Il desiderio di andare dalla città ai campi è all'origine di Calle Mayor. Ho sempre pensato che il nostro cinema, per essere veramente nazionale, deve sfuggire al cosmopolitismo della grande città. Sulla strada tra la città e i campi vi è la provincia. La vita in una piccola città di provincia, oggi, un progetto davvero ambizioso. Il soggetto era andato profilandosi meglio: "La storia di una zitella della piccola borghesia in una piccola città di provincia, oggi". A spingermi in questa direzione c'è uno sviluppo di voci confuse, di ricordi, letture, che farei fatica a sciogliere ordinatamente. Ricordo il poema di Foxa: "Sei donne presso il verone, / Sei mogli di mariti ricchi...", e ricordo Lorca e il suo Dona Rosita nubile ambientato nella Granada di principio secolo, e ancora La senorita de Trevelez di Arniches, una storia terribilmente patetica. Per me Calle Mayor è stato il film più difficile. Un mondo, un'atmosfera, un ambiente sono difficili da rendere in termini di luce, immagini o suoni; specialmente se non si può disporre di un narratore che sa tutto e parla fuori campo.Ma questa atmosfera è il tema fondamentale di Calle Mayor. (Juan Antonio Bardem, in "Cinema Nuovo" n.87, 25 luglio 1956)
Il merito di Calle Mayor è proprio questo di spezzare una lancia arditamente, in favore di una condizione nuova e meno umiliante per la donna e di farlo a rovescio, indicando non come la donna dovrebbe essere, in una società libera, ma come è bene che non sia. Attorno a questa donna spagnola mortificata e indifesa, c'è la Spagna che le somiglia. (Anna Garofalo, in "Cinema Nuovo" n.110, 11 luglio 1957)
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