lunedì 9 gennaio 2017

ANDREJ RUBLJOV di Andrej Tarkovskij

Il monaco Andrej Rubljov, maestro della pittura russa del XV sexolo, discute con il vecchio pittore Teofano il Greco sulla funzione dell'arte: mentre questo vede nell'uomo il peccato e in Dio la vendetta e il castigo, egli crede in un'arte che aiuti l'uomo che lo consoli nelle tristezze e nelle difficoltà della vita. Le terribili sciagure che si abbattono sulla Russia tolgono ad Andrej la fiducia nel suo lavoro; soltanto il felice esito della costruzione di una campana, a cui ha contribuito tutto il popolo sotto la direzione di un ragazzo, fa ritrovare all'artista una valida ragione per continuare la sua opera.

Sono convinto che non può nascere niente di serio senza la base della tradizione, non si può abbandonare la propria pelle russa, non si sfugge dai luoghi ce ti tengono attaccato al tuo paese, da quello che è stato fatto nel passato dal tuo cinema e dalla tua arte, e dunque dalla tua terra. Di tutto questo non ci si può liberare. Quello che mi interessa soprattutto è la terra. Sono sempre stato affascinato dal processo della germinazione e dalla crescita di tutto ciò
che nasce dalla terra, alberi, erba ... E tutto questo tende verso il cielo. E' questa la ragione per cui nel mio film il cielo non figura cge in forma di spazio verso cui tende tutto ciò che irrompe dalla terra. In se stesso il cielo per me non ha alcun significato simbolico. Per me il cielo è vuoto. Soltanto il suo influsso sulla terra mi interessa. In generale io amo la terra, io non vedo il fango, io non vedo che la terra e l'acqua, la poltiglia da cui nascono le cose. Io amo la terra, amo la mia terra. 
(Andrej Tarkovskij, in "Positif" n. 109, ottobre 1969)  

Andrej Tarkovskij è un lirico, un poeta. Di qui la sua interpretazione perfettamente individuale (ma non individualistica) di alcune pagine di storia russa (Andrej Rubljov) e di diverse opere letterarie (L'infanzia di Ivan, Solaris). Al tempo stesso nei film di Andrej Tarkovskij si avverte chiaramente un rapporto drammatico tra la ricchezza delle immagini e il carattere elementare, quasi povero del "significato concettuale" del film. 
(V. Sitova, in "Rassegna Sovietica" n. 3, maggio-giugno 1973)

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