giovedì 3 novembre 2016

NOVE GIORNI DI UN ANNO di Michajl Romm

In una centrale atomica un fisico viene contaminato dalle radiazioni durante un esperimento nucleare; i giorni che lo separano dall'intervento chirurgico, che lo deve strappare alla morte, si svolgono nella ricerca, attraverso il suo rapporto con la moglie e un amico, del significato della scienza e del progresso umano.


Da nove anni non facevo più un film. Da nove anni non facevo più nulla. Avevo sessant'anni e volevo fare qualcosa di nuovo e, soprattutto, volevo fare un film più giovane di me, perché il cinema è un'arte giovane. In poche parole non volevo iniziare la lavorazione di un film senza aver prima risolto degli interrogativi che erano in me.
(Michajl Romm, in "Cinema Nuovo" n.174, marzo-aprile 1965)

Credo che potrei essere inserito in questa tendenza - il "cinema poetico" esemplificato da La ballata di un soldato di Cuchrai e da L'uomo che segue il sole di Michail Kalik - giacché non amo seguire un intreccio serrato e dei rapporti logici. Non mi piace cercare giustificazioni alle azioni degli eroi. Dall'altro lato, troviamo quello che in URSS chiamano il "cinema intellettuale" di Michajl Romm. Benché un tempo sia stato suo allievo, non posso dire niente di questo cinema, perché non lo comprendo.
(Andrej Tarkovskij, in "Lettres Francaises", 13 settembre 1962)

Il tema della guerra continua ad affascinare il cinema sovietico, ma l'interesse si rivolge soprattutto al contrasto tra i valori umani - valori di pace - e le distruzioni belliche. I registi sovietici si rivelano più imbarazzati nel trattare la realtà della vita contemporanea. Ma notevole è lo sforzo di onesta narrativa in Nove giorni di un anno, uno studio sulla vita dei giovani scienziati.
(John Howard Lawson, "Teoria e storia del cinema, Laterza, Bari 1966)
Michajl Romm

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