giovedì 4 gennaio 2018

GERTRUD di Carl Theodor Dreyer

Gertrud, moglie dell'avvocato Kanning, un uomo teso unicamente a scalare le vette delle alte gerarchie politiche, vive nella speranza di ricevere la controparte di un amore che ella profonde a piene mani: dal musicista Jannson ottiene solo bugie e meschinità; da Gabriel Lidman, un poeta amato nella giovinezza, viene rifiutata in quanto intralcio al proprio lavoro, Ormai vecchia, per sua libera scelta allontanatasi da tutti, Gertrud dinnanzi all'amico Axel Nygreen, ribadirà il proprio concetto dell'amore: "Amor omnia".

Quello che ho cercato in Gertrud è di far seguire le persone dalla cinepresa. Io stesso ho chiamato una volta queste azioni "primi piani scorrevoli". Ma abbiamo anche fatto in modo che questo non diventasse una cosa rigida e fredda, ma fosse una passeggiata. L'intenzione era di avere per tutto il tempo le facce degli attori in campo, in modo da poter leggere anche i loro pensieri, di poter leggere cioè i pensieri dell'uno mentre l'altro sta parlando. Perché la ripresa di un dialogo deve sottostare alla regola che le persone devono venir presentate di profilo, oppure uno dei due deve essere visto di schiena? In tal modo l'insieme delle persone può facilmente perdere di significato. Nella ripresa del dialogo entrambe le facce sono importanti.
(Carl Theodor Dreyer, "Cinque film", Einaudi, Torino 1967)

E' ancora diffuso l'atteggiamento di condanna per quei film che tradiscono la loro origine teatrale. Un esempio recente: l'aperta ostilità con la quale è stato accolto GERTRUD, l'ultimo film di Dreyer, che a me sembra un piccolo capolavoro. Esso non soltanto segue una commedia fine secolo dove i personaggi conversano a lungo con un certo sussiego, ma è filmato quasi interamente in campo medio. Una analisi più attenta rivelerebbe quanto è complesso il suo trattamento dello spazio.
(Susan Sontag, "Contro l'interpretazione", Mondadori, Milano 1967)


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