giovedì 23 aprile 2020

Due parole con Ursula K. Le Guin

L’anarchismo è sicuramente la teoria politica più idealista e, secondo me, più interessante.
Come farla vivere in un romanzo? Una cosa del genere non l’avevo mai fatta e si è trattato per me di un lungo e difficile compito da cui mi sono lasciata assorbire completamente. Non si può, per esempio, limitarsi a far scomparire lo Stato e poi lavarsene le mani dicendo: “È fatta!”, dando per scontato che la successiva generazione non debba far nulla, non debba impegnarsi a costruire qualcosa che impedisca allo Stato di risorgere…
La mia vita vera è nella carta stampata. Quando vado a una manifestazione tutto mi appare troppo teatrale. Durante la guerra del Vietnam, mi trovavo in Gran Bretagna e ho vissuto molto duramente il fatto di non poter fare niente, di non poter esprimere
pubblicamente il mio pensiero. Allora ho scritto un romanzo, Il mondo della foresta. Era un libro per il Vietnam… Sono in arrivo tempi duri, e avremo bisogno delle voci di scrittori capaci di vedere alternative al modo in cui viviamo oggi, capaci di vedere al di là di una società stretta dalla paura e dall’ossessione tecnologica, capaci di immaginare altri modi di essere e persino nuove fondamenta per la speranza. Abbiamo bisogno di scrittori in grado di ricordare la libertà.
Poeti, visionari: realisti di una realtà più grande.

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