domenica 9 marzo 2014

Il discorso della sopravvivenza

Tutto ciò che oggi si dice, si scrive, si pensa comporta una quantità crescente di cose di nessuna importanza, riguardo alla vita, minacciata da ogni parte, e sempre più presente man mano che declina il dominio delle false apparenze.
Intessuto da millenni sulla trama di una remuneratività di cui il piacere di vivere non sa che farsene, il discorso della sopravvivenza, nello scorso decennio, si è talmente sconnesso che poche parole sfuggono al ridicolo prodotto dal fallimento stesso di ciò che le sosteneva.
A battersi per il capitale in nome del progresso, contro il capitale in nome del proletariato, per la burocrazia in nome della rivoluzione, e incessantemente per la sopravvivenza in nome della vita, ciò che resta dell'umanità del XX secolo, ha conquistato, sul fronte delle forme tradizionali dell'impegno, la sensazione di una incommensurabile stanchezza.
L'ordine assurdo delle cose non sprona certo a dannarsi di fatica per ciò che non serve a nulla, anche se l'inerzia spinge ancora nelle arene dello sfacelo spettacolare qualche gregge politicizzato e gli ultimi cani malefici del potere.
Per me non è una certezza, ma una scommessa, cui ogni istante mi invita a non rinunciare mai, che finalmente dalle ambiguità dell'apatia generale venga fuori una volontà di battersi per creare se stessi armonizzando la società col godimento di sé.

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