LITTLE WALTER - Fu la prima persona a divenire un eroe ai miei occhi. Non so come, ma riuscì a venire in tour da solo in Inghilterra. Me ne innamorai. Lo vidi suonare al Marquee, a Londra, con una band assemblata per l'occasione. In ogni brano, a un certo punto si fermava, diceva ai musicisti che avevano sbagliato tutto e ricominciava da capo. Era il puro caos. L'organizzatore era disperato:«Questo tipo è ingovernabile. Beve due bottiglie di rhum al giorno». Ma per me era magico. Non suonava mai a lungo, ma quando lo faceva sembrava di essere in paradiso. E pensavo:«Questa gente non capisce nulla. Non si può separare il grano dal loglio. È una fortuna che quest'uomo sia qui. Che sia vivo e che si degni di suonare per noi». Secondo me non c'era motivo di lagnarsi. Nessuno. Pensavo fosse magico.
ROBERT JOHNSON - Non avevo mai sentito nominare Robert Johnson prima di ascoltare un suo disco. Fu un'esperienza scioccante perché sembrava che a quel tipo non importasse nulla di piacere. Tutta la musica che avevo sentito fino ad allora pareva tendere a quello scopo: piacere. Robert Johnson non sembrava suonare per un pubblico, non obbediva alle regole armoniche o di tempo, non si curava di nessuna regola. Tutto ciò mi convinse che quell'uomo non aveva mai voluto suonare per la gente perché sentiva la sua arte pesare su di lui quasi al punto di vergognarsene. I testi sembravano uscire da una raccolta di poesie inglesi, quasi byroniani da molti punti di vista. Frasi modellate con gusto classico. Mi sembrò che tutto quanto avevo ascoltato fino a quel momento fosse una preparazione a Robert Johnson. Conoscerlo fu il culmine di un'esperienza di tipo religioso iniziata con Chuck Berry e che mi aveva immerso sempre più profondamente nelle fonti della musica. Non ho mai capito come accordasse lo strumento. E penso non l'abbia mai capito nessuno.
RY COODER - Un altro musicista del quale è impossibile scoprire che tipo di accordatura usa. Dovresti sottrargli lo strumento. E conosco anche uno che l'ha fatto, gli ha portato via una chitarra mentre lui non c'era e non ne ha cavato un ragno dal buco. Mi ha detto che era un'accordatura che non si trova su nessun libro di testo. È il grande segreto di Ry.
BUDDY GUY - Una delle poche persone che hanno ereditato la selvaggia passionalità di Robert Johnson è Buddy Guy. È altrettanto tormentato, ogni volta che apre bocca e canta mi fa venire i brividi. Il suo modo di suonare e cantare è estremamente brutale e traboccante di passione. Chissà, forse Robert Johnson si è reincarnato in lui. Fu il primo dei miei eroi ad esibirsi in Gran Bretagna dopo Little Walter. Suonava da solo e faceva tutti i giochetti che Jimi Hendrix avrebbe poi ripreso. Faceva rimbalzare la chitarra per terra, la suonava con i denti o mettendosela dietro la schiena o tra le gambe. Lo vidi a «Ready, Steady, Go!». Il presentatore annunciò: «Dagli Stati Uniti, Chubby Checker». Io mi trovavo per puro caso davanti alla televisione e così vidi Buddy Guy stringere una Stratocaster e cantare Let Me Love You, Baby. Fu fenomenale. Quando fini, il presentatore usci di nuovo e disse: «Scusate, mi sono sbagliato, non era Chubby Checker, era Chuck Berry». Da non credere.
SONNY BOY WILLIAMSON - Ero ancora con gli Yardbirds e quando venne in Gran Bretagna noi stavamo inclinando verso il pop. Era chiaro che non aveva una grande opinione di noi. Ci rese consapevoli dei nostri limiti. Molto consapevoli. Mi impegnai al massimo e cercai di suonare come pensavo che gli sarebbe piaciuto. E Sonny Boy, qualche volta e di malavoglia, inviò dei segnali d'assenso. Scoprii tempo dopo che non era abituato a incoraggiare la gente. Tirava fuori il meglio di te aggredendoti. Mi fece capire che non è la stessa cosa conoscere una canzone e avere familiarità con essa. Credevo bastasse sapere in che chiave e in che tempo andava suonata e non capivo che la cura dei particolari - dove e come deve entrare la chitarra, quando deve uscire in assolo - è essenziale. Sonny Boy esigeva che non si sorvolasse su alcun dettaglio.
MUDDY WATERS - Mi aiutò molto andare in tour con lui nel 1979. Mi ridiede tono. In quel periodo stavo smarrendo la mia identità, perdendo il senso dell'orientamento. Mi ero allontanato dal sentiero del blues. Ero molto influenzato da J.J. Cale e volevo crearmi un nuovo stile. Ne discussi con Muddy, e lui disse:«Mi piace ascoltare il tuo gruppo, ma la canzone che preferisco è Worried Life Blues. Ecco a che cosa appartieni, al blues. Dovresti capirlo. Dovresti capirlo ed esserne orgoglioso». Muddy Waters mi aiutò a riappropriarmi del blues, perché la sua compagnia e la sua musica mi davano qualcosa che nessun'altra persona o stile musicale potevano darmi. Fu allora che il blues tornò a bussare alla mia porta. A ricordarmi da dove venivo.
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