giovedì 26 ottobre 2017

NOI VOGLIAMO LA RIVOLUZIONE DEI CUORI

Noi non crediamo alla giovinezza e alla vita. De Gaulle salvaci tu.  NOI CREDIAMO ALLA RINASCITA, ALL’ENTUSIASMO, ALLA MARCIA IN AVANTI. SALVIAMOCI DA SOLI.

Noi non crediamo alla solidarietà degli studenti e dei lavoratori. De Gaulle salvaci tu. NOI VOGLIAMO DISTRUGGERE LO SFRUTTAMENTO DEI LAVORATORI E DEGLI STUDENTI. SALVIAMOCI DA SOLI.

Noi non crediamo alla forza del popolo. De Gaulle salvaci tu. NOI SAPPIAMO CHE SOLO IL POPOLO DIRIGE IL SUO DESTINO. SALVIAMOCI DA SOLI.

Noi non crediamo all’intelligenza e all’immaginazione. De Gaulle salvaci tu. NOI DISTRUGGIAMO LE BARRIERE DELL’ABITUDINE, DELLA STUPIDITÀ E DELLA NOIA. SALVIAMOCI DA SOLI.

Noi non crediamo alla responsabilità degli individui e alla fraternità fra gli uomini. De Gaulle salvaci tu. NOI PROCLAMIAMO IL DIRITTO DI CIASCUNO ALLA VERITÀ E ALL’INIZIATIVA. SALVIAMOCI DA SOLI.

Noi vogliamo che nulla si muova, fino all’immobilità della tomba. De Gaulle salvaci tu. NOI VOGLIAMO LA RIVOLUZIONE DEI CUORI, DEGLI SPIRITI, DELLE ISTITUZIONI, DELLA VITA. SALVIAMOCI DA SOLI.

COMITATO D’AZIONE DE L’EPÉE DE BOIS (Francia, Volantino maggio 1968)

martedì 17 ottobre 2017

RETTILI di Luis De Nau

Pietre spaccate dal sole
lucertola veloce tra sassi levigati
rumori cosmici sul vecchio altopiano
luce proiettata da infiniti cosmi
terra arsa priva di vita umana
dileguarsi di ombre meccaniche
acido in provetta colpisce il cervello
bolle di fumo oscurano il sole
pioggia di meteoriti aprono crateri
la tua immagine riflessa piange
la provetta scoppia in mille colori
la lucertola muore senza sangue
le luci sul palcoscenico si spengono
il pubblico applaude
chiamando a gran voce gli attori
il sipario si apre commosso
la vecchia lucertola ride
avvolta nel suo bianco martello

martedì 10 ottobre 2017

L'AGIRE POLITICO

L'agire politico vuoIe dire creare forme autonome di esistenza, liberare la vita quotidiana, costruire come opere d'arte il tempo e lo spazio del nostro vivere. 
Oggi praticare forme di antagonismo e di sovversione adeguate all'attuale modo di produzione post-industriale (che regola, condiziona, determina, domina e mette in produzione tutti i singoli momenti della nostra esistenza) vuoIe dire creare nuove forme di vita, vuoIe dire assegnare ad ogni attimo, ad ogni azione della nostra giornata, un valore estetico. 
Oggi ogni prassi antagonista deve necessariamente tendere alla riconquista della pienezza dell'esistenza attraverso l'azzeramento della distanza che separa la pratica artistica dalla pratica di liberazione della vita quotidiana.
Sottrarre la nostra vita al dominio ed allo sfruttamento, al lavoro forzato ed al bisogno, alla mercificazione ed alla sopravvivenza significa non solo combattere contro questa forma della realtà, ma anche mettere in atto una realtà altra, mettere in atto forme e modi di vita differenti.
Significa immaginare una vita degna di essere vissuta e praticare questa immaginazione trasformando, subito, la forma, i modi, i tempi della nostra esistenza.
La nostra vita è unica, singolare, irripetibile. Essa può diventare l'unica e sola opera d'arte che valga davvero la pena di realizzare. 
Dobbiamo imparare a stimarla come cosa rara. Dobbiamo imparare ad assegnare, ad ogni suo momento, il valore che merita. Non possiamo svenderla ad un padrone, buttarla via nella noia della sopravvivenza, mortificarla con il lavoro forzato e con la vuotezza in cui cercano di imprigionarla.

lunedì 2 ottobre 2017

L'INVITTO (Aparajito) di Satyajit Ray

L'adolescente Apu si reca a Calcutta a studiare, nonostante i tentativi della madre di trattenerlo presso di sé. Gli si apre un mondo nuovo. Sorge in lui un contrasto tra i legami col villaggio natale e l'ansia dei rapporti più vasti. Quando la madre muore, al dolore si unisce in Apu un senso di liberazione.

Lasciatemi raccontare brevemente l'esperienza dei miei primi due film. Quando nel 1952 cominciai Pather Panchali, ero consapevole delle conseguenze di allontanarmi dalla strada battuta: la passata esperienza di altri registi mi aveva messo in guardia. Pather Panchali, fu un successo nelle città. Anche nei sobborghi andò inaspettatamente bene. Col secondo film (L'invitto) mi feci più ardito e le conseguenze furono meno felici. I mio errore, da un punto di vista commerciale, fu di prendermi libertà ancora maggiori che in Pather Panchali col materiale d'origine. Fu a questo punto che entrarono in campo i festival cinematografici europei. I premi vinti dai due film diedero un nuovo aspetto alla situazione, e io mi resi conto che un regista bengalese non deve dipendere solo dal mercato interno.
(Satayajit Ray, in "International Film Annual" n. 2, 1958)

Quel che ammiro soprattutto nel L'invitto, come in Pather Panchali, è la qualità e il tono di un racconto che sa far passare in seconda linea le peripizie drammatiche a vantaggio della sostanza psicologica e morale. Se una delle ambizioni raramente raggiunte dal cinema può consistere nella concorrenza con il romanzo, e in particolare con le risorse soggettive del linguaggio che paion contraddire l'obiettività dell'immagine, L'invitto mi sembra costituire uno degli esempi più convincenti di film romanzo.
(Andrè Bazin, in "Cinema Nuovo" n. 114-115, 15 settembre 1957)