Liza, ex comandante SS in un lager durante l'ultima guerra, e ora tranquilla moglie di un ricco americano, durante una crocera in Europa riconosce sulla nave Marta, una prigioniera che aveva tentato di piegare alla morale disumana del lager. Raccontando al marito la vicenda che la lega a Marta, Liza rievoca la storia dapprima in modo palesemente falso e reticente, poi via via in un modo sempre più vero e preciso.
Ne La passeggera voglio dire che l'uomo non può sfuggire al suo passato, che egli è responsabile dei suoi atti davanti alla società e davanti alla sua coscienza. (Andrzej Munk, citato da P. Haudiquet in "Image et Son" n. 170-171, febbraio-marzo 1965)
La nozione di libertà subisce qui una sorprendente inversione. La polacca, benché prigioniera, apprezza più della vita la propria libertà di scelta, ultimo rifugio di questi esseri nudi, affamati e coperti di fango. Al contrario, Liza, la guardiana delle prigioniere, resta schiava del suo mondo fondato sulla dominazione, incapace di sottrarsi alle regole che giudica ingiuste e di affermare il valore di tali regole per asservire Marta. (Jerzy Plazewski, in "Anthologie du Cinéma" n. 22, febbraio 1967)
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