Roma, Berlino, Varsavia, Parigi. E' chiaro, gli studenti si alzano tardi e sono coraggiosi. Ma questo non spiega tutto, soprattutto non spiega perché gli studenti insorgono e trascinano con sé molti professori. Noi respingiamo questa società di repressione. Noi non abbiamo voglia di far funzionare meglio questa università obbligata, oggi, a formare non solo i capi, ma anche i capetti e i piantoni necessari alle moderne società capitaliste: da qui d'altronde nasce una circostanza di cui profittiamo: il gran numero di studenti e l'importanza per tutta la società del problema dell'università.
L'università è veramente universale solo per l'organizzazione esplicita o implicita, della repressione. Quali mezzi sono dati agli studenti per modificare gli dcopi degli insegnamenti e il modo in cui si sviluppano le scienze "esatte" o "umane"? Nessuno, certo perché questa società in cui ogni volta che si consuma si è un po' meglio venduti, è una società in cui non si ha scelta, si ha solo il diretto di essere diretti: a scuola, in fabbrica, nei partiti, nelle elezioni. Quando non c'è lavoro per i giovani, è l'esercito che fa le assunzioni.
Il gioco politico in cui paternalisticamente ci aspetterebbe uno strapuntino è solo il riflesso di questa situazione. Mai vi si esprime il rifiuto. Tutte le forze politiche hanno accettato una costituzione che regola una organizzazione poliziesca della nazione diretta a partire da un palazzotto del secondo impero. A questo gioco noi rifiutiamo uno strapuntino, e siamo chiari: rifiutiamo anche le poltrone...
(Editoriale tratto da ACTION n° 2 13 maggio 1968)
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