Una descrizione antica presenta il dipinto come uno dei ritratti famosi che si trovavano nel castello del duca di Estissac: il cancelliere Séguier, ammantato con un drappo d'oro, su di un cavallo bianco, circondato dai paggi e dai giovani staffieri, [appare] in tutta la pompa del suo rango, che era il livello più alto nei gradi della giustizia*. Anche in seguito, negli anni della Rivoluzione, quando il ritratto confiscato passerà all'Hotel de Ville de Troyes (poiché solo in anni moderni è stato acquistato dal Louvre), si continuerà ad ammirare quel capolavoro riconoscendo tra i personaggi l'autoritratto dello stesso pittore, individuato nello scudiero che sorregge il parasole; ma soprattutto si passerà a sottolineare la maestria e l'ordine della composizione, il disegno vigoroso, il colore magnifico e robusto. L'opera riprende infatti, con grande aderenza, come in uno specchio, il grand gota, che verso la metà del Seicento caratterizza il clima classico dell'assolutismo: attraverso il ritratto si fissa il fasto calmo e severo che è riflesso autentico di una nuova classe sociale, Patite entrata nell'entourage della corte, ora presentata sul piedistallo di una nuova virtù, la razionalità, che sola può garantire impeccabile equilibrio, formale e politico. In questo senso la naturalezza dei personaggi appare esaltata in un trionfo che non solo personale, ma appartiene al gruppo sociale, in questo caso la classe in cui opera il cancelliere Séguier. La protezione dell'illustre personaggio, abile diplomatico, conte di Gien e duca di Villemor era servita a sostenere Le Brun a corte fin dagli inizi, dal 1631, al tempo dell'apprendistato presso il pittore Perrier che lo aveva indirizzato alla maniera grande del Classicismo. E altrettanto evidente a questo punto il legame con il teatro classico di quegli anni, a cominciare da Corneille, dove la nozione barocca della 'gloria'»contraddistingueva la gerarchia sociale ideale e nello stesso tempo il momento, altrettanto ideale e fuori del tempo, in cui era situata l'azione nel teatro della ragione» (F. Fergusson, Idea di un teatro, Princeton,1949, trad. it. 1957). Ogni particolare della pittura, anche in questo ritratto classico, 6 portato in primo piano, su una vera e propria scena, per imprimere un'idea assoluta: il pittore insiste nel presentare un esemplare, quasi un paradigma, fissato nei dettagli del costume e nei particolari che meglio condensano il senso tangibile e la misura classica: i fiocchi, che poi hanno il valore di un grado sociale, il cappello piumato, la coperta di gran pregio anche per il cavallo, i bianchi delle maniche a sbuffo, le capigliature naturali, che rivelano ancora il rigore fluente dello stile Luigi XIII (anche se il dipinto risale agli anni del regno di Luigi XIV, ed 6 perciò più tardo). La scena ha l'andamento di un corteo e faceva parte verosimilmente di un progetto che forse, fin dal 1652-1656, aveva previsto di illustrare e di propagandare l'immagine della Grande Cancelleria, rappresentando i suoi ufficiali nel loro apparato più splendido. Il soggetto si affianca dunque alla tradizione che darà vita alla grande serie di incisioni dedicate alla divulgazione dei ritratti di gruppo, come segno celebrativo che presentava le varie fisionomie degli ordini sociali indicati attraverso il genere quotidiano delle cerimonie, alternato a quello trionfalistico delle battaglie e del ritratto equestre (fissato da Rubens, da Van Dyck e da Bernini in esempi magistrali), insistendo piuttosto per un'attenzione classica realistica che in mano a Charles Le Brun, negli anni del regno di Luigi XIV, tocca uno dei momenti più alti.
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