I Jethro Tull furono una delle più originali formazioni inglesi negli anni Settanta. La loro attività prosegue a tutt'oggi, ma probabilmente il loro capolavoro rimane il quarto disco, pubblicato nel 1971. La copertina, fra le più famose e riconoscibili della storia del rock, se non fra le più belle, ritrae un barbone dallo sguardo bieco e luciferino, abbandonato a sé stesso in una delle tante zone nere della città, maliziosamente a caccia di ragazzine a passeggio . Aqualung, nome del disco, della prima traccia e del personaggio in copertina, significa autorespiratore. Il titolo venne deciso pensando al rumore sibilante che, nella fantasia di Anderson, il barbone emetteva a ogni respiro. La mistura esplosiva di hard-rock, folk britannico, strumenti di tradizione classica e la tendenza a una peculiare deformazione ritmica della forma-canzone, fanno di Aqualung il disco musicalmente più vario ed equilibrato della produzione della band. Un ottimo esempio di quella musica a cui i Tull ci hanno abituati nel corso degli anni: un Progressive Rock con vigorosi accenni hard mescolati ad una forte vena folk dettata anche da un uso massiccio ma mai banale del mitico flauto che ha ricamato e condito con particolare fantasia le varie tracce di questo ed altri loro album.
Gli argomenti trattati nell’album riguardano sia le condizioni di vita degli strati poveri della società e, soprattutto nella seconda parte del disco, una riflessione articolata, mediante una tagliente e velenosa ironia, sulla chiesa e sulla religione.
Il disco si apre con Aqualung un riff di chitarra potente ed incisivo segue la voce stentorea e nasale di Anderson, capace di notevoli cambi di registro, e magistrale nell'equilibrare la melodia della chitarra con glissando e improvvise ruvidezze, mentre dipinge lo squallido quadretto urbano. Il repentino dimezzamento del tempo a metà canzone introduce la vena acustica del gruppo e aggiunge in effetto drammatico alla canzone.
Si prosegue con Cross-eyed Mary, un ululato soffuso avvia la danza del flauto traverso, sopra un delicato e minimale lavoro di basso, mentre le tastiere aggiungono un po' di atmosfera che il piano addolcisce con timide note, finché la batteria non si unisce a loro, facendo mutare il pezzo in una marcetta cadenzata, in un crescendo che sfocerà in vibranti note del flauto, sostenuto da un pianoforte più marcato. Il brano ci racconta la storia di una prostituta che si intrattiene con uomini facoltosi per poi dare soldi ai poveri dove la fa da padrone un superbo e vibrante flauto traverso.
I successivi tre pezzi Cheap Day Return, Mother Goose, e Wond'ring Aloud, si reggono alla grande su chitarra acustica, flauto e violini, e sulla voce nasale di Ian, oltre che su una ritmica di grande effetto.
Up To Me innalza di nuovo la tensione e ci trasporta in un'atmosfera da medioevo inglese, il testo è un ritratto proletario, malinconico. Il refrain strumentale per flauto e chitarre è emblematico, in tre minuti abbiamo la summa della musica dei Jethro Tull.
Il lato B si apre con My God, che probabilmente costituisce la più alta vetta artistica di Anderson: un brano di sferzante satira sul tema della religione come elemento di controllo sociale. Si tratta di una mini-suite dove una chitarra acustica solitaria si lancia in una introduzione coinvolgente, prima di arrivare al riff principale, al quale si uniscono piano e voce, in un incedere grave e insinuante. Nel ritornello la musica sembra distendersi, prendere respiro, ma ripartono subito i lenti arpeggi, quasi inquietanti nella loro bellezza; poi il pezzo si apre, ed entrano in campo chitarra, basso e batteria, che lo rendono più potente e maestoso. A questo punto entriamo nel leggendario, con l'attacco di un assolo di chitarra a dir poco magnifico, firmato Martin Barre, al quale ne segue un altro di flauto, anch'esso stupendo, con un Anderson in stato di grazia che suona una complessa melodia, che sfocia poi in un epico crescendo arricchito da canti gregoriani. Improvvisamente sembra fermarsi e quietarsi, ma solo per riprendere con più carica di prima, in un intreccio di linee vocali e strumentali da far venire i brividi, finché non entra in scena la batteria, trascinandosi dietro pianoforte, basso e chitarra, che per un attimo riportano il flautista alla sua iniziale scanzonata leggerezza e infine si si ritorna alla cupa melodia d'apertura.
Il successivo brano si intitola Hymn 43 e prosegue con la satira contro la religione e le sue strumentalizzazioni. È un semplice rock-blues di impianto tradizionale, ma la sua collocazione dopo i sette minuti di My God serve a stemperare la tensione. Lo si potrebbe quasi considerare come una coda al pezzo precedente, di cui tra l'altro riprende i temi, un semplice inno finale a chiudere una rappresentazione teatrale.
Segue Slipstream dalle atmosfere rarefatte, un brevissimo quanto affascinante brano per chitarra acustica e voce sul tema della morte, arricchito da un lieve intervento di violini.
Locomotive breath; fra Liszt e il jazz, accordi di pianoforte tesserano la membrana sincopata hard-rock-blues, densa nel pingue basso e negli stop subitanei delle percussioni. Ottima la voce di Ian Anderson ed il suo inossidabile flauto traverso, istrionicamente accompagnerà il beffardo, disperato respiro di una locomotiva senza freni. Il brano è un vero e proprio marchio di fabbrica nelle esibizioni dal vivo, riassume in sé tutta la vena hard-rock dei Jethro Tull: introduzione di flauto, riff sincopato, ritmo di marcia, arresti improvvisi della batteria, canto istrionico e nasale.
L'album si chiude con Wind Up, ballata per pianoforte e voce. La voce narrante ricorda l'infanzia e riporta in primo piano tutti i nuclei tematici del disco: la condizione dei falliti, la religione come strumento di potere, le ipocrisie della piccola borghesia inglese e, infine, la fede come fatto intimo ed esclusivamente personale.
Nessun commento:
Posta un commento