diramarono in una serata dell’estate 1978: uno dei quartieri più popolari, quello di Portobello, era illuminato dalle vampate delle bottiglie incendiarie. Era il carnevale caraibico di Notting Hill, celebrato nel quartiere londinese con la maggior presenza di immigrati di colore, che si concludeva violentemente. Il primo di una lunga serie di carnevali violenti. I motivi delle sommosse non erano soltanto razziali. Emarginazione, disoccupazione, mancanza di alloggi e pessima qualità di vita avevano da tempo affratellato i giovani della Giamaica e della Martinica con una vivace generazione d’inglesi, ormai distante dalle conquiste dell’età dei Beatles, rodata nel mito della violenza punk, alla ricerca di qualcosa capace di sopire le delusioni, lenire le ferite.
Lo ska è scoperta imprevedibile. Nel panorama della musica commercializzata giamaicana è insieme radice e coprotagonista del reggae. In essa si racchiudono i pochi elementi di una musicalità elementare: la preponderanza dell’elemento ritmico, il tempo accelerato in levare, l’accostamento negli arrangiamenti degli ottoni ai primi temi del beat britannico.
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