martedì 28 gennaio 2020

I Funghi allucinogeni del Messico – Robert Gordon Wasson

Quando l'uomo emerse dal suo passato bruto, migliaia di anni fa, ci fu una tappa nell'evoluzione della coscienza, in cui la scoperta di un fungo dalle proprietà miracolose, fu una rivelazione per lui, un vero e proprio detonatore dell'anima, che fece sorgere in lui sentimenti di timore e reverenza, e gentilezza e amore, al grado più alto di cui l'umanità è capace, tutti quei sentimenti e quelle virtù che l'umanità ha sempre considerato i più alti attributi della specie. Ha visto cose che il suo occhio mortale non può vedere. Quanta ragione avevano i Greci a nascondere questo Mistero, il bere la pozione, dietro il segreto e la vigilanza! Quello che oggi si riduce ad una semplice droga, una tripramina o un derivato dell'acido lisergico, fu per lui un prodigioso miracolo, che gli ispirò la poesia, la filosofia, la religione. Forse con tutte le nostre moderne conoscenze non abbiamo più bisogno di funghi sacri. O forse ne abbiamo bisogno più che mai? Qualcuno può rimanere scioccato dal fatto che la chiave della religione possa essere ridotta ad una semplice droga. D'altra parte la droga è misteriosa come mai: "come il vento viene, nessuno sa da dove né perché". Dietro una semplice droga c'è l'ineffabile, c'è l'estasi. Non è l'unico caso della storia dell'umanità in cui l'umile ha dato origine al divino. Parafrasando un testo sacro porremmo dire che questo paradosso un'affermazione pesante, la più difficile da credere. 

mercoledì 22 gennaio 2020

RUFUS THOMAS - Pensieri e Parole

Nel 1953 incisi Bear Cat, una sorta di parodia di Hound Dog di Big Mama Thornton, poi portata al successo da Elvis Presley. Il mio brano raggiunse il terzo posto nelle classifiche rhythm'n'blues e vendette 100mila copie. In un certo senso permise alla Sun di Sam Phillips di mettere sotto contratto altri musicisti e di porre le fondamenta del rock'n'roll. Prima di Bear Cat avevo inciso solo I’ Il Be A Good Boy, che vendette tante copie quanti erano i miei parenti, visto che gli amici erano più poveri di me. Grazie al successo di Bear Cat fui messo sotto contratto da Roscoe Gordon, un uomo incredibilmente ricco di talento, che non ha ottenuto gratificazioni pari ai suoi meriti. E poi B. B. King. E grazie a tutti quanti noi esplose Elvis Presley, quel ragazzo che frequentava i club nei paraggi di Beale Street, come il Club  Handy, per rubare, in senso buono, i segreti del blues, l'anima del blues. Elvis seppe combinare la spiritualità del suo paese, Tupelo, con la religiosità delle chiese nere di Memphis e con il suono di strada dei blues singer degli anni Quaranta e Cinquanta. Elvis frequentava le chiese battiste. Da lì nacque la sua grande passione per il gospel che completò la sua anima nera. Le radici di Elvis sono nere, e se fosse vivo te lo confermerebbe lui stesso. Fu proprio l'assidua frequentazione di Elvis ai club e alle funzioni religiose a consentirgli di diventare un grande interprete bianco di blues. Uno dei pochi che poteva prendere in mano un classico della mia gente e aggiungerci qualcosa di suo. Per questo lo stimavamo. La gente può pensare che i musicisti di colore non amino i bianchi che cantano il blues. Noi non amiamo i bianchi che cantano male il blues. Ma Elvis lo sapeva cantare, eccome. Incisi Tiger Man nello stesso anno di Bear Cat. il 1953, ma non ebbe lo stesso impatto. Ed è giusto così perché Bear Cat fu la luce, l'elettricità per la Sun Records ancora abituata alle candele. Peccato che Sam Phillips, rifiutando di pagare i diritti a Leiber & Stoller per le citazioni di Hound Dog, rovinò un poco l'immagine dell'etichetta. Tiger Man non era un mio brano, e per questo faticai a cantarlo. Dovevo urlare con tutto il fiato che avevo in gola, come Tarzan. II batterista, per aiutarmi, gettò via le bacchette e prese a tamburellare la batteria con le mani. Anche Elvis registrò quel brano, mi pare in uno dei suoi molti film, ma non  certo uno dei pezzi che ricordo con grande amore. 
I miei brani preferiti sono: Do The Funky Chicken  e  Do The Funky Penguin. E poi, naturalmente, la trilogia del cane: The Dog, Walking The Dog e Can Your Monkey Do The Dog?.
Qualche tempo fa mi trovavo in Francia, ospite di un programma televisivo, e l'intervistatore mi disse che un suo amico aveva rintracciato 44 versioni di Walking The Dog. E sapeva che ne esistevano altre. Una bella soddisfazione davvero, per un povero bluesman come me. E il complimento più bello lo fece quando disse che ne sarebbero arrivate almeno altre 44 negli anni a venire.
Ho costruito la mia fortuna sugli animali. Tutti i titoli delle mie canzoni più famose contengono nomi di animali. Credo sia la giusta storia di un vecchio animale da palcoscenico, di una vecchia bestia del blues.
La cosa più bella del blues è che puoi migliorarlo e migliorarlo, aggiungervi ritmo e umorismo, sudore e lacrime, strumenti e arrangiamenti, ma sotto sentirai sempre quei due o tre accordi di base. Vai avanti, avanti e avanti e poi scopri che sei tornato alle radici, all'inizio. Il blues non è solo immortale: è musica senza tempo. Ascolta un blues di Dwight Gatempouth Brown e vediamo se sei in grado di capire se è stato scritto nel 1941 o due mesi fa. Il blues non ha età. Potrà passare di moda ma non scomparirà mai. Perché non è legato a un momento preciso, ma accompagna tutti i momenti della nostra vita. Perché verrà sempre, a un bianco o a un nero, quel sentimento che si chiama blues. 
"He's got the blues", ha il blues, è un'espressione bellissima e intraducibile per chi non è americano. Significa tutte quelle cose che non riuscirai mai a spiegare a fondo: la tristezza, la malinconia, il dolore, l'angoscia che si tramutano in canto, in musica. Il blues non lo puoi costruire proprio perché nasce dalla sofferenza.

venerdì 10 gennaio 2020

A SALTY DOG - Procol Harum

I gabbiani aprono una pagina romantica e struggente dei Procol Harum, gruppo particolare della scena britannica. A Salty Dog è un pezzo classico, con la splendida voce di Gary Brooker e  violini ottimamente orchestrati. Dopo il boom di A Whiter Shade of Pale e Homburg, questo disco chiude la serie dei brani che conquistano l’alta classifica. In Italia, il pezzo diventa “Un marinaio”, per Massimo Ranieri, Beans e Fratelli.
Un lupo di mare
tutti in coperta,
stiamo andando alla deriva
udii il capitano gridare
frugate la nave
cercate anche il cuoco
che nessuno resti vivo
attraversammo lo stretto
circumnavigammo il picco
quanto lontano possono volare i marinai?
Un sentiero tortuoso
fu il nostro doloroso cammino
nessuno era sopravvissuto
noi navigammo verso regioni
ignote agli uomini
dove le navi vanno a morire,
nessun altro picco,
neppure un’ardita fortezza
soddisfarono l’occhio del nostro capitano.
Dopo la settima
giornata col mal di mare,
scegliemmo il nostro approdo:
una sabbia così bianca
un mare così blu
non erano di questo mondo.
Distruggemmo il cannone
e bruciato l’albero maestro
remammo dalla nave alla spiaggia.
Il capitano gridò
noi marinai piangemmo
le nostre lacrime erano lacrime di gioia!
Ora , molte lune
e molti anni
sono trascorsi da quando sbarcammo.
Un lupo di mare
e il giornale di bordo che scrissi
te ne sono testimoni!
I Procol Harum, una band che con due soli brani A Whiter Shade of Pale e Homburg e, un timbro d’organo vagamente classico, ha saputo caratterizzare una particolare epoca della musica giovane. Quei due grandi Hit arrivano però dopo lunga gavetta dei musicisti, che frequentano la scena Rock/R&B dalla fine degli anni Cinquanta, con la sigla dei Paramounts; in formazione il pianista Gary Brooker, il chitarrista Robin Trower, il bassista Chris Copping e il batterista Barrie James Wilson, tutti del Southhend londinese. Il gruppo si scioglie nel 1966, dopo sei 45 giri (tra cui la celebre Poison Ivy) e abbastanza canzoni per un album postumo che la Edsel realizzerà nel 1983. Nel 1967 nascono i Procol Harum, che dietro a una colta citazione latina, aperta a ogni interpretazione, schierano il già citato Brooker e il paroliere Keith Reid, oltre a vari musicisti e sessionmen di poca fama, tra i quali spiccano il bassista Dave Knights e organista Matthew Fisher. Sono Brooker e Reid però i veri artefici del successo della band, autori di due tra le più celebri canzoni del rock di sempre: A Whiter Shade of Pale (1967), suggestiva poesia surreale adattata da un aria di Bach, guida le classifiche inglesi per sei settimane, va al quinto posto in USA e alla fine vende oltre sei milioni di copie; pochi mesi più tardi, in ottobre, i Prcol Harum concedono la replica con Homburg, sesta in classifica, e aprono le porte del rock inglese alla grande ondata dell’art rock degli anni Settanta. Nel frattempo per soddisfare le richieste del pubblico dei concerti, la band si dà una stesura piu o meno   definitiva, e a Brooker Fisher e Knight si uniscono Trower e Wilson dei Paramounts. È quella la formazione “ufficiale” della band, che realizza i primi tre album, Procol Harum e Shine On Brightly, nel 1968 e A Salty Dog nel 1969, per la Regal Zonophone inglese.


venerdì 3 gennaio 2020

HAFEZ di Abolfazl Jalili

Hafez è un ragazzo particolarmente intelligente che a soli 17 anni riesce a terminare gli studi, superando brillantemente tutti gli esami di teologia. Ciò induce il Gran Muftí, guida spirituale della città, a chiedergli di fornire lezioni private alla figlia Nabat. Hafez accetta, nonostante gli venga proibito di vedere la ragazza. Discorrendo di religione, filosofia, poesia i due giovani cominciano a nutrire forti sentimenti l'uno per l'altro. La governante, accortasi dei ambiamenti in atto, li riferisce al Muftí. Questi, infuriato con Hafez, lo caccia di casa. Attaccato dall'intera comunità, il ragazzo è costretto ad abbandonare la città senza, nondimeno, riuscire ad evitare conseguenze drammatiche per la sua famiglia.
La preoccupazione del regista Abolfazl Jalili in molte delle sue opere sembra essere quella di minare i precetti morali della religione costringendo quelli che ne sono depositari a uscire allo scoperto e a prendere una posizione rispetto a una situazione già data.
In questo nuovo lavoro viene raccontata la storia di Hafez, un giovane ragazzo particolarmente brillante negli studi di teologia. La guida spirituale della città, venuto a sapere della sua estrema preparazione, gli chiede di fornire lezioni private alla figlia Nabat. Discorrendo di filosofia e poesia, i due giovani iniziano a provare forti sentimenti l'uno per l'altro. A questo punto, Hafez è costretto a scegliere tra i severi dettami del Corano e la spensieratezza della vita laica. Lo sviluppo narrativo trova il suo punto di appoggio in un oggetto (specchio) che si fa carico di una simbologia ingombrante in quanto portatore della Verità. Nella settima arte è abbastanza comune far ricadere su un'entità astratta valenze doppie o molteplici. Raro, invece, è attribuire simultaneamente un livello cinematografico e simbolico a qualcosa di neutrale. Lo specchio, infatti, in quanto strumento riflettente scioglie facilmente diverse soluzioni registiche ma amplifica la carica semantica del riflesso sinonimo di verità e di inganno. Non è un caso che nel film una bambina soffra di miopia così come non è accidentale che spesso si scherzi sul concetto di doppio. Volutamente antropologica, la pellicola ha il pregio di accompagnarci per tutta la sua durata all'interno di un mondo che, in più occasioni, preferiamo racchiudere in affrettate semplificazioni.
Abolfazl Jalili, nato in Iran nel 1957, ha esordito realizzando pellicole indipendenti a metà degli anni '70. Ha diretto nel 1983 il suo primo lungometraggio, Milad, seguito (tra gli altri) da Scabies (1987) e Det means Girl (1994), premiato con l'Osella d'Oro al Festival di Venezia. Dance of Dust (1998), bandito dagli schermi per 7 anni, si è poi aggiudicato diversi premi in Festival Internazionali (ricordiamo il Pardo d'argento a Locarno). Seguono:
Tales of Kish (1999), diretto con Mohsen Makhmalbaf e Nasser Taghvai (presentato a Cannes) e Delbaran (2001), film che ha come protagonisti veri rifugiati afghani.