Ci trovammo la strada sbarrata da un ruscello. Bob posteggiò la macchina e scendemmo. Guardai in su verso la cima della collina. “E' una salita piuttosto ripida”, disse Bob. “L'ho fatta una volta. Per certi turisti é una specie di pellegrinaggio”.
Feci di si con la testa, cercando di recuperare dei brandelli di ricordi di tanti anni prima. “Adesso ricordo di avere letto da ragazzo, Il giardino poetico del fanciullo, L'Isola del Tesoro e Il fanciullo rapito”. Bob aggiunse: “Il dottor Jekill e il signor Hyde, ha passato qualche anno negli Stati Uniti prima di venire quaggiù. Era ammalato di polmoni, tubercolotico, ed è morto nel 1894, mi pare”.
Attraversammo il ruscello e poi prendemmo un sentiero tortuoso che saliva su per il ripido fianco della collina, tutto boscoso. Dopo poche centinaia di metri la mia camicia era impregnata di sudore. Salimmo faticosamente per un quarto d'ora, “Quanto manca alla cima?” chiesi. “Siamo più o meno a metà strada” disse Bob. Così riprendemmo la salita finché non arrivammo in cima e qui superando una specie di mensola, arrivammo a una spianata aperta e disboscata. Poco più avanti c'era la tomba di Robert Louis Stevenson, una lapide posata su una base di blocchi di pietra. Bob si avvicinò barcollando e sedette sul bordo della tomba. “Non faccio molto moto di questi giorni” disse ansimando. “Mi sento le gambe come se fossero di gomma”.
Io lessi l'epitaffio inciso sulla tomba. Era tratto da una poesia dello stesso Stevenson, Requiem. Lessi ad alta voce gli ultimi tre versi: “Qui egli giace dove desiderava posare, E' a casa il marinaio, di ritorno dal mare, E il cacciatore è tornato dalla collina”. Mi infilai le mani in tasca e presi a gironzolare. Il panorama da lassù era splendido, si vedevano Apia, la campagna circostante e il mare.
(Tatto da ROMANZO IN POLVERE di Gepy Goodtime, edizioni La Paz , Caracas 1977)
Vi sono stato, visitando prima la casa dove visse. Una grande emozione.
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