giovedì 25 giugno 2020

KLUVER HEINRICH

Lo psicologo  Heinrich Kluver nato nello SchleswigHolstein in Germania e naturalizzato cittadino americano nel 1934, undici anni dopo il suo arrivo in USA, è uno dei più importanti esponenti della Gestalt e allievo di Max Wertheimer. Professore associato di psicologia sperimentale presso l'Università di Chicago dal '35, continuò a occuparsi di percezione visiva e di psicofisiologia della percezione normale e patologica. Nel 1924 in un laboratorio dell'Università del Minnesota e con l'aiuto di un assistente, egli ingerì alcuni bottoni di peyote e documento, durante la fase di intossicazione, l'esperienza. Anche se si rese conto che l’utilità del peyote nello studio della visione eidetica era minima, scopri però, durante la sua esperienza, che la barriera tra mondo soggettivo e mondo oggettivo tendeva a assottigliarsi e arrivò alla conclusione che l'uso del peyote poteva essere utile per sopperire alla perdita di relazione soggetto-oggetto presente nei casi di schizofrenia. Comprese inoltre che gli allucinogeni potevano essere un importante strumento per lo studio delle abilita visive: colore, fenomeni spaziali, sogni, illusioni e allucinazioni. 
L’incontro col peyote gli aprì nuove prospettive di ricerca e una prima pubblicazione: Mescal Visions and Eidetic Visions (1926). Seguirà nel 1928 una più completa stesura, Mescal: The "Divine' Plant and its Psychological Effects che verrà poi ripubblicata nel 1966 dalla Chicago University con un nuovo titolo, Mescal and Mechanisms of Hallucinations. I suoi saggi sulla mescalina possono ancora oggi essere considerati i più importanti studi sperimentali sulle visioni psichedeliche, avendo egli introdotto per primo il concetto di "costanti formali" come linguaggio visivo delle allucinazioni. 
Le sue ricerche proseguirono poi sul comportamento dei primati non umani, sull'influenza delle lesioni ai lobi occipitali e sul metabolismo delle porfirine, fu insignito di numerosi riconoscimenti   accademici e onorificenze anche in settori di ricerca collaterali alla sua professione, neurobiologia, neuropsicofarmacologia, psichiatria. Morì ottantunenne a Oak Lawn in Illinois.

lunedì 15 giugno 2020

L'ACQUA

D. -  Cosa vedete?

R. – Acqua.
D. – Di che colore è quest’acqua?
R. – Acqua.
(Benjamin Péret addormentato) 

lunedì 8 giugno 2020

WALK ON THE WILD SIDE – Lou Reed

Walk  On The Wild Side descrive, con taglio quasi giornalistico, una New York cruda e difficile. "Take a walk on the wild side" (fai un giro sul lato selvaggio) è un invito, quello rivolto dai travestiti ai loro potenziali clienti. Ogni strofa scatta un' istantanea di un personaggio diverso, creato prendendo spunto dalla variegata "fauna" che qualche anno prima vivacizzava la famigerata Factory. “Little Joe” si riferisce a Joe Dallesandro, protagonista di molti film di Warhol, mentre "Sugar Plum Fairy" e il nomignolo dell'attore Joe Campbell. Lou Reed pone l'ascoltatore ai margini della società, all'interno di un mondo parallelo sotterraneo, eppure estremamente reale. Questo anche grazie alla forza grezza e ipnotica dell'accompagnamento musicale del brano così scarno e di grande impatto. Fantastico Herbie Flowers la doppia traccia di basso è opera sua, mentre l’assolo di sassofono è opera di  Ronnie  Ross, il musicista jazz  che aveva insegnato a David Bowie  a suonare il sax
"Holly è venuta da Miami, Florida
ha attraversato gli Stati Uniti in autostop
si è fatta le sopracciglia lungo la strada
si è depilata le gambe ed è diventata una lei
e ha detto, ehi tesoro
fatti un giro sul lato selvaggio

ha detto, ehi tesoro
fatti un giro sul lato selvaggio
Candy è arrivata da Long Island
nella stanza sul retro era carina con tutti
Ma non ha mai perso la testa
neanche quando succhiava cazzi
e ha detto, ehi tesoro
fatti un giro sul lato selvaggio
ha detto, ehi tesoro
fatti un giro sul lato selvaggio
e le ragazze di colore fanno
Doo, doo-doo, doo-doo, doo-doo-doo
doo, doo-doo, doo-doo, doo-doo-doo

Little Joe non l’ha mai dato via per niente
tutti dovevano pagare e pagare
Una botta qui e una botta là
New York City è il posto dove dicono
Ehi tesoro, fatti un giro nel lato selvaggio
ho detto, ehi Joe
fatti un giro sul lato selvaggio

Sugar Plum Fairy è venuto qui a battere
in cerca di cibo per l’anima e un posto per mangiare
è andato all’ Apollo
avresti dovuto vederlo come ci dava dentro
dicevano, ehi Sugar
fatti un giro sul lato selvaggio
ho detto, ehi tesoro
fatti un giro sul lato selvaggio
ok, huh

Jackie è strafatta di anfetamine
ha pensato di essere James Dean per un giorno
allora ho capito che le sarebbe calata la botta
il valium avrebbe potuto frenarla
disse, ehi tesoro
fatti un giro sul lato selvaggio
ho detto, ehi dolcezza
fatti un giro sul lato selvaggio
e le ragazze di colore dicono
Doo, doo-doo, doo-doo, doo-doo-doo"
Louis Alan Reed, inizia il decennio che lo consacrerà star internazionale uscendo dai Velvet Underground, nell'agosto del 1970. Dopo un periodo di riposo a casa dei genitori, a Long Island, il cantante viene ingaggiato dalla RCA e all’inizio del 1972 si reca a Londra col produttore Richard Robinson per registrare il disco d'esordio, che porta il suo nome, con musicisti locali (Steve Howe, Rick Wakeman, Caleb Quaye e altri). Ne risulta un album di transizione, che lascia indifferenti pubblico e critica. Nello stesso anno, con l'appoggio e la supervisione di David Bowie, Reed torna negli studi londinesi per preparare TRANSFORMER. Bowie, vecchio fan dei Velvet, consiglia a Lou di accentuare l'ambiguità sessuale nei testi e negli atteggiamenti pubblici, facendogli praticamente da guida nella scalata al successo. 

mercoledì 3 giugno 2020

LA RECTA PROVINCIA – Raúl Ruiz

C'era una volta un uomo. Viveva con sua madre e lavorava come guardiano di una grande villa in Cile. Un giorno l'uomo trovò un osso nel giardino. L'osso era provvisto di buchi – era un flauto. L'uomo prese il flauto e iniziò a suonare. La musica divenne una canzone, e la voce che cantava la canzone pregò l'uomo di cercare le altre ossa, sparse un po' ovunque, di un corpo. Così l'uomo e sua madre si misero in cammino e seguirono ogni sentiero – sia quelli di Dio che quelli del diavolo – cercando le ossa, così da poter ricostruire lo scheletro di quell'uomo e dargli una sepoltura cristiana. E videro quel che videro, e vissero quel che vissero. E sebbene non raccontassero mai a nessuno le loro storie, altri le raccontarono per loro.
La Recta provincia, nome misterioso che prende il nome dall'ancora più oscura consorteria, istituzione indipendente degli indigeni dell'arcipelago di Chiloé dove le tradizioni mapuche vennero alla fine dell'ottocento bollate come stregoneria ma, come si vede nel film sopravvivono nelle leggende, credenze, canti e proverbi fino ad oggi. Ruiz ha composto il poema della terra cilena, ha posato i piedi sul suolo patrio e si è nutrito di ricordi ancestrali per riconsegnarli al pubblico internazionale con la commozione e l'ironia che gli sono proprie. Un film tutto racchiuso nella cordigliera delle Ande dall'incipit alla scena finale: per la prima volta al cinema si vedono le Ande come realmente sono, con il loro colore violetto, barriera invalicabile a racchiudere nei suoi settemila chilometri di lunghezza, un paese a forma di spada affilata, separato dal resto del mondo. Percorso da un sogno che sogna se stesso, da un racconto che si racconta è una parabola vigile, gesto d'amore e avvertimento, poema e cantilena, quasi uscito da un medioevo oscuro portatore di leggende.
“Un ritorno al passato che mescola folklore e tradizione, e insieme ricapitola molti film della mia vita. E  un gioco di scatole cinesi: una parte è ispirata a Le mille e una notte, l altra alle teorie di fisica quantistica. Ma la base di partenza sono soprattutto le storie che ascoltavo da bambino: parlavano di pirati, licantropi, santi, vergini e diavoli. E anche di Gesù Cristo. Si tratta di un incrocio tra cultura romana e tradizione germanica. Compare un Gesù agnostico che, come narra la leggenda, non è mai asceso al cielo ma è rimasto in terra per provare ad aiutare gli uomini. Con una particolarità: nel frattempo è diventato vecchio e nessuno lo riconosce. Nel mio film ci sono due eresie ogni cinque minuti”.
Raúl Ruiz nasce il 25 luglio 1941 a Puerto Montt. Nel 1960 realizza il suo primo film, La Maleta, rimasto incompiuto. Fonda la sua prima casa di produzione nel 1968; nello stesso anno realizza Los tres tristes tigres, con cui vince il Pardo d'Oro al Festival di Locarno. Dopo il golpe dell'11 settembre 1973 deve lasciare il Cile e si rifugia in Francia dove realizza, tra gli altri, Les Trois couronnes du matelot (Le tre corone del marinaio, 1982) e La ville des pirates (1983). Seguono: Trois vies et une seule mort (Tre vite e una sola morte, 1995) e Généalogies d'un crime (Genealogia di un crimine, 1997), con cui vince l'Orso d'Argento a Berlino. Tra le opere più recenti ricordiamo Klimt (2006), con John Malkovich.