Nato a Philadelfia il 27 agosto 1890, nel 1911 si trasferisce a New York dove frequenta una scuola d’arte, apprendendovi le varie tecniche grafiche. Se frequenta a disagio questa scuola, disprezzando l’aspetto accademico dell’arte, ben altra sintonia trova invece con il Ferrer Center di New York, dove comincia a frequentare i corsi serali entrando in contatto con personaggi come Emma Goldman e Alexander Berkman. Del corpo insegnante del Ferrer Center fanno parte a quel tempo, oltre al filosofo Will Durant, pittori già affermati come Robert Henri e George Bellows. Sono anarchici anche molti degli artisti che Man Ray prende a frequentare: Samuel Halpert, Abraham Walkowitz e Alfred Stieglitz, titolare della galleria «291» ed editore del periodico omonimo e di «Camera Work». Lo spirito libertario della scuola e le idee di Francisco Ferrer esercitano una grande influenza sul diciannovenne Man Ray. Come aveva affermato lo stesso Ferrer nel 1909: «Abbiamo bisogno di uomini capaci di svilupparsi incessantemente... di rinnovarsi; di uomini la cui indipendenza intellettuale sarà la loro massima forza... di uomini che aspirino a vivere in una vita una molteplicità di vite». In queste frasi sembra descritta la vita di Man Ray: le sue vite molteplici sono
quelle di disegnatore, di pittore, di creatore di oggetti, di fotografo, di autore di film e di filosofo. Al Ferrer Center tiene, nel dicembre 1912, la sua prima mostra. Nel febbraio 1913 conosce Adon Lacroix, moglie divorziata della scultore anarchico Adolf Wolff, che sposa l’anno seguente.
Nell’agosto 1914 realizza la copertina di «Mother Earth» [vol.IX, n. 6], mensile anarchico pubblicato da Emma Goldman. Nel 1915 pubblica A Book of Diverse Writing, testimonianze del suo lavoro di disegnatore, e denuncia la tragicità della guerra nel suo dipinto AD MCMXIV. Nel 1921 si trasferisce a Parigi, dove Marcel Duchamp lo presenta ai dadaisti e ai futuri surrealisti, per i quali disegna nel 1922 le copertine di «Littérature». Rimane in Francia sino alla seconda guerra mondiale e nel 1940 torna a New York. Nel secondo dopoguerra la sua fama è ormai consolidata e nel 1961 riceve la medaglia d’oro per la fotografia alla biennale di Venezia. Muore a Parigi il 18 novembre 1976.
Si tratta di un genere monotipico originario del Messico e del sud-est degli Stati Uniti e rappresenta il "gigante" in assoluto fra le cactacee: la sua altezza infatti può raggiungere anche i 20 metri, con una vita che supera anche i 200 anni. Nativo dell'Arizona. del sudest della California e del deserto messicano di Sonora, pur non essendo un enteogeno tradizionale, contiene alcaloidi psicoattivi.
Conosciuto popolarmente con il termine di saguaro, questo cactus è stato impiegato per secoli dagli Indiani per una varietà infinita di scopi. I Papago ne raccoglievano i frutti per farne una bevanda fermentata, utilizzata nella cerimonia della pioggia; questa avveniva in luglio o nei primi giorni di agosto e celebrava altresì il nuovo anno. Gli effetti della bevanda inebriante duravano una notte e un giorno.
Gli alcaloidi di questo cactus furono studiati per la prima volta nel 1928 e portarono all'isolamento della carnegina. Studi più recenti hanno evidenziato la presenza di altri tre alcaloidi tetraidroisoquinolici: la salsolidina. la gigantina e l'arizonina.
La parola è solo il pensiero divenuto sonoro, l’azione il pensiero divenuto visibile. Il nostro ideale comporta dunque per ognuno la piena e assoluta libertà di esprimere il proprio pensiero.
Va da sé che questa assoluta libertà di pensiero, di parola e di azione è incompatibile con la conservazione di quelle istituzioni che pongono un limite alla libertà di pensiero, che fissano la parola sotto forma di impegno definitivo, irrevocabile, e pretendono anche di costringere il lavoratore a incrociare le braccia, a morire d’inedia per ordine di un padrone.
I conservatori non si sono affatto sbagliati quando hanno chiamato i rivoluzionari in modo generico «nemici della religione, della famiglia e della proprietà». Sì, gli anarchici respingono l’autorità del dogma e l’intervento del soprannaturale nella vita umana; sì, vogliono l’abolizione del mercimonio matrimoniale, vogliono le unioni libere che si reggono solo sul reciproco affetto; sì, vogliono eliminare l’accaparramento della terra e dei suoi prodotti per restituirli a tutti.
Uno scout dell'esercito americano, Tom Jeffords, tenta di propria iniziativa di fare il mediatore di pace tra gli Apaches di Cochise e le istituzioni colonizzatrici dei bianchi, rappresentate dal generale Howard. Alla fine, si giunge all'accordo e alla conciliazione fra le due parti, ma rimane uccisa l'indiana Sonseeahray, moglie di Jeffords.
Lavorai per sfruttare nel modo migliore il soggetto, benché non avessi ancora completato la sceneggiatura. Avevamo qualcosa da dire con questo film. Desideravamo fare il primo film che mostrasse l'Indiano d'America come un essere umano con una dignità, un senso dell'onore,del coraggio, e anche con un villaggio e una vita di famiglia che comprendessero dolcezze, tradizioni, riti, che fossero simili a quelli dei popoli civilizzati del mondo intero.
(Delmer Daves, in "Etudes cinèmatographiques" n. 12-13, 1962)
Debra Paget (Sonseeahray), si mantiene nei limiti di una psicologia affettuosa, semplice e fanciullesca; e riesce così a darci una figura femminile molto attraente e quasi nuova. Jeff Chandler e James Stewart nelle parti del capo indiano (Cochise) e del cercatore d'oro (Tom Jeffords) sono ambedue efficaci, seppure in un clima umanitario e convenzionale. La regia è misurata, calma, attenta, senza colpi di scena né troppe cavalcate dei "nostri".
Alberto Moravia, in "L'Europeo", 21 gennaio 1951)