sabato 1 ottobre 2016

CALLE MAYOR di Juan Antonio Bardem

Isabel, una ragazza da marito che abita nella via principale (Calle Nayor) di una cittadina di provincia spagnola, viene raggirata con una ignobile farsa da un gruppo di vitelloni uno dei quali (Juan) si finge innamorato di lei e le fa credere di volerla sposare. Quando si accorge del raggiro, Isabel decide in un primo tempo, dietro consiglio dell'intellettuale Federigo, di andarsene; in seguito matura la decisione di rimanere in paese.

Il desiderio di andare dalla città ai campi è all'origine di Calle Mayor. Ho sempre pensato che il nostro cinema, per essere veramente nazionale, deve sfuggire al cosmopolitismo della grande città. Sulla strada tra la città e i campi vi è la provincia. La vita in una piccola città di provincia, oggi, un progetto davvero ambizioso. Il soggetto era andato profilandosi meglio: "La storia di una zitella della piccola borghesia in una piccola città di provincia, oggi". A spingermi in questa direzione c'è uno sviluppo di voci confuse, di ricordi, letture, che farei fatica a sciogliere ordinatamente. Ricordo il poema di Foxa: "Sei donne presso il verone, / Sei mogli di mariti ricchi...", e ricordo Lorca e il suo Dona Rosita nubile ambientato nella Granada di principio secolo, e ancora La senorita de Trevelez di Arniches, una storia terribilmente patetica. Per me Calle Mayor è stato il film più difficile. Un mondo, un'atmosfera, un ambiente sono difficili da rendere in termini di luce, immagini o suoni; specialmente se non si può disporre di un narratore che sa tutto e parla fuori campo.Ma questa atmosfera è il tema fondamentale di Calle Mayor. (Juan Antonio Bardem, in "Cinema Nuovo" n.87, 25 luglio 1956)  

Il merito di Calle Mayor è proprio questo di spezzare una lancia arditamente, in favore di una condizione nuova e meno umiliante per la donna e di farlo a rovescio, indicando non come la donna dovrebbe essere, in una società libera, ma come è bene che non sia. Attorno a questa donna spagnola mortificata e indifesa, c'è la Spagna che le somiglia. (Anna Garofalo, in "Cinema Nuovo" n.110, 11 luglio 1957)

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