venerdì 3 gennaio 2020

HAFEZ di Abolfazl Jalili

Hafez è un ragazzo particolarmente intelligente che a soli 17 anni riesce a terminare gli studi, superando brillantemente tutti gli esami di teologia. Ciò induce il Gran Muftí, guida spirituale della città, a chiedergli di fornire lezioni private alla figlia Nabat. Hafez accetta, nonostante gli venga proibito di vedere la ragazza. Discorrendo di religione, filosofia, poesia i due giovani cominciano a nutrire forti sentimenti l'uno per l'altro. La governante, accortasi dei ambiamenti in atto, li riferisce al Muftí. Questi, infuriato con Hafez, lo caccia di casa. Attaccato dall'intera comunità, il ragazzo è costretto ad abbandonare la città senza, nondimeno, riuscire ad evitare conseguenze drammatiche per la sua famiglia.
La preoccupazione del regista Abolfazl Jalili in molte delle sue opere sembra essere quella di minare i precetti morali della religione costringendo quelli che ne sono depositari a uscire allo scoperto e a prendere una posizione rispetto a una situazione già data.
In questo nuovo lavoro viene raccontata la storia di Hafez, un giovane ragazzo particolarmente brillante negli studi di teologia. La guida spirituale della città, venuto a sapere della sua estrema preparazione, gli chiede di fornire lezioni private alla figlia Nabat. Discorrendo di filosofia e poesia, i due giovani iniziano a provare forti sentimenti l'uno per l'altro. A questo punto, Hafez è costretto a scegliere tra i severi dettami del Corano e la spensieratezza della vita laica. Lo sviluppo narrativo trova il suo punto di appoggio in un oggetto (specchio) che si fa carico di una simbologia ingombrante in quanto portatore della Verità. Nella settima arte è abbastanza comune far ricadere su un'entità astratta valenze doppie o molteplici. Raro, invece, è attribuire simultaneamente un livello cinematografico e simbolico a qualcosa di neutrale. Lo specchio, infatti, in quanto strumento riflettente scioglie facilmente diverse soluzioni registiche ma amplifica la carica semantica del riflesso sinonimo di verità e di inganno. Non è un caso che nel film una bambina soffra di miopia così come non è accidentale che spesso si scherzi sul concetto di doppio. Volutamente antropologica, la pellicola ha il pregio di accompagnarci per tutta la sua durata all'interno di un mondo che, in più occasioni, preferiamo racchiudere in affrettate semplificazioni.
Abolfazl Jalili, nato in Iran nel 1957, ha esordito realizzando pellicole indipendenti a metà degli anni '70. Ha diretto nel 1983 il suo primo lungometraggio, Milad, seguito (tra gli altri) da Scabies (1987) e Det means Girl (1994), premiato con l'Osella d'Oro al Festival di Venezia. Dance of Dust (1998), bandito dagli schermi per 7 anni, si è poi aggiudicato diversi premi in Festival Internazionali (ricordiamo il Pardo d'argento a Locarno). Seguono:
Tales of Kish (1999), diretto con Mohsen Makhmalbaf e Nasser Taghvai (presentato a Cannes) e Delbaran (2001), film che ha come protagonisti veri rifugiati afghani.

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