Pianta arbustiva alta 6-20 metri; fusto rampicante con rametti e rami con radice avventizia adesiva; foglie alternate, sempreverdi, lucenti, 3-5 lobate su rametti non fioriferi, da ovato-lanceolate a romboidi su rametti fioriferi; fiori in ombrelle emisferiche, verdi, petali carnosi, bruni esternamente, verdi internamente; frutto come bacca blu scuro; semi nerastri o giallastri. Fiorisce da settembre a ottobre. Cresce in boschi umidi, boschi decidui con querce o faggi, su pareti e rocce (0-800 m). Comune, invadente. Tra gli antichi Egiziani, l'edera era sacra a Osiride. Nel Papiro Magico di Leida (III sec. d.C.), è riportata una ricetta per favorire il sonno, composta da radice di mandragora, giusquiamo egiziano ed edera, il tutto miscelato in vino. Dioscoride afferma che i corimbi o il succo delle fronde, se presi in eccesso, rendono il corpo languido e conturbano la mente. Secondo Plutarco (Latines quaestiones) l'edera contiene uno "spirito violento" che causa scoppi di delirio e convulsioni. Dà una "ebbrezza senza vino", una specie di possessione, con tendenza all'estasi. Le foglie addizionate al vino causano delirio e disorientamento, come il giusquiamo. Soprattutto, l'edera era in relazione con il culto di Dioniso, a cui era sacra; Dioscoride infatti, descrive tre specie di edera, una delle quali era nota come dionysos. Probabilmente, la furia delle Baccanti era causata da una bevanda a base di edera. Plinio il Vecchio riporta che, presa in pozione, in dose massiccia, provoca turbe mentali e che, internamente, confonde i sensi, purifica la testa e danneggia i sensi stessi, mentre esternamente alleggerisce il mal di testa. Bere il succo delle bacche protegge dall'ebbrezza. Probabilmente, il termine che nell'antichità indicava l'edera nascondeva in realtà un'altra pianta rampicante dall'azione psicoattiva, per esempio il vilucchio tricolore. Oppure, il termine "edera" era lo pseudonimo di una pianta psicoattiva oggi ignota. Nell'antichità, le foglie erano addizionate al vino e alla birra. Nella tradizione celtica, troviamo la Dea Madre Cerridwen. Il suo calderone conteneva la bevanda dell'ispirazione e della conoscenza. Chi l'avesse bevuta, sarebbe stato illuminato e avrebbe conosciuto presente, passato e futuro in un unico istante. Secondo alcune interpretazioni, la bevanda era costituita da orzo, ghiande, miele, sangue di toro, edera, alloro e veratro bianco. L'edera era anche un ingrediente della spongia somnifera. Nella fitoterapia moderna, si usa per pertosse, bronchite cronica, tracheite, laringite, gotta, reumatismi, litiasi biliare, mestruazioni insufficienti, leucorrea, ipertensione, cellulite, nevralgie, reumatismi, nevriti, postumi di flebiti (edemi circolatori), piaghe, scottature, calli, duroni e polipi al naso. Fitochimica: Contiene acido chlorogenico, inoside, la saponina a-ederina e l'alcaloide emetina. Effetti: Nella moderna letteratura tossicologica si riporta che le foglie ingerite causerebbero allucinazioni. Inoltre, le foglie essiccate e fumate sarebbero inebrianti.
Non conosciamo altra bellezza, altra festa che quella che distrugge l'abuso delle banalità quotidiane e dei sentimenti truccati, basterebbe un colpo di vento per trasformare questo delirio permesso nel più grande incendio che la storia conosca.
lunedì 28 giugno 2021
sabato 19 giugno 2021
ALICE NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE – Lewis Carrol
Scivoliamo sul fiume indolenti,
Mentre i remi, in mani inesperte,
Da braccia di bimbi sospinti,
Fingono invano di tracciare un corso
Tra i nostri sobbalzi esitanti
Di bracciata in bracciata. Ah le crudeli
Tre! Nel sognante dondolio
Dell'acqua, in un tempo cosí magico,
Richiedere il flebile brusio
Di una storia. Ma resistere non riesce
La voce sola al triplice ronzio
Delle bimbe. L'editto è: — Si incominci!
Cosí l'imperiosa Prima propone.
— Ma che ci sia nonsenso nella storia!
In tono fermo Seconda già dispone,
Mentre Terza con voce impudente
Interrompe ad ogni occasione.
Poi, trascinata dalla fantasia,
Ecco, la loro voce s'assottiglia,
Mentre seguon la bimba nel paese
Di nuova straordinaria meraviglia,
Dove parla cordiale con uccelli
Ed animali. Ed al vero si assomiglia,
E ci credono un poco; ma la favola
Già si esaurisce. Finisce la scorta
Delle idee. L'aedo stanco cerca invano
Di rimandar la storia ad altra volta.
— Il resto alla prossima puntata.
— Cioè adesso — Già si stringe la ritorta!
Bisogna andare avanti! Cosf crebbe
La mirabile storia di Alice,
Ogni episodio estorto col ricatto
E poi inserito nella sua cornice.
L'approdo serale della lieta ciurma
Coincide con la storia che finisce.
Ecco, Alice! Con gesto gentile
Ricevi questa bambinesca storia
Ed offrila all'altare dell'infanzia
Nel cerchio mistico della memoria
Come fiori che il pellegrino ha colto
Nella remota terra della gloria.
domenica 13 giugno 2021
(SITTIN’ON) THE DOCK OF THE BAY – Otis Redding
lunedì 7 giugno 2021
AU HASARD BALTHAZAR – Robert Bresson
Il mio film è partito da due concetti che si ricongiungono. In primo luogo: mostrare le tappe della vita di un asino uguali a quelle della vita di un uomo. L’infanzia: le carezze. L'età matura: il lavoro. Il talento o il genio: l'asino sapiente. Il periodo mistico che precede la morte: l'asino che trasporta le reliquie... In secondo luogo: questo asino passa tra le mani di vari padroni, che rappresentano ognuno un vizio umano, ubriachezza, pigrizia, orgoglio, ecc.; egli ne soffre in maniera differente, ma li vede con l'occhio di un giudice. (Robert Bresson)
L'asino simboleggia la vittima, il sacrificato («È un santo!» - gli esclama la madre di Marie). Ognuno dei suoi padroni incarna a sua volta un vizio dell'umanità. Per ciascuno di essi Balthazar dovrà essere oggetto di scherno e atroce vittima. La sua morte, con un carico d'oro, è il peccato, la maledizione stessa dell'uomo. Balthazar non parla. Soffre e niente più. Ma il suo occhio appare quello dell'eterno. Dei suoi aguzzini Balthazar deve pur pensare su qualcosa: e la sua presenza, il suo sguardo, la sua docilità assume anche la consapevolezza del giudice. V'è nel film una carica di umanità e di pietà che lo eleva al di sopra dei sentimenti comuni. È l’opera di un maestro, ed è ben per questo che gli manca la novità, la provocazione, il sangue impetuoso delle opere giovani. Vi si apprezza una saggezza e una nobiltà antiquaria.
Bresson è un artista credente, uno dei pochi validi rappresentanti di un cinema ispirato ai misteri della trascendenza. Ma il suo è un cristianesimo doloroso e inquieto, forse non immune da venature giansenistiche, pessimista al punto di sentire in maniera ossessiva il peso del peccato originale, di contrapporre al male connaturato al mondo degli uomini (salvo la breve stagione dell'infanzia) il più umile e paziente degli animali quale simbolo di una innocenza perduta, di evangelica sopportazione e mansuetudine. È azzardata l'ipotesi che nel calvario di Balthazar, nella sua pupilla mite ma giudicante si riflette una allegoria divina? La scelta dell'asino a questo proposito non è casuale; dalla capanna della Natività alla festa della domenica delle Palme, a tutta la tradizione tipica e medievale questo animale è un testimone frequente nella anedottica e nella simbologia cristiana. Un apologo di sapore evangelico, dunque? Forse, ma certo di un vangelo moderno, con gli occhi bene aperti sulla disincantata realtà del nostro tempo. Così colui che fu il poeta del dubbio e della Grazia nel Diario di un curato di campagna, sembra approdare alla constatazione di un universo desolato, tutto crudeltà e corruzione, dal quale la luce della Grazia si allontana, e comunque esigerà ancora una lunga e penosa ricerca da parte degli uomini di buona volontà. Coerente anche se nuovo nell'approfondimento dei suoi motivi, Bresson altrettanto coerente nella costrizione dell'opera e nei modi stilistici. Il suo è un cinema che gli sprovveduti, i fatui, i palati guasti dalle volgari droghe del film mercantile potranno accusare di povertà, di squallore e di monotonia. Ma Bresson è artista del cavare non dell'aggiungere. La sua nudità francescana, il suo dispregio per i lenocini spettacolari sono il risultato di una feroce disciplina, di una strettissima parsimonia espressiva, che chiude tutto il racconto entro la geometria di linee dure e rigide, ravvivata però dal lievito di una straordinaria intensità e spiritualità interiore. Si vedano come a «test» tutte le scene di violenza, di brutalità e di erotismo; si veda la sequenza di Maria spogliata e percossa, la sua nudità pura come un quadro impressionista, e si comprenderà cosa significhi la suprema sobrietà di un'arte dove tutto, dalla fotografia alla colonna sonora, obbedisce a una sola armonia di rapporti e di ritmi.