La realtà nel cinema. Qualcosa in cui Herzog ha sempre creduto poco. Nella sua accezione più estremista, il suo cinema è stato considerato "sull'orlo della follia", una versione dark della vita, ma senza troppi toni scuri, l'inquietudine è tutta nella logica o nelle atmosfere inquietanti che riesce a creare. Il cinema si alimenta di sogni, di nostalgie e di desideri collettivi, molto più che di realtà, l'ha sempre detto lui. E nei suoi sogni, nelle sue nostalgie e nei suoi desideri c'è sempre la Natura. Sia essa il volto di una verde giungla o di un sabbioso deserto. Ma attenzione, lui, la natura non l'ha mai amata... Parole sue! Per lui è stupida, oscena e sbagliata, ma vitale perché inevitabilmente primitiva, casuale e irripetibile. Da rimanerne spiazzati, così come si rimane spiazzati di fronte alle sue inconsapevoli e misteriosi visioni di morti folli ed eroiche. Un cinema di super uomini. Individui con dignità e che si risollevano dalla loro condizione umana.
Nel 1560 un piccolo esercito di soldati spagnoli e schiavi indios guidati da Gonzalo Pizarro valica le Ande per addentrarsi nella foresta amazzonica alla ricerca del mitico regno di Eldorado. Giunto sulle rive dell’Urubamba al termine di un’estenuante marcia nella giungla, Pizarro decide di mandare in avanscoperta una spedizione su zattere al comando di Pedro Ursùa, cui affianca Lope de Aguirre, con lo scopo di reperire viveri e saggiare le reali possibilità di riuscita dell’impresa. La violenza del fiume, che causa la morte di dsieci uomini e la distruzione delle zattere, convince Ursùa a ritirarsi. Alla decisione si oppone Aguirre che, esautorato il comandante, proclama il proprio tradimento della corona di Spagna e nomina imperatore di Eldorado il nobile ma rozzo Fernando de Guzman. L’equipaggio, terrorizzato dalla violenza di Aguirre, ma al tempo stesso affascinato dalla sua lucida follia, decide di seguirlo nell’impresa. Dopo un processo sommario che condanna a morte Ursùa, si costruiscono nuove zattere per riprendere la discesa del fiume. Colpiti dalla fame, dalle malattie, dagli indios che li bersagliano con frecce avvelenate, gli uomini muoiono uno dopo l’altro: Aguirre rimane solo in mezzo a un’orda di scimmie a gridare al nulla assurdi proclami di gloria, vaneggia di sposare sua figlia e di fondare una dinastia che conquisti col tradimento tutta la Spagna. “Dio è con me” proclama alle scimmie venute a profanare i cadaveri di cui è disseminata la zattera. Nel “Dio è con me” di Aguirre riecheggia il “Gott mit uns” dei nazisti, e questa è soltanto la più esplicita allusione di Herzog alla storia recente. In realtà tutto il film, carico di simboli trasparenti, è un’allegoria della civiltà spinta al genocidio dall’imperialismo colonialista benedetto dalla Chiesa e dalla voluttà di potenza che ha travolto nella paranoia ogni misericordia e senso del diritto, condotto a una spietatezza selvaggia dal suo fanatismo, Aguirre non è soltanto un antenato di Hitler: incarna, nel suo gelido sadismo, la barbarie sepolta nell’uomo di ieri, di oggi e di domani, tradotta nell’umiliazione dei deboli e nel furore distruttivo. In Aguirre il regista mostra lo scorrere del tempo in relazione allo scorrere dell’acqua, l’immobilità del tempo: una natura immersa in uno stato di coma prolungato, una terra che non si è ancora destata. È il delirio di un paese intero che si infiltra a poco a poco nell’animo degli uomini e che porta infine al loro delirio. Alla fine, non si tratta più di una conquista ma del delirio dell’imperialismo, del sogno insensato dell’oro e del potere.
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