Il rapporto edipico madre/figlio è il motore narrativo di J’irai comme un cheval fou. Aden rampollo di ricca famiglia ha sfogato il suo odio verso la madre (Emanuelle Riva) uccidendola, rubandole soldi e gioielli e fuggendo nel deserto. Aden attraverso visioni surreali come la fellatio di sua madre con un uomo orripilante e il suo masturbarsi davanti a questa scena, ricorda le crisi di epilessia, le punizioni corporali, si rivede bambino in una mangiatoia o con la corona di spine, spiegando così al pubblico l’amore/odio morboso nutrito per la genitrice. Aden fugge nel deserto dove incontra un ometto bizzarro, Marvel, un nano in grado di spegnere la luce nel deserto tramutando il giorno in notte e di compiere altri prodigi che cambierà la sua vita. L’uomo civilizzato, che però si è macchiato di una colpa arcaica e tribale, prima impaurito poi chiaramente affascinato dal suo nuovo amico, decide di portarlo nella civiltà. Marvel tuttavia non può comprendere gli usi della metropoli e continua a compiere i suoi rituali, commettendo tra l’altro sacrilegio in una chiesa, resuscitando Cristo dalla sua croce e facendo gocciolare dalla sua mano sangue vero. Fallito il tentativo di convertire il suo nuovo amico alla vita civile, mostrata nel film come un gigantesco lager nazista; per espiare il matricidio, Aden chiede di essere processato dall’amico e, ritenuto colpevole viene ucciso. Marvel una volta riportato il corpo di Aden nel deserto. Lo divora, In questo modo Marvel ingloba per sempre Aden dentro di sé. Fernando Arrabal ripropone il mito illuminista del buon selvaggio per riflettere sulla follia del nostro mondo, consumistico e inquietante. Andrò come un cavallo pazzo ha il pregio di spiazzare continuamente lo spettatore, di sbalordirlo, meglio di scioccarlo. Le opere di Arrabal sono percorse da diverse correnti artistiche, ma "Andrò come un cavallo pazzo" è essenzialmente figlio di influenze surrealistiche, dovute anche alla collaborazione di Arrabal con André Breton. Il "Manifesto surrealista" (scritto dallo stesso Breton nel 1924) definisce il surrealismo come un "automatismo psichico puro", un meccanismo espressivo fondato sulla "onnipotenza del sogno" e sul "gioco disinteressato del pensiero", funzionante "in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica o morale". In chiave cinematografica, si tratta di rappresentare le profondità inesplorate dell'animo umano e della realtà, portandone in superficie i lati finora rimasti inespressi: ne deriva una nuova estetica che non si preoccupa di rappresentare l'inconscio della psiche, le repressioni sessuali, le sensazioni forti e violente, le immagini brutte e sporche. Arrabal ne attinge a piene mani. Sangue e sperma, urina e feci. Cadaveri e scheletri. Coprofagia e necrofagia. Nudità e ambiguità sessuali. Cannibalismo, sesso, terrore, amore nelle sue espressioni più radicali. Eppure nessuno di questi eccessi è fine a se stesso: tutto assume rilevanza nell'ottica di insieme. All’epoca il film fece scandalo, per come attaccava a testa bassa le convenzioni borghesi e rifiutava le logiche istituzionali della società e della famiglia, tanto che il 15 novembre 1973 si è visto rifiutare il suo visto di censura poi autorizzato ai maggiori di anni 18.
Non conosciamo altra bellezza, altra festa che quella che distrugge l'abuso delle banalità quotidiane e dei sentimenti truccati, basterebbe un colpo di vento per trasformare questo delirio permesso nel più grande incendio che la storia conosca.
martedì 22 febbraio 2022
martedì 15 febbraio 2022
Alchimia Vegetale
L'arte di guarire era uno degli obiettivi Fondamentali dell'alchimia ben prima di Paracelso (1493-1541), storicamente considerato il fondatore della iatrochimica :dal greco iatros, medico) farmaceutica. Poiché il processo alchimistico è orientato verso lo sviluppo organico, Newton ha descritto l'alchimia come ((chimica vegetale», in opposizione alla chimica meccanica studiata in laboratorio.
Il più dotto di tutti i filosofi porge alla “madre alchimia” un mazzo di erbe medicinali, con cui curare il suo corpo malato. Mentre il capo dorato e il seno argenteo (qui coperto per volontà di un censore) hanno già raggiunto la perfezione, la parte inferiore del suo corpo si trova ancora in una condizione impura e velenosa. Le sue cosce sono gonfie per l'idropisia, e i piedi colpiti dalla gotta. Aurora consurgens, inizio XVI sec.
lunedì 7 febbraio 2022
I Ribelli del Rock’n’Roll – parte seconda
I teenager hanno finalmente un linguaggio che li differenzia nettamente dagli adulti; nei Fifties, per la prima volta, lo slang inizia a cambiare a velocità vertiginosa: ciò che nel 1950 era «hot», per definire qualcosa alla moda, è adesso reso col suo opposto, «cool». I teenager, soprattutto, hanno soldi da spendere, per via d'una insolita prosperità postbellica, e lo possono fare in modo inequivocabilmente giovane: gli 86 milioni di dollari spesi nel 1950 in strumenti musicali diventano 149 alla fine del decennio, i 32 in libri per ragazzi diventano 88. I giovani vanno alla ricerca della propria identità preoccupandosi soprattutto di evidenziare, con il corpo, l'atteggiamento e l'abbigliamento, la loro diversità, l'estraneità al mondo adulto. La libertà che chiedono è solo di pensiero, gli espliciti riferimenti sessuali nelle canzoni un pugno in faccia a mamma e papà, non certo l'invocazione di una maggiore tolleranza nei costumi, non certo i prodromi dell'amore libero della Nazione Utopistica di Woodstock e dei figli dei fiori. I teenager chiedono soltanto di essere lasciati in pace nella loro Cittadella dell'Eterna Adolescenza, dove l'adolescenza non è la fase di passaggio dall'infanzia alla maturità, ma una condizione valida per se stessa. Le canzoni raccontano di school days, di sogni e malinconie tra i 13 e i 19 anni, di amori eterni e promesse da non spezzare tra i due estremi del «forever» e del «never», di ragazze che rimangono sempre «little girls, pretty, lovely, nice, cute, fine» e non diventano mai «women», mai «beautiful», perché bellezza completa e perciò adulta. Non è un caso che il rock'n'roll sia nato in America, visti gli standard schizofrenici della società americana: da un lato il grande stress per farti diventare subito adulto, per convincerti che solo il lavoro e l'applicazione possono garantirti l'ingresso nella società; dall'altro lo stress, altrettanto grande, per prolungare artificialmente la giovinezza: la cura ossessiva dell'immagine e del look spinge uomini e donne mature a vestirsi come ragazzini, a servirsi di creme, lozioni e balsami, a sfruttare senza remore lifting e trapianti. Gli americani perpetuano la lotta tra Robinson Crusoe e Peter Pan. E il rock'n'roll, dopo la morte di Buddy Holly (come vuole la leggenda) o con l'inizio di un nuovo decennio (come suggerisce la storia), è stato un po' come l'Eden dopo la caduta. Persa per sempre l'innocenza ci si è cominciati a illudere di poterla ricatturare. Finiti gli anni Cinquanta il rock'n'roll ha cessato di essere la musica di chi è giovane per diventare la musica di chi si sente giovane o vuole sentirsi tale, come l'Elvis degli ultimi tragici anni, agghindato da ragazzino e grottesca caricatura di se stesso; come Mick Jagger, che rideva all'ipotesi di cantare Satisfaction a 40 anni e oggi ride dell'ipotesi di smettere. Gli anni Sessanta vedranno pubblico e artisti socialmente più frustrati, la protesta assumerà contorni letterari, contro i sistemi che si sgretolano, l'Università in crisi, le ingiustizie sociali e la guerra in Vietnam; il rock sarà il centro della cultura dell'alienazione, radice del pensiero politico di Hayden e Cleaver e legato all'alternativa di sinistra. Negli anni Settanta la ricerca d'identità dei giovani avverrà con la distruzione delle certezze consolidate o con la rincorsa a innocui feticci. Negli anni Ottanta il rock proverà a cancellare il suo peccato originale sfruttando i media per cambiare, in megaraduni ed eventi vari, lo stato delle cose. Ma l'innocenza degli anni Cinquanta non la si riacquisterà più. La storia del rock è qualcosa di più della spiegazione di uno stile musicale. È invece la storia che racconta e riflette la sempre maggiore confidenza, maturità e indipendenza economica della generazione del secondo dopoguerra, le sue mutevoli aspirazioni, la sua insaziabile sete di scoperta, il sorgere di una coscienza politica. È una storia di esplorazioni ed avventure, innovazioni e imitazioni.