Unico brano italiano a raggiungere la vetta delle classifiche americane; sei settimane in testa alle chart di «Billboard»; singolo più venduto in America nel 1958; 2 Grammy; sei versioni, nel solo anno d'uscita, di Dean Martin, Linda Ross, Umberto Marcato, Jesse Belvin, Alan Dale e Nelson Riddle (ma cresceranno di numero fino a raggiungere i giorni nostri, ultimi della lista i Gypsy Kings); quasi 25 milioni di copie vendute in tutto il mondo. Le cifre di Volare, come fu subito ribattezzata Nel blu, dipinto di blu, parlano da sole. Il 958 è l'anno di Domenico Modugno, Mimmo, come l'Italia intera volle chiamarlo, in segno d'affetto, subito dopo quei tre fantastici minuti. A Sanremo doveva vincere Nilla Pizzi, che mancava dal 1953 e presentava L'edera in coppia con Tonina Torrielli, o Claudio Villa, protagonista di un'incredibile gaffe quando accuserà l'organizzazione di imbrogli: «Dove sono finiti i miei voti? Mi avevano assicurato che in sala erano stati distribuiti 350 biglietti che dovevano essere tutti per me». Vince invece, pur dimenticandosi una strofa, un trentenne di Polignano a Mare che scatena una mezza rivoluzione nell'asfittico panorama musicale italiano. Volare è la storia di un uomo che in sogno si dipinge la faccia e le mani di blu e poi comincia a volare nel cielo infinito. Lo spunto, racconta Modugno, nasce «una mattina, quando mi sveglio e dico a mia moglie: "Guarda che bella giornata". E lei: "Mimmo, ma sta piovendo". Io sentivo crescere dentro di me una grande felicità. Mi metto al pianoforte e comincio a cantare "...nel blu dipinto di blu". D'improvviso provo l'impulso di andare alla finestra e, spalancando le braccia, come se stessi per spiccare il volo, grido: Voolaaree..."». Ma l'Italia canzonettara ha ancora il complesso della cultura, così. Migliacci dichiara di essere stato ispirato, in sogno, da un quadro di Chagall. Mimmo vincerà altri tre festival con Piove (1959), Addio, Addio (1962), Dio come ti amo (1966) e otterrà la stima anche dei detrattori di Sanremo con una serie di brani, in testa Vecchio frac, ancora oggi cantatissimi.
Non conosciamo altra bellezza, altra festa che quella che distrugge l'abuso delle banalità quotidiane e dei sentimenti truccati, basterebbe un colpo di vento per trasformare questo delirio permesso nel più grande incendio che la storia conosca.
lunedì 26 settembre 2022
martedì 20 settembre 2022
La rivoluzione come frattura
La rivoluzione come frattura, come rottura di un ordine è, ormai un concetto stabilito. Ed il problema, oggi, è ancora una volta sapere se vi sia necessariamente identità tra rivoluzione e violenza: le ideologie costituiscono l’indispensabile strumento di analisi di un tale problema. Senza di esse il rischio di una violenza senza rivoluzione diventa immenso. Così nel sottile rapporto tra ideologia e rivoluzione i grandi termini del combattimento erano stati essenzialmente «libertà» ed «eguaglianza», per il trionfo delle quali la rivoluzione si presentava come l'arma necessaria. Ma la rivoluzione - la parola impiegata da uomini di grande spirito liberale: da Mazzini a Lamartine, da Danton a Marat – veniva assorbita anche da quanti lottavano contro quella stessa libertà: è in tal senso significativo che sia il fascismo che il nazismo, per esempio, si siano presentati come rivoluzioni senza averne nessuna delle caratteristiche ed essendo carenti di ogni ideologia. In sostituzione di questa intervenivano concetti quali la purezza della razza, la rievocazione dei motivi o la riscoperta di passati mitologici. Proprio questo far ricorso non già a concetti, ma a sentimenti (di dubbia natura, per di più) mostrava l'intrinseca debolezza di quelle che si pretendevano «rivoluzioni» pur presentandosi come il rimedio unico contro tutte le rivoluzioni.
giovedì 15 settembre 2022
Il sogno di Gioacchino
Il ciclo della Cappella degli Scrovegni a Padova, unanimemente riconosciuto l'espressione più alta della poesia e del linguaggio innovatore di Giotto, narra in trentaquattro riquadri le Storie di Gioacchino, le Storie di Maria e le Storie di Cristo. L'episodio del Sogno di Gioacchino è uno dei più bei notturni della storia della pittura. Sotto i bianchi raggi della luna il protagonista dorme, avvolto nel mantello che fa blocco compatto col suo corpo; accanto a lui due pastori seguono con sguardo stupito la discesa dell'angelo che annuncia la prossima nascita di Maria. I piani successivi sono scanditi dalla capanna e dalla roccia dietro di essa, mentre il volo dell'angelo accompagna il dolce declivio del monte.
domenica 11 settembre 2022
Se sedurre la carne la parola - Patrizia Valduga
Se sedurre la carne la parola,
prepara il gesto, produce destini …
È martirio il verso,
è emergenza di sangue che cola
e s’aggruma ai confini
del suo inverso sessuato, controverso.
O datemi qualcuno che mi ascolti,
ché di parole straripo … qualcuno
che mi prenda per mano e dei sepolti
dei fatti polvere e niente al raduno
mi porti … di occhi o paura … di volti …
Non mi restava ormai niente e nessuno,
e come sanguinando intorno intorno
pesantemente in me cadeva il giorno.
Mi dispero perché
Non ho che poche erose scrofolose
Parole, a darsi all’ozio intente,
che non sanno far niente.
Patrizia Valduga poetessa italiana, traduttrice raffinata, tra gli altri, di J. Donne, Molière, S. Mallarmé, L. F. Céline, impegnata in una personale e intensa ricerca stilistica, ha adibito a fini espressivi spesso sovversivi metri e forme tradizionali. La sua poesia, dominata da immagini erotiche e funebri spesso crude, ha al proprio centro l'esplorazione senza infingimenti della potenza del desiderio, di cui le pulsioni di morte non rappresentano che l'inevitabile rovescio.
giovedì 1 settembre 2022
SWEET MOVIE – Dusan Makavejev
Sweet Movie è composto di due storie intarsiate. Nella prima, che ha per bersaglio, la società capitalistica, assistiamo alla bizzarra odissea di una ragazza americana eletta, tra altre vergini, Miss Mondo 1984, la cui virtù, come quella della Justine di De Sade, è esemplarmente punita dalla società consumistica, tanto che la poverina finisce col soccombere dentro a una colata di cioccolata fusa. Nella seconda storia, non meno grottesca, l'allegoria è più spiccatamente politica: il comunista eterodosso Makavejev vi critica il comunismo ortodosso, in quanto incapace di prospettare l'uomo. Qui abbiamo un marinaio zarista, traumaturgicamente sopravvissuto alla rivolta della nave <Potemkin>, che in un canale olandese viene raccolto da un vascello che ha per polena l'effigie di Marx e per pilota una giovane rivoluzionaria. Tra Il marinaio puro di cuore (non per nulla si chiama Bakunin e ha la bianca maschera di Pier Clementi) e la ragazza s'intrecciano spudorate effusioni erotiche, finché la virago, dopo averlo castrato, non lo uccide nella stiva carica di zucchero. Il senso sembra questo: che le rivoluzioni, dapprima melliflue, finiscono poi col sacrificare, i figli migliori. Al di là della condanna delle ideologie capitalista e socialista, con Sweet Movie il cineasta serbo accosta momenti erotici (la bellissima Carole Laure nuda e completamente ricoperta di cioccolato) e politica, invenzioni visive (la gigantesca bottiglia di latte in cui viene rinchiusa Carole Laure, il testone di Marx che troneggia sulla barca che attraversa Parigi) e inserti documentaristici (immagini delle fosse comuni di Katyn, che fanno il paio con quelle degli esperimenti medici nazisti e delle terapie elettroshock). Il legame col Situazionismo e con gli appartenenti al Movimento Panico (suggellato da un cammeo di Roland Topor, nel ruolo di un medico) è palese, e la forma è anarchica, slegata da costrizioni narrative e messaggi edificanti. Ma in Sweet Movie c’è aria di grande libertà, a conferma che un certo cinema d’autore era un paio di passi avanti a quello exploitation quando si trattava di esplorare i confini del mostrabile: ai limiti dell’hard (la scena in cui Carole Laure struscia il viso contro un pene floscio), con genitali al vento e una leggerezza forse irresponsabile nel tirare il bilancio di un intero secolo attraverso l’equazione sesso uguale politica. Al suo apparire nel 1974, Sweet Movie consegnò immediatamente il suo regista, lo jugoslavo Dusan Makavejev al ristretto olimpo dei registi cult dell'epoca, accanto a Jodorowsky, Arrabal, Ken Russell e a quella piccola ma attivissima cerchia di autori impegnati in una personale lotta contro censura e istituzioni per creare una forma cinematografica del tutto slegata da mode, costrizioni e messaggi edificanti. Un cinema in cui potessero andare a braccetto la denuncia sociale e la follia ginsberghianamente liberata, la psicanalisi e l'occultismo, il sogno sfrenato e la realtà più agghiacciante. Montaggio dialettico che mischia documentaristica, narrazione lineare, simbologie e musica, in una forma che vorrebbe essere di rottura con i modelli narrativi classici. L'anarchia visiva di Makavejev è un'arma puntata contemporaneamente sia contro il comunismo che il capitalismo, il primo intollerante alla creatività se non quella approvata dal regime e l'altro per il consumismo che educa visivamente i suoi spettatori persino in materia erotica.