Un tempo sorrideva silenziosa
una piccola valle dove più nessuno abitava:
la gente era partita per le guerre,
affidando ai miti occhi delle stelle, a notte,
dalle alti torre azzurre, la custodia
di quei fiori, sopra i quali, per tutto il giorno,
pigramente indugiava la rossa luce del sole.
Ora invece al viandante che di lì passasse
si mostrerebbe il il triste stato di questa valle.
Nulla è ora lì che stia senza un moto:
nulla, tranne l'aria che immobile sovrasta
su quella magica solitudine.
Oh, non un soffio più sommuove quelle fronde,
che ora palpitano come gelide onde
d'intorno alle nebbiose, lontane Ebridi!
Oh, non un vento sospinge quelle nuvole,
che con gravezza si spostano nel cielo inquieto,
dal chiaro mattino fino a sera,
sui fitti campi delle viole non colte -
miriadi d'occhi umani d'ogni foggia -
e sui gigli che ondeggiano e gemono
sopra una tomba che non ha nome!
Ondeggiano: dalle cime profumate
rugiade cadono in gocciole immortali.
Gemono: dagli steli delicati
discendono gemme d'eterne lacrime.
Non conosciamo altra bellezza, altra festa che quella che distrugge l'abuso delle banalità quotidiane e dei sentimenti truccati, basterebbe un colpo di vento per trasformare questo delirio permesso nel più grande incendio che la storia conosca.
venerdì 23 febbraio 2018
sabato 17 febbraio 2018
Blind Willie Mc Tell
Mc Tell, che veniva probabilmente da Statesboro, in Georgia, lo si poteva sentire in diversi periodi per le strade di Atlanta, fino ai primi Anni Sessanta, e il suo repertorio musicale, straordinariamente vasto, andava dallo slow blues appassionato ai rags velocissimi sulla dodici corde, alle canzoni da ministrel show, fino a brani di ispirazione religiosa e perfino musica "hillbilly" bianca. Era un suonatore girovago, e incise in modo discontinuo dal 1927 al 1956, scomparendo a volte per poi spuntar fuori di nuovo, sempre mantenendo l'indipendenza orgogliosa del professionista. Rompeva i contratti discografici con la stessa facilità con cui passava da uno stile all'altro, usando pseudonimi come Red Hot Willie, Georgia Bill, Blind Sammy, Peg and Whistle Red, Barrelhouse Sammy e naturalmente il suo vero nome. Fece anche delle incisioni per l'archivio folk della Library of Copngress, che John Lomax gli pagò dieci dollari.
Willie Mc Tell cantava con una voce chiara, melodiosa e duttile ogni tanto un po' nasale, il che dava un po' di mordente ai suoi blues. Il suo stile sulla dodici corde era pieno di bassi spostati e il suo slider scorreva con la leggerezza della sua voce, rispondendo al cantato o allargando il feeling. I dischi che realizzò negli Anni Venti sono tra i più notevoli, fra quelli fatti ad Atlanta. il suo Statesboro blues è di una semplicità tranquilla, quasi struggente:
Wake up, mama, turn your lamp down low,
Wake up, mama, turn your lamp down low,
Have you got the nerve to drive Papa Mc Tell from your do?
My mother died and left me reckless, my daddy died and left me wild,
Mother died and left me reckless, daddy died and left me wild,
No, I'm not good lookin' but I'm some sweet woman's angel child.
(Svegliati mamma, accendi la lampada laggiù, / svegliati mamma, accendi la lampada laggiù, / ce l'hai il coraggio di sbattere fuori Papà Mc Tell?
Mia madre è morta e mi ha lasciato disgraziato, mio padre è morto e mi ha lasciato, / mia madre è morta e mi ha lasciato disgraziato, mio padre è morto e mi ha lasciato, / No, non sono bello, ma sono l'angioletto di una donna dolce)
Willie Mc Tell cantava con una voce chiara, melodiosa e duttile ogni tanto un po' nasale, il che dava un po' di mordente ai suoi blues. Il suo stile sulla dodici corde era pieno di bassi spostati e il suo slider scorreva con la leggerezza della sua voce, rispondendo al cantato o allargando il feeling. I dischi che realizzò negli Anni Venti sono tra i più notevoli, fra quelli fatti ad Atlanta. il suo Statesboro blues è di una semplicità tranquilla, quasi struggente:
Wake up, mama, turn your lamp down low,
Wake up, mama, turn your lamp down low,
Have you got the nerve to drive Papa Mc Tell from your do?
My mother died and left me reckless, my daddy died and left me wild,
Mother died and left me reckless, daddy died and left me wild,
No, I'm not good lookin' but I'm some sweet woman's angel child.
(Svegliati mamma, accendi la lampada laggiù, / svegliati mamma, accendi la lampada laggiù, / ce l'hai il coraggio di sbattere fuori Papà Mc Tell?
Mia madre è morta e mi ha lasciato disgraziato, mio padre è morto e mi ha lasciato, / mia madre è morta e mi ha lasciato disgraziato, mio padre è morto e mi ha lasciato, / No, non sono bello, ma sono l'angioletto di una donna dolce)
sabato 10 febbraio 2018
MANICOMIO
Il manicomio è spazio per l’esclusione e quindi esclude da sé ogni luogo perché nello spazio è consentito il controllo mentre nel luogo fluisce la vita. Il potere spartisce tutto il territorio in spazi: spazi-città, spazi-fabbrica, spazi-scuola, spazi-caserma, spazi-carcere, spazi-divertimento, spazi-famiglia, spazi-malattia, spazi follia, ne indica le regole, ne contrasta le trasgressioni.
Ciò che dobbiamo leggere attraverso le immagini di questi spazi manicomiali, non è solo la sofferenza di chi li abita, ma soprattutto la violenza di chi li ha concepiti; dobbiamo leggere l’asservimento della psichiatria all’ideologia del controllo sociale, ma anche tutti gli asservimenti di ogni sapere che più o meno consapevolmente aderisca al progetto evidente o miniaturizzato del controllo.
I mezzi di contenzione fisica accompagnano con lugubre evoluzione tutta la storia della psichiatria. Ne sono indispensabile strumento. Probabilmente è vero il contrario: la psichiatria è strumento della contenzione.
Non bisogna mai dimenticare che la logica della istituzione totale non si copre con una moquette, ma si cancella, cancellando l’istituzione stessa.
Murato dentro lo spazio-città c’è lo spazio-manicomio, e dentro di esso nuovi spazi: viali, cameroni, soggiorni, gabinetti, gabinetti medici, cucine, uffici, corridoi. Concentriche partizioni che ove troppo vaste annientino e ove troppo anguste incarcerino.
Ciò che dobbiamo leggere attraverso le immagini di questi spazi manicomiali, non è solo la sofferenza di chi li abita, ma soprattutto la violenza di chi li ha concepiti; dobbiamo leggere l’asservimento della psichiatria all’ideologia del controllo sociale, ma anche tutti gli asservimenti di ogni sapere che più o meno consapevolmente aderisca al progetto evidente o miniaturizzato del controllo.
I mezzi di contenzione fisica accompagnano con lugubre evoluzione tutta la storia della psichiatria. Ne sono indispensabile strumento. Probabilmente è vero il contrario: la psichiatria è strumento della contenzione.
Non bisogna mai dimenticare che la logica della istituzione totale non si copre con una moquette, ma si cancella, cancellando l’istituzione stessa.
Murato dentro lo spazio-città c’è lo spazio-manicomio, e dentro di esso nuovi spazi: viali, cameroni, soggiorni, gabinetti, gabinetti medici, cucine, uffici, corridoi. Concentriche partizioni che ove troppo vaste annientino e ove troppo anguste incarcerino.
domenica 4 febbraio 2018
FILM di Alan Schneider
Nella poetica di Samuel Beckett quest'opera ha un valore emblematico. A cominciare dal titolo: Film, cioè una pellicola "impressionata" che scorre, cioè, per astrazione, "scorrimento" - quanto indica uno svolgersi verso la fine; un atto, dunque, che viene fissato per sempre e che, nello stesso tempo, è provvisorio perché si nega nel suo celere fluire verso la morte. Cioè, in una parola, "scivolamento": concetto che non solo esprime un moto fisico ma anche il procedere verso la degradazione, la distruzione. Tutta la poetica di Beckett gravita attorno al concetto della degradazione, a quanto svolgersi dell'esistenza che perde significato man mano che si avvicina alla morte. E di questo appunto, Film vuol essere la grande metafora.
Il film è completamente privo di dialogo, a eccezione del "Sssh" nella prima parte. Atmosfera del film: comica irreale. Keaton dovrebbe spingere al riso con il suo modo di muoversi. Irrealtà nella scena della strada.
(Samuel Beckett, "Film", Faber and Faber, London 1969)
Ma questa attesa della morte, questa miseria fisica che si aggrava. Tutta questa putredine progressiva del presente costituisce malgrado tutto un avvenire. Allora la paura di "significare qualcosa" si giustifica perfettamente: attraverso questa coscienza di uno svolgimento tragico, il mondo ha recuperato tutto in una volta tutto il suo significato.
(Alaine Robbe-Grillet, "Una vita per il romanzo futuro", Rusconi e Paolazzi, Milano 1961)
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