Brazil è l’immaginario frustrato di un timido impiegato Sam Lowry, ossessionato da una madre sempre sotto i ferri della chirurgia estetica e da un lavoro alienante e delatorio per il Dipartimento Informazioni, schiacciato dal peso della burocrazia informatica, innamorato di una camionista estremista ( una donna simile a quella che insegue nei suoi sogni, nei quali ogni volta ella si trasforma in angelo) e aiutato da un misterioso terrorista acrobata dell’aria condizionata. Ma il potere uccide la donna e imprigiona Sam accusato di tradimento dai burocrati, sopporta i supplizi e gli interrogatori continuando a sognare, fino a stremare i suoi persecutori. A volte, chi ha visto Brazil dalla prospettiva del ventunesimo secolo è stato così gentile da definire in qualche modo «profetica» la descrizione di un mondo in cui le persone non fanno molto più che guardare vecchi film su minuscoli schermi, mangiare strani cibi dall'aspetto disgustoso e sottoporsi a scellerati interventi di chirurgia plastica, sotto la costante minaccia di attacchi terroristici. Per quanto mi piacerebbe vestire i panni del profeta - sono pur sempre figlio di un falegname - devo confessare che tutta quella roba stava già succedendo a metà degli anni Ottanta, bastava aprire gli occhi per vederla. In questo senso, direi che in Brazil c'era una componente documentaristica oltre a quella distopica. Animato da un’energia esplosiva e maniacale, Brazil vaga nei meandri impazziti di un mondo spersonalizzante, un nero 1984 nel quale l’ordine si è dato forme di follia e la scenografia si è avvoltolata in contorsioni prestabilite. La fantasia è cupa, sotterranea, paralizzante: una parabola oscura con la quale Gilliam mostra una società basata sull’opulenza per pochi, sulla merce, sul consumismo obbligatorio per tutti, sulla bellezza, sulla omologazione e sul controllo totale. Là dove l’ordine politico e culturale fondato sull’accumulo diventa insopportabile, soffocante, scoppiano attentati eseguiti da misteriosi commando eversivi che si annidano negli uffici, nelle officine, tra i corridoi dei supermercati. L’allusione alla politica interna inglese è evidente, Brazil è il primo film che attribuisce una valenza positiva all’azione terroristica in un contesto occidentale, e che riconosce nello stesso tempo l’avvenuto naufragio di un modus vivendi che ha prodotto, dopo l’impero, la sporcizia e il grigiore della società capitalistica.
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