno è il documentario, per il bianco e nero e l'uso della macchina a mano. Poi,l'aver trattato la violenza grafica ha dato una decisa svolta al film Horror. Prima si aveva aq che fare soltanto con i mostri di gomma o mani che apparivano nel buio, cliché che risalgono agli anni Trenta e Quaranta. George ha fatto una rivoluzione, il suo lavoro ha segnato quello di tutti i più importanti registi horror dal 1968. E' stato uno dei filmmaker più influenti degli ultimi anni"
(John Carpenter)
There's Always Vanilla 1972
(C'è sempre la vaniglia)
Jack's Wife (Hungry Wives; Season of the Witch) 1973
(La stagione della strega)
The Crazies 1973
(La città verrà distrutta all'alba - Ecatombe)
Martin 1977
(Wampyr)
Dawn of the Dead 1978
(Zombi)
Knightriders 1981
(I Cavalieri)
Creepshow 1982
(Creepshow)
Day of the Dead 1985
(Il giorno degli Zombi)
Monkey Shines - An Experiment in Fear 1988
(Monkey Shines - Esperimento nel terrore)
Due occhi diabolici 1989
The Facts in the Case of Mr Valdemar
(I fatti nel caso di Mister Valdemar)
The Dark Half 1992
(La metà oscura)
Bruiser 2000
(La vendetta non ha volto)
Land of the Dead 2005
(La terra dei morti viventi)
Diary of the Dead 2007
(Le cronache dei morti viventi)
Survival of the Dead 2009
(L'isola dei sopravvissuti)
CIAO GEORGE
Quante volte, durante i vent'anni
che fui il vostro capo, amici di Spoon River,
trascuraste la convenzione e il collegio,
e abbandonaste sulle mie spalle il carico
di custodire e salvare la causa del popolo?
Qualche volta perché eravate malati;
o la vostra nonna era malata;
o avevate bevuto troppo e vi eravate addormentati;
oppure dicevate: "E' lui il nostro capo,
tutto andrà bene; lotterà per noi;
noi dobbiamo soltanto seguirlo".
Ma oh, come mi malediceste quando caddi,
e mi malediceste, dicendo che vi avevo traditi,
lasciando la camera del Collegio per un momento,
quando i nemici del popolo, là adunati,
aspettavano e spiavano l'opportunità di tradire
i Sacri Diritti del Popolo.
Plebaglia ignorante! Avevo lasciato il Collegio
per andare al gabinetto.
David Grey è un giovanotto che giunge casualmente a Courtempierre, uno strano villaggio sulla riva del fiume. Avvertito degli inquietanti eventi che vi accadono, si reca in un castello vicino; qui il padrone di casa muore misteriosamente, mentre una sua figlia, Léonie, è da tempo gravemente malata. Grazie ad un antico libro sui vampiri, Grey e un domestico scoprono l'esistenza di un "complotto" vampiresco contro la famiglia del castellano; trafiggono il cuore di una vecchia seppellita da secoli, così spezzano l'orrenda catena dei malefici, e salvano Léonie dalla morte.
Immaginiamo di essere seduti in una stanza qualunque. A un tratto ci dicono che c'è un cadavere dietro la porta; e subito la stanza si trasforma completamente; tutto in essa ha cambiato aspetto: la luce, l'atmosfera sono mutate pur essendo fisicamente le stesse. Perché noi siamo cambiati, e gli oggetto sono quali noi li vediamo. Ecco l'effetto che voglio ottenere nel mio film:
(Carl Theodor Dreyer, in Angelo Solmi, "Tre maestri del cinema", Edizioni di Vita e Pensiero, Milano 1956)
Nel film nordico chi ha esercitato un'influenza molto forte è stato Dreyer. In un film come Il Vampiro del '30 non so quanta parte abbia la nozione psicoanalitica, ma ricordo che era un film onirico. Anche se si alternavano sogni e realtà, era tutto raccontato come un sogno.
(Michel David, in "Cinema Nuovo" n. 190, novembre-dicembre 1967)
Senza pensarci molto, portai i funghi alla bocca e li masticai. Il loro sapore non era gradevole; al contrario: erano amari, sapevano di radice, di terra. Li mangiai tutti interi. Mia sorella María Ana, che mi stava osservando, aveva fatto la stessa cosa. Dopo aver mangiato i funghi, la nostra testa girava, come se fossimo un po' ubriache e ci mettemmo a piangere; ma poi il senso di vertigine passò e ci sentimmo molto felici. Più tardi ci sentimmo bene.
Fu come un nuovo impulso alla nostra vita. Così lo sentii. Nei giorni successivi, quando avevamo fame, mangiavamo i funghi. E, non solo sentivamo lo stomaco pieno, ma anche lo spirito contento. I funghi facevano sì che domandassimo a Dio di non farci soffrire tanto, gli dicevamo cbe avevamo sempre fame, che sentivamo freddo. Non avevamo nulla: solo fame e freddo. Io non sapevo se i funghi erano buoni o cattivi in realtà. Non sapevo neanche se erano cibo o veleno. Ma sentivo che mi parlavano.
Dopo averli mangiati, sentivo delle voci. Voci che venivano da un altro mondo. Era come la voce di un padre che dà consigli, Le lacrime scendevano abbondanti sulle nostre guance, come se piangessimo per la povertà in cui vivevamo.