Il passaggio dalla speranza alla certezza, dalla coscienza alla esperienza compiutamente vissuta, dall'ignoranza alla vera conoscenza è dinnanzi a noi la transizione necessaria.
La certezza deve liberarsi da forme rivoluzionarie insufficienti trattenute ancora nelle gabbie dell'ideologia, la certezza di una vita vissuta interamente e compiutamente determinerà il naturale sovvertimento dello stato di cose esistente.
Saremo consapevoli sempre di più di nuovi principi traendoli dai principi stessi del mondo. Lotte di uomini hanno strappato ai sistemi di potere il segreto di un mondo finalmente possibile, hanno fatto propria la coscienza di una speranza il sogno di una cosa. Si tratta oggi di infrangere l’ultimo diaframma, di fare proprio il mondo stesso di prendere finalmente possesso della nostra vita.
Noi non temiamo le rovine, erediteremo la terra, questo è certo. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi illuminato dal fuoco che è in ciascuno di noi e questo fuoco ogni momento che passa cresce.
Non conosciamo altra bellezza, altra festa che quella che distrugge l'abuso delle banalità quotidiane e dei sentimenti truccati, basterebbe un colpo di vento per trasformare questo delirio permesso nel più grande incendio che la storia conosca.
lunedì 30 gennaio 2017
lunedì 23 gennaio 2017
Tomorrow never Knows The Beatles
Evidentemente intenzionato a compiere un importante viaggio di scoperta di sé, Lennon assunse LSD per la terza volta nel gennaio del 1966, seguì le istruzioni fornite in The Psychedelic Experience, leggendone le parafrasi del Libro Tibetano dei morti a un registratore e riascoltandole mentre la droga faceva effetto. Il risultato fu spettacolare, e Lennon si affrettò a trasformarlo in canzone, prendendo molte delle frasi del testo direttamente dal libro di Leary e Alpert; prima di tutto l’estatica invocazione dell’ipotetica realtà oltre le apparenze: “the Void”, il Vuoto. Col titolo The Void, la canzone fu la prima ad essere registrata per Revolver. Col titolo definitivo, Tomorrow never Knows, presentava l’LSD e la rivoluzione psichedelica di Leary ai giovani del mondo occidentale, diventando uno dei dischi più socialmente influenti mai realizzati dai Beatles.
Il panorama sonoro di Tomorrow never Knows è un’attraente miscela di anarchia e sgomento, con i suoi tape-loop che si incrociano in uno schema casuale di cerchi che si scontrano. Anche la registrazione della voce di Lennon avvenne con modalità senza precedenti. Nella prima metà della canzone, la voce è raddoppiata con il double-tracking automatico. Per la seconda metà, Lennon voleva che la sua voce suonasse come quelle del Dalai Lama e di migliaia di monaci tibetani salmodianti sulla vetta di una montagna. George Martin risolse il problema facendo passare la registrazione della voce attraverso l’altoparlante rotativo dell’apparecchio Leslie di un organo Hammond, con un procedimento particolare che richiedeva un inserimento fisico nella circuitazione.
Deponi tutte le tue preoccupazioni, abbandonati al vuoto,
è splendore, è splendore.
Possa tu vedere il significato dell'al di qua,
ti sta parlando, tista parlando.
L'amore è tutto, l'amore è tutti,
è sapere, è sapere.
Quando l'ignoranza e la fretta possono piangere la morte,
è credere, è credere.
Ascolta dunque il colore dei tuoi sogni,
non è vivere, non è vivere.
Oppure gioca la gara della vita sino alla fine
del principio, del principio.
Del principio, del principio.
Il panorama sonoro di Tomorrow never Knows è un’attraente miscela di anarchia e sgomento, con i suoi tape-loop che si incrociano in uno schema casuale di cerchi che si scontrano. Anche la registrazione della voce di Lennon avvenne con modalità senza precedenti. Nella prima metà della canzone, la voce è raddoppiata con il double-tracking automatico. Per la seconda metà, Lennon voleva che la sua voce suonasse come quelle del Dalai Lama e di migliaia di monaci tibetani salmodianti sulla vetta di una montagna. George Martin risolse il problema facendo passare la registrazione della voce attraverso l’altoparlante rotativo dell’apparecchio Leslie di un organo Hammond, con un procedimento particolare che richiedeva un inserimento fisico nella circuitazione.
Smetti di pensare, rilassati e lasciati portare dalla corrente,
non è morire, non è morire.Deponi tutte le tue preoccupazioni, abbandonati al vuoto,
è splendore, è splendore.
Possa tu vedere il significato dell'al di qua,
ti sta parlando, tista parlando.
L'amore è tutto, l'amore è tutti,
è sapere, è sapere.
Quando l'ignoranza e la fretta possono piangere la morte,
è credere, è credere.
Ascolta dunque il colore dei tuoi sogni,
non è vivere, non è vivere.
Oppure gioca la gara della vita sino alla fine
del principio, del principio.
Del principio, del principio.
lunedì 16 gennaio 2017
Avete mai portato nessuno in canna?
La bicicletta è da sempre uno strumento fondamentale di iniziazione e di libertà, un modello insuperato di veicolo socialmente responsabile, egualitario, silenzioso e sensuale.
Pedalare è sinonimo di andare via, affrancarsi dalla condizione di bipede, infrangere la legge di gravità ed entrare nel fluttuante e ritmico mondo della tubolarità. E pura magia, la meraviglia di sentire il corpo entrare in automatica, dopo aver superato la goffaggine iniziale.
E' un atto programmato nel nostro DNA come nuotare o fare l'amore che ci aiuta a comprendere che il vero equilibrio è insito nel movimento e non nella stasi. Un atto gratuito, un'iniziazione in piena regola, con tanto di prove e perdita di sangue (le ginocchia sbucciate e le mani scartavetrate). La partecipe attenzione di un anziano che risveglia nel neofita una rinnovata confidenza con il proprio sistema neuromuscolare. Un rito accompagnato dal mantra cigolante della catena che, pedalando, viene sgranata e fatta ruotare come un rosario. Andare in bicicletta non implica alcuna stupida esibizione di potenza, non riduce brutalmente lo spazio vitale di chi ci vive accanto, non ha ricadute negative sull'ambiente, richiede solo ottimismo e sfrontato coraggio (dare le spalle alle automobili è un vero atto di fede affrontato dal nostro guerriero interiore). I popoli precolombiani usavano la ruota per i giocattoli dei loro bambini, i tibetani come mezzo di propulsione per le loro preghiere, ma la ignoravano per il trasporto di cose o di persone; la bicicletta è la splendida sintesi dei possibili usi della ruota: è insieme gioco, trasporto e preghiera.
Il magnifico scheletro esterno che permette alla razza umana di superare di gran carriera i limiti imposti dall'evoluzione biologica, cantato da Alfred Jarry, padre della patafisica e terrore delle strade della Belle Epoque.
Pedalare è sinonimo di andare via, affrancarsi dalla condizione di bipede, infrangere la legge di gravità ed entrare nel fluttuante e ritmico mondo della tubolarità. E pura magia, la meraviglia di sentire il corpo entrare in automatica, dopo aver superato la goffaggine iniziale.
E' un atto programmato nel nostro DNA come nuotare o fare l'amore che ci aiuta a comprendere che il vero equilibrio è insito nel movimento e non nella stasi. Un atto gratuito, un'iniziazione in piena regola, con tanto di prove e perdita di sangue (le ginocchia sbucciate e le mani scartavetrate). La partecipe attenzione di un anziano che risveglia nel neofita una rinnovata confidenza con il proprio sistema neuromuscolare. Un rito accompagnato dal mantra cigolante della catena che, pedalando, viene sgranata e fatta ruotare come un rosario. Andare in bicicletta non implica alcuna stupida esibizione di potenza, non riduce brutalmente lo spazio vitale di chi ci vive accanto, non ha ricadute negative sull'ambiente, richiede solo ottimismo e sfrontato coraggio (dare le spalle alle automobili è un vero atto di fede affrontato dal nostro guerriero interiore). I popoli precolombiani usavano la ruota per i giocattoli dei loro bambini, i tibetani come mezzo di propulsione per le loro preghiere, ma la ignoravano per il trasporto di cose o di persone; la bicicletta è la splendida sintesi dei possibili usi della ruota: è insieme gioco, trasporto e preghiera.
Il magnifico scheletro esterno che permette alla razza umana di superare di gran carriera i limiti imposti dall'evoluzione biologica, cantato da Alfred Jarry, padre della patafisica e terrore delle strade della Belle Epoque.
lunedì 9 gennaio 2017
ANDREJ RUBLJOV di Andrej Tarkovskij
Il monaco Andrej Rubljov, maestro della pittura russa del XV sexolo, discute con il vecchio pittore Teofano il Greco sulla funzione dell'arte: mentre questo vede nell'uomo il peccato e in Dio la vendetta e il castigo, egli crede in un'arte che aiuti l'uomo che lo consoli nelle tristezze e nelle difficoltà della vita. Le terribili sciagure che si abbattono sulla Russia tolgono ad Andrej la fiducia nel suo lavoro; soltanto il felice esito della costruzione di una campana, a cui ha contribuito tutto il popolo sotto la direzione di un ragazzo, fa ritrovare all'artista una valida ragione per continuare la sua opera.
Sono convinto che non può nascere niente di serio senza la base della tradizione, non si può abbandonare la propria pelle russa, non si sfugge dai luoghi ce ti tengono attaccato al tuo paese, da quello che è stato fatto nel passato dal tuo cinema e dalla tua arte, e dunque dalla tua terra. Di tutto questo non ci si può liberare. Quello che mi interessa soprattutto è la terra. Sono sempre stato affascinato dal processo della germinazione e dalla crescita di tutto ciò
che nasce dalla terra, alberi, erba ... E tutto questo tende verso il cielo. E' questa la ragione per cui nel mio film il cielo non figura cge in forma di spazio verso cui tende tutto ciò che irrompe dalla terra. In se stesso il cielo per me non ha alcun significato simbolico. Per me il cielo è vuoto. Soltanto il suo influsso sulla terra mi interessa. In generale io amo la terra, io non vedo il fango, io non vedo che la terra e l'acqua, la poltiglia da cui nascono le cose. Io amo la terra, amo la mia terra.
(Andrej Tarkovskij, in "Positif" n. 109, ottobre 1969)
Andrej Tarkovskij è un lirico, un poeta. Di qui la sua interpretazione perfettamente individuale (ma non individualistica) di alcune pagine di storia russa (Andrej Rubljov) e di diverse opere letterarie (L'infanzia di Ivan, Solaris). Al tempo stesso nei film di Andrej Tarkovskij si avverte chiaramente un rapporto drammatico tra la ricchezza delle immagini e il carattere elementare, quasi povero del "significato concettuale" del film.
(V. Sitova, in "Rassegna Sovietica" n. 3, maggio-giugno 1973)
Sono convinto che non può nascere niente di serio senza la base della tradizione, non si può abbandonare la propria pelle russa, non si sfugge dai luoghi ce ti tengono attaccato al tuo paese, da quello che è stato fatto nel passato dal tuo cinema e dalla tua arte, e dunque dalla tua terra. Di tutto questo non ci si può liberare. Quello che mi interessa soprattutto è la terra. Sono sempre stato affascinato dal processo della germinazione e dalla crescita di tutto ciò
che nasce dalla terra, alberi, erba ... E tutto questo tende verso il cielo. E' questa la ragione per cui nel mio film il cielo non figura cge in forma di spazio verso cui tende tutto ciò che irrompe dalla terra. In se stesso il cielo per me non ha alcun significato simbolico. Per me il cielo è vuoto. Soltanto il suo influsso sulla terra mi interessa. In generale io amo la terra, io non vedo il fango, io non vedo che la terra e l'acqua, la poltiglia da cui nascono le cose. Io amo la terra, amo la mia terra.
(Andrej Tarkovskij, in "Positif" n. 109, ottobre 1969)
Andrej Tarkovskij è un lirico, un poeta. Di qui la sua interpretazione perfettamente individuale (ma non individualistica) di alcune pagine di storia russa (Andrej Rubljov) e di diverse opere letterarie (L'infanzia di Ivan, Solaris). Al tempo stesso nei film di Andrej Tarkovskij si avverte chiaramente un rapporto drammatico tra la ricchezza delle immagini e il carattere elementare, quasi povero del "significato concettuale" del film.
(V. Sitova, in "Rassegna Sovietica" n. 3, maggio-giugno 1973)
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