mercoledì 9 maggio 2018

I DANNATI DELLA TERRA di Valentino Orsini

Un giovane regista africano, Abramo Malonga, lascia, alla sua morte, il suo primo e ultimo film, incompiuto, in eredità al regista italiano Fausto Morelli. Dopo varie perplessità e dopo una lunga crisi, dovuta anche a motivi personali, Fausto, aiutato dalla vedova dell'amico africano, riprende il film di Abramo e lo porta a termine.

Ho riscoperto ad un altro livello, ben più complesso, quello che anni fa chiamavo "il sentimento tragico della vita". Con questa variante, però. Non vedendo più nel rapporto uomo-natura, o in quello uomo-esistenza, bensì nel rapporto dell'uomo con la propria storia. Si vive nella tragedia perché, come dice giustamente Sartre, si è "vittime e carnefici" al tempo stesso. Vittime in quanto subiamo il potere altrui senza contestarlo; carnefici in quanto permettiamo al potere di esercitare violenza nei confronti dei nostri simili. La tragedia così si ha non per azione, ma per mancanza della nostra azione. Il film parte da qui, e su questi temi tenta di articolare un discorso. La coscienza dello scacco storico, della crisi, la volontà di trovare una via di uscita. Non proponendo, naturalmente, di andare a rinsanguare le file dei movimenti rivoluzionari in atto, ma di vedere, analizzare, capire quale deve essere la battaglia che ogni uomo, ogni gruppo, ogni partito rivoluzionario debbono sostenere nell'ambito del proprio paese e pertanto nella propria storia specifica. La coscienza che il linguaggio, questo "dio affogato nel nostro sangue", fa parte di un patrimonio che riceviamo da una cultura non nostra, deve renderci vigili, perché il linguaggio ha la forza di reintegrare ogni nostra attitudine di contestazione al sistema
(Valentino Orsini, in "Cinema Nuovo" n° 189, settembre ottobre 1967)

L'alternativa violenza-nonviolenza è una alternativa borghese, non rivoluzionaria. La borghesia combatte e rifiuta la violenza solo quando questa pone in questione il sistema. Per queste ragioni noi poniamo l'accento sull'immagine celebrativa della violenza. Abbiamo cercato di rappresentare il gesto della violenza, l'attimo in cui la esercita la esegue su chi la subisce, demistificandolo. Decodificando i segni borghesi della violenza (tortura, sangue, morte natura insomma), cercheremo di mostrare come la violenza "manifesta" sia una semplice conseguenza di quella "nascosta", la cui logica è invece tutta racchiusa nel capitalismo.
(Alberto Filippi, in "Cinema Nuovo", n° 191, gennaio febbraio 1968) 

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