Questa vaga emozione, questo anelito di voltare la testa, questa tentazione - cui tante volte ho ubbidito - di fermarci ad ascoltare non sappiamo che cosa, quando ci troviamo nella sua luce verdeggiante, nascono dal fatto che l'anima del roveto i ha avvolto e sfiora la nostra anima (Fernandez Florez)
Non conosciamo altra bellezza, altra festa che quella che distrugge l'abuso delle banalità quotidiane e dei sentimenti truccati, basterebbe un colpo di vento per trasformare questo delirio permesso nel più grande incendio che la storia conosca.
lunedì 20 febbraio 2023
giovedì 2 febbraio 2023
Stregoni e aquile per gli Zuni
Gli Zuhi, popolo Pueblos del Sud-Ovest degli Stati Uniti, avevano la religione più complicata d'America e la "medicina" più evoluta. I loro sciamani (stregoni-dottori), a seconda del tipo di malattia di cui s'intendevano, facevano parte di singolari società segrete di iniziati. Ne esistevano 12, ciascuna specializzata in particolari malattie: la Confraternita del Legno curava le malattie della digestione, quella del Piumaggio d'Aquila curava le malattie della gola, quella del Grande Fuoco curava le malattie infiammatorie, quella del Piccolo Fuoco le bruciature e le malattie della pelle, molto comuni tra gli Zuhi che, per farsi i pantaloni, scuoiavano gli animali e si arrotolavano le pelli ancora fresche intorno al corpo, lasciandosele essiccare addosso. Dopo la diffusione della religione cattolica è nata la confraternita dei Newekate. l suoi membri per parodiare i preti cristiani mangiavano, al posto dell'ostia, teste di topo ed escrementi. Gli sciamani Zuhi assicuravano l'ottenimento della guarigione soltanto a quei malati che avevano sempre pagato i tributi alla corporazione. Le malattie, specie quelle interne, nascoste, erano scoperte osservando il corpo del paziente con un cristallo magico e trasparente. Scoperto il male, lo stregone entrava in estasi e succhiava via gli spiriti malvagi dal corpo. Durante il rito di guarigione anche i presenti, familiari e membri della tribù, entravano in trance e vedevano chiaramente i vetri, piume, pelli, interiora di animali, estratte dallo stregone, uscire dalle parti dolenti del corpo. Poiché solo chi era di costituzione forte superava la fanciullezza, spesso accadeva che, "nonostante" gli sciamani, i malati riuscissero a vincere naturalmente la malattia e guarire.
LA “SANT’ANNA” Leonardo da Vinci
Il cartone con Sant'Anna, la Madonna, il Bambino e san Giovannino, eseguito a carboncino con lumi di biacca e chiaroscuro a lieve sfumato pittorico, è l'unico rimastoci di Leonardo e per l'alta liricità dei suoi accenti può considerarsi un'opera compiuta. Il tema simbolico e compositivo della sacra conversazione a quattro già svolto nella Vergine delle rocce è qui ripreso in modo più dinamico; il gruppo appare avvolto a spirale su se stesso e insieme totalmente sciolto nell'atmosfera magica e vaporosa che lo circonda. La “Sant'Anna” ovvero «la forza spirituale incorporea e impalpabile» dell'universo.
Nel 1499, allorché Luigi XII di Francia occupa la Lombardia, Leonardo si allontana da Milano con l'amico Luca Pacioli. Dopo un soggiorno a Vaprio d'Adda, dove è ospite di Francesco Melzi, va a Mantova, a Venezia e nell'agosto del 1500 è di nuovo a Firenze. Vi porta con sé il cartone di Sant'Anna, la Madonna, il Bambino e san Giovannino. Lo aveva eseguito a Milano, come alcuni sostengono? O piuttosto lo esegue a Firenze per la tavola richiestagli dai Serviti, già commessa a Filippino Lippi ed ora al Louvre? La diatriba sembra insolubile: basti qui circostanziare l'opera in quel giro di anni che separano l'Ultima Cena dalla Gioconda. Nel cartone realizzato a carboncino con lumi di biacca, Leonardo perviene ad un'alta liricità di accenti che ne fanno un'opera compiuta, non inferiore alla posteriore tavola del Louvre.
Eric Clapton - Parole e Pensieri
LITTLE WALTER - Fu la prima persona a divenire un eroe ai miei occhi. Non so come, ma riuscì a venire in tour da solo in Inghilterra. Me ne innamorai. Lo vidi suonare al Marquee, a Londra, con una band assemblata per l'occasione. In ogni brano, a un certo punto si fermava, diceva ai musicisti che avevano sbagliato tutto e ricominciava da capo. Era il puro caos. L'organizzatore era disperato:«Questo tipo è ingovernabile. Beve due bottiglie di rhum al giorno». Ma per me era magico. Non suonava mai a lungo, ma quando lo faceva sembrava di essere in paradiso. E pensavo:«Questa gente non capisce nulla. Non si può separare il grano dal loglio. È una fortuna che quest'uomo sia qui. Che sia vivo e che si degni di suonare per noi». Secondo me non c'era motivo di lagnarsi. Nessuno. Pensavo fosse magico.
ROBERT JOHNSON - Non avevo mai sentito nominare Robert Johnson prima di ascoltare un suo disco. Fu un'esperienza scioccante perché sembrava che a quel tipo non importasse nulla di piacere. Tutta la musica che avevo sentito fino ad allora pareva tendere a quello scopo: piacere. Robert Johnson non sembrava suonare per un pubblico, non obbediva alle regole armoniche o di tempo, non si curava di nessuna regola. Tutto ciò mi convinse che quell'uomo non aveva mai voluto suonare per la gente perché sentiva la sua arte pesare su di lui quasi al punto di vergognarsene. I testi sembravano uscire da una raccolta di poesie inglesi, quasi byroniani da molti punti di vista. Frasi modellate con gusto classico. Mi sembrò che tutto quanto avevo ascoltato fino a quel momento fosse una preparazione a Robert Johnson. Conoscerlo fu il culmine di un'esperienza di tipo religioso iniziata con Chuck Berry e che mi aveva immerso sempre più profondamente nelle fonti della musica. Non ho mai capito come accordasse lo strumento. E penso non l'abbia mai capito nessuno.
RY COODER - Un altro musicista del quale è impossibile scoprire che tipo di accordatura usa. Dovresti sottrargli lo strumento. E conosco anche uno che l'ha fatto, gli ha portato via una chitarra mentre lui non c'era e non ne ha cavato un ragno dal buco. Mi ha detto che era un'accordatura che non si trova su nessun libro di testo. È il grande segreto di Ry.
BUDDY GUY - Una delle poche persone che hanno ereditato la selvaggia passionalità di Robert Johnson è Buddy Guy. È altrettanto tormentato, ogni volta che apre bocca e canta mi fa venire i brividi. Il suo modo di suonare e cantare è estremamente brutale e traboccante di passione. Chissà, forse Robert Johnson si è reincarnato in lui. Fu il primo dei miei eroi ad esibirsi in Gran Bretagna dopo Little Walter. Suonava da solo e faceva tutti i giochetti che Jimi Hendrix avrebbe poi ripreso. Faceva rimbalzare la chitarra per terra, la suonava con i denti o mettendosela dietro la schiena o tra le gambe. Lo vidi a «Ready, Steady, Go!». Il presentatore annunciò: «Dagli Stati Uniti, Chubby Checker». Io mi trovavo per puro caso davanti alla televisione e così vidi Buddy Guy stringere una Stratocaster e cantare Let Me Love You, Baby. Fu fenomenale. Quando fini, il presentatore usci di nuovo e disse: «Scusate, mi sono sbagliato, non era Chubby Checker, era Chuck Berry». Da non credere.
SONNY BOY WILLIAMSON - Ero ancora con gli Yardbirds e quando venne in Gran Bretagna noi stavamo inclinando verso il pop. Era chiaro che non aveva una grande opinione di noi. Ci rese consapevoli dei nostri limiti. Molto consapevoli. Mi impegnai al massimo e cercai di suonare come pensavo che gli sarebbe piaciuto. E Sonny Boy, qualche volta e di malavoglia, inviò dei segnali d'assenso. Scoprii tempo dopo che non era abituato a incoraggiare la gente. Tirava fuori il meglio di te aggredendoti. Mi fece capire che non è la stessa cosa conoscere una canzone e avere familiarità con essa. Credevo bastasse sapere in che chiave e in che tempo andava suonata e non capivo che la cura dei particolari - dove e come deve entrare la chitarra, quando deve uscire in assolo - è essenziale. Sonny Boy esigeva che non si sorvolasse su alcun dettaglio.
MUDDY WATERS - Mi aiutò molto andare in tour con lui nel 1979. Mi ridiede tono. In quel periodo stavo smarrendo la mia identità, perdendo il senso dell'orientamento. Mi ero allontanato dal sentiero del blues. Ero molto influenzato da J.J. Cale e volevo crearmi un nuovo stile. Ne discussi con Muddy, e lui disse:«Mi piace ascoltare il tuo gruppo, ma la canzone che preferisco è Worried Life Blues. Ecco a che cosa appartieni, al blues. Dovresti capirlo. Dovresti capirlo ed esserne orgoglioso». Muddy Waters mi aiutò a riappropriarmi del blues, perché la sua compagnia e la sua musica mi davano qualcosa che nessun'altra persona o stile musicale potevano darmi. Fu allora che il blues tornò a bussare alla mia porta. A ricordarmi da dove venivo.
COME VIOLENTO SUI MONTI - Saffo
Come violento sui monti
Come violento sui monti
scuote le querce il vento,
così Amore ha travolto
l’anima mia, la ragione.
(Saffo, famosa poetessa, era originaria di Lesbo, isola dell’Egeo che si trova di fronte alla Troade. Nasce tra la fine del VII e la prima metà del VI secolo a. C a Ereso, ma visse la sua vita a Mitilene, il centro più importante dell’isola.)
LO SPECCHIO DELLA VITA – Douglas Sirk
Lora Meredith, un'attrice vedova e in cattive acque, assume come governante Annie Johnson, una povera nera con una figlioletta a carico. Lora è decisa a sfondare, anche se questo significa trascurare sua figlia Susie. Parla dei suoi progetti a Steve Archer ma respinge la sua proposta di matrimonio. Sarah Jane, la figlia di Annie, cresce in casa Meredith, ma la sua amicizia per Susie si fa problematica quando comincia a rendersi conto di che cosa significhi vivere in una società dominata dai bianchi. Sapendo di essere rifiutata come mulatta, Sarah Jane cerca di farsi passare per bianca a scuola e col suo ragazzo, Frankie, che però la picchia quando viene a sapere che sua madre è nera. Rincasata, Sarah Jane sfoga la sua rabbia su Susie. Anche i suoi rapporti con la madre si fanno sempre più tesi e un giorno, mentre un regista cinematografico è ospite di Lora, Sarah Jane fa da cameriera parodiando il comportamento servile ritenuto tipico dei neri. Lora giunge finalmente al successo, ma il suo divismo le aliena definitivamente l'affetto di Susie, che lo riversa su Annie. Sarah Jane scappa di casa e va a lavorare come spogliarellista in un night-club. Sua madre la cerca e scopre dove lavora. La prolungata assenza della figlia spezza il cuore ad Annie, che si ammala e muore. Al suo sontuoso funerale - per il quale aveva risparmiato tutta una vita - Mahalia Jackson canta per lei un commovente inno funebre. Nello Specchio della vita, il clima sociale è tale che gli uomini – se pure giungono a farne parte - vengono respinti ai margini. Persino il ritorno di Steve, alla conclusione del film, è solo una concessione meramente formale alle esigenze dell'inevitabile lieto fine. Il milieu del film è essenzialmente femminile, forse a immagine e somiglianza dell'esistenza delle donne a cui è dedicato, insieme a tutti gli altri melodrammi prodotti da Hunter e diretti da Sirk. Destinatario del film è il matriarcato piccolo-borghese americano, il cui ruolo, in una società fondata sugli ideali cristiani della famiglia e del focolare, è lungi dall'essere quello passivo e rinunciatario che vorrebbe il filone dei film 'strappalacrime per signore'. Ciò che Sirk presenta con Lo specchio della vita è una mostruosa metafora di una società avida, arrivista, classista. intollerante e razzista, di cui Lora è vittima non meno di Annie. Ha osservato il regista tedesco Rainer Werner Fassbinder, ammiratore e imitatore dichiarato di Sirk: «Nessuno dei protagonisti riesce a comprendere come tutto - pensieri, sogni o desideri - nasca direttamente dalla realtà sociale o venga influenzato da essa. Non conosco nessun altro film in cui questo fatto venga espresso con tanta lucidità e tanta disperazione». L'audacia del Lo Specchio della vita sta tuttavia nel fatto che in esso il regista Douglas Sirk scinde in due parti il personaggio della madre, affidandone una a una donna di colore e rinfacciando in modo provocatorio alla famiglia borghese e bianca americana lo scottante problema del pregiudizio razziale, ma anche quello dei rapporti di classe e dell'oppressione sessuale.