Con il Ritratto del cancelliere Séguier (295 x 351; Parigi, Louvre) Le Brun paga un debito di gratitudine nei confronti del suo primo protettore e committente, Pierre Séguier, conte di Gien e duca di Villemor, personaggio di grandissimo rilievo del regno di Luigi XIV e prima ancora di Richelieu. Presentato in primo piano, come su una scena teatrale, accompagnato dal corteo (nello scudiero che regge il parasole si è individuato un autoritratto di Le Brun) e in tutta la pompa del suo rango, egli rappresenta il paradigma di tutta una classe sociale, quella dell'entourage della corte: l'artista, fissando i dettagli del suo costume e di quello del seguito — fiocchi, nastri, cappelli piumati, passamanerie, broccati — non solo indica l'elevato grado sociale del personaggio ma celebra appunto il trionfo del suo gruppo. Nella sua pacata dignità, nel fasto calmo e solenne del corteo, nel freddo elegantissimo splendore delle tonalità giocate su oro, bianco e grigio-azzurro, l'opera riflette il gusto del Grand Siècle per le composizioni equilibrate, classiche nella loro pur articolata simmetria.
Non conosciamo altra bellezza, altra festa che quella che distrugge l'abuso delle banalità quotidiane e dei sentimenti truccati, basterebbe un colpo di vento per trasformare questo delirio permesso nel più grande incendio che la storia conosca.
venerdì 26 maggio 2023
venerdì 19 maggio 2023
RITRATTO DEL CANCELLIERE
Una descrizione antica presenta il dipinto come uno dei ritratti famosi che si trovavano nel castello del duca di Estissac: il cancelliere Séguier, ammantato con un drappo d'oro, su di un cavallo bianco, circondato dai paggi e dai giovani staffieri, [appare] in tutta la pompa del suo rango, che era il livello più alto nei gradi della giustizia*. Anche in seguito, negli anni della Rivoluzione, quando il ritratto confiscato passerà all'Hotel de Ville de Troyes (poiché solo in anni moderni è stato acquistato dal Louvre), si continuerà ad ammirare quel capolavoro riconoscendo tra i personaggi l'autoritratto dello stesso pittore, individuato nello scudiero che sorregge il parasole; ma soprattutto si passerà a sottolineare la maestria e l'ordine della composizione, il disegno vigoroso, il colore magnifico e robusto. L'opera riprende infatti, con grande aderenza, come in uno specchio, il grand gota, che verso la metà del Seicento caratterizza il clima classico dell'assolutismo: attraverso il ritratto si fissa il fasto calmo e severo che è riflesso autentico di una nuova classe sociale, Patite entrata nell'entourage della corte, ora presentata sul piedistallo di una nuova virtù, la razionalità, che sola può garantire impeccabile equilibrio, formale e politico. In questo senso la naturalezza dei personaggi appare esaltata in un trionfo che non solo personale, ma appartiene al gruppo sociale, in questo caso la classe in cui opera il cancelliere Séguier. La protezione dell'illustre personaggio, abile diplomatico, conte di Gien e duca di Villemor era servita a sostenere Le Brun a corte fin dagli inizi, dal 1631, al tempo dell'apprendistato presso il pittore Perrier che lo aveva indirizzato alla maniera grande del Classicismo. E altrettanto evidente a questo punto il legame con il teatro classico di quegli anni, a cominciare da Corneille, dove la nozione barocca della 'gloria'»contraddistingueva la gerarchia sociale ideale e nello stesso tempo il momento, altrettanto ideale e fuori del tempo, in cui era situata l'azione nel teatro della ragione» (F. Fergusson, Idea di un teatro, Princeton,1949, trad. it. 1957). Ogni particolare della pittura, anche in questo ritratto classico, 6 portato in primo piano, su una vera e propria scena, per imprimere un'idea assoluta: il pittore insiste nel presentare un esemplare, quasi un paradigma, fissato nei dettagli del costume e nei particolari che meglio condensano il senso tangibile e la misura classica: i fiocchi, che poi hanno il valore di un grado sociale, il cappello piumato, la coperta di gran pregio anche per il cavallo, i bianchi delle maniche a sbuffo, le capigliature naturali, che rivelano ancora il rigore fluente dello stile Luigi XIII (anche se il dipinto risale agli anni del regno di Luigi XIV, ed 6 perciò più tardo). La scena ha l'andamento di un corteo e faceva parte verosimilmente di un progetto che forse, fin dal 1652-1656, aveva previsto di illustrare e di propagandare l'immagine della Grande Cancelleria, rappresentando i suoi ufficiali nel loro apparato più splendido. Il soggetto si affianca dunque alla tradizione che darà vita alla grande serie di incisioni dedicate alla divulgazione dei ritratti di gruppo, come segno celebrativo che presentava le varie fisionomie degli ordini sociali indicati attraverso il genere quotidiano delle cerimonie, alternato a quello trionfalistico delle battaglie e del ritratto equestre (fissato da Rubens, da Van Dyck e da Bernini in esempi magistrali), insistendo piuttosto per un'attenzione classica realistica che in mano a Charles Le Brun, negli anni del regno di Luigi XIV, tocca uno dei momenti più alti.
venerdì 12 maggio 2023
Charles Le Brun e il modo classico nell'età di Luigi XIV
Il nodo che tiene saldamente legata la pittura di Charles Le Brun all'età di Luigi XIV passa attraverso Versailles. Nella foresta e nei boschi già scelti da Enrico IV per le cacce al cervo, il giovane figlio, il futuro Luigi XIII, viene iniziato alla vita di corte. In quello stesso luogo egli fa costruire più tardi un padiglione in pietra e ardesia grigia, il nocciolo di un'architettura magnifica destinata a condensare lo spirito politico e artistico dell'assolutismo. Il progetto e la passione per Versailles passano quindi in mano a Luigi XIV, il Re Sole. Ed è la corte di lui e della moglie Maria Teresa a trasformare il castello in una dimora di piacere, nel ritrovo per la corte che doveva confluire intorno al re, catalizzata dallo splendore del luogo e dal tono di vita connaturato allo stesso progetto. La grandezza di Versailles consiste in quell'insieme di ingredienti messi a punto dal Re Sole con grandi cure. Si ritroveranno, con Luigi XIV, Colbert e Le Brun, l'architetto dei giardini Le Nòtre e il grande musicista Lulli, insieme a Molière. Il Castello Nuovo è opera di Louis Le Vau; l'idea delle colonne e delle balaustrate entra in una dimensione magnifica, che esalta gli schemi classici in modo apertamente barocco. Nulla vi è tuttavia di mosso e dinamico, ogni elemento appare inserito in un'ottica fortemente accentrata, che dilata lo sguardo verso un orizzonte che deve riuscire, per la percezione di tutti quanti, l'equivalente di un punto focale ben individuato, a figura del monarca e del SUO potere assoluto. L'interno è arricchito con marmi prestigiosi e stucchi dorati, arazzi, velluti e broccati, argenti cesellati, specchi e mobili in ebano o a intarsio. Ogni particolare è previsto da un disegno sicuro, essendo le maestranze guidate da Le Brun; e il tutto è teso a rendere chiara la metafora della monarchia assoluta, esempio primario per le capitali europee. Il carattere sontuoso e superbo di Versailles sarà difficilmente imitabile, tuttavia le dimore dell'aristocrazia in Francia e quelle ducali in Piemonte troveranno un loro stile guardando da vicino a quel grande modello. Quello di Versailles è lo stile del Barocco classico, e crea le nuove tipologie per il giardino, per gli scaloni, per il salone a specchi, luogo protagonista delle feste, momento essenziale per la vita di quella società.
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venerdì 5 maggio 2023
Charles Le Brun
Pittore, nato a Parigi il 24 febbraio 1619, morto ivi il 12 febbraio 1690. Dopo breve tirocinio presso Simon Vouet, fu lungamente in Italia (1642-1646) subendovi l'influsso di Raffaello, dei bolognesi, del Poussin. Tornato in patria seppe conquistarsi il favore del Colbert e di Luigi XIV; e per trent'anni, con il titolo di primo pittore del re (1662), dominò tutta la scuola francese. Fondò, sul modello dell'Accademia di S. Luca, l'Accademia di scultura e pittura, vivaio per lui di docili collaboratori. La sua opera personale comprende numerosi quadri di cavalletto, eseguiti particolarmeme agl'inizî e alla fine della sua carriera, di soggetto religioso o storico, anche ritratti (Berlino, Museo), spesso con colorito smorto e freddo, e con disegno talvolta inespressivo, ma sempre con senso decorativo e con sapiente composizione; qualità che si affermano anche meglio nei complessi decorativi del palazzo del presidente Lambert (Parigi, circa 1650), del castello di Vaux (1658-1661), del Louvre (Galleria di Apollo, 1661), dei castelli di Sceaux (1674), di Marly (1681-1686) e specialmente di Versailles, dove il L. B. fu occupato dal 1674 al 1686. La collezione dei suoi disegni che permette di seguirne l'opera (la più gran parte si trova al Louvre) è ingente. Forniva di modelli anche gli scultori; fissò in gran parte il programma delle sculture dei giardini di Versailles; diede disegni per la tomba della propria madre (Parigi, chiesa di Saint-Nicolas-du-Chardonnet), eseguita dal Tubi e dal Collignon. Specialmente come direttore della manifattura dei gobelins, si rivelò grande decoratore e animatore. Gli si debbono, fra altre, le serie di arazzi delle Stagioni, delle Case Regnanti, della Storia del Re. Disegnò anche tutto il mobilio reale e il vasellame d'oro, poi distrutto (1689). Morto il Colbert, il L. B. cadde a poco a poco in disgrazia e nell'isolamento.
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