venerdì 1 febbraio 2019

IL GRANDE DITTATORE di Charles S. Chaplin

Un barbiere ebreo, sosia del dittatore Hynkel, è perseguitato dalle camicie grigie: Mentre le truppe di Hynkel invadono l'Ostria e minacciano gli ebrei, il barbiere fugge e si imbatte nelle colonne militari dell'invasore. Viene scambiato per Hynkel e portato su un palco per pronunciare il discorso della vittoria. Il barbiere lancia un appello agli uomini, alla fratellanza, all'amore. 
Era proprio il momento in cui dovevo senz'altro lasciare da parte gli scherzi. Tutti avevano già riso fin troppo. Ed ora c'era proprio da ridere? Volevo costringerli ad ascoltare, volevo farli uscire dalla condizione dell'esecrabile contentezza del sé. Questa non è semplicemente una guerra. Il fascismo è la fine del nostro mondo... Che cos'altro potevo fare? Che cosa poteva fare un uomo agitato da tali sentimenti?
(Charles S. Chaplin, in Glauco Viazzi, "Chaplin e la critica", Laterza, Bari 1955)
Si pensi al grande discorso pacifistico-umanistico che Chaplin tiene a conclusione del Dittatore. Il suo significato potrebbe certo essere espresso più in breve. Ma la sua durata, il tono ecc., sono condizionati dalla fondamentale atmosfera affettiva del film: come risonanza umana dell'incubo che abbiamo vissuto nella guerra e nell'hitlerismo.
(Gyòrgy Lukàcs, "Estetica", Einaudi, Torino 1970) 

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